Aborto e salute mentale – Roe vs Wade e le conseguenze sulla salute delle donne


Questo mese parliamo di aborto e salute mentale. Avrete sicuramente sentito parlare della sentenza Roe vs Wade e del suo annullamento da parte della Corte suprema statunitense.

No? Va bene, ve lo riassumo.

Il caso Roe vs Wade

Nel 1970, negli Stati Uniti, Jane Roe (nome di fantasia) e il suo team di avvocate portano in tribunale il suo caso. Jane ha sposato all’età di 16 anni un uomo molto violento, da cui ha avuto due figli. Incinta del terzo, inizia la sua battaglia per poter scegliere di abortire.

All’epoca, però, le leggi che regolamentano l’aborto erano sotto controllo dei singoli Stati. In Texas, dove si è tenuto il processo, l’aborto era illegale.

I movimenti pro-vita hanno avuto un'influenza importante sul ribaltamento della sentenza Roe vs Wade

I movimenti pro-vita hanno avuto un’influenza importante sul ribaltamento della sentenza Roe vs Wade (Fonte: Maria Oswalt su Unsplash)

La sentenza fa la storia. La Corte suprema degli Stati Uniti decide che il diritto all’aborto è costituzionale, perciò protetto a livello federale in tutti gli Stati e in tutte le circostanze.

Il 24 giugno 2022, dopo una lunga campagna di persuasione da parte del Partito repubblicano, il caso dell’aborto è tornato alla Corte suprema. L’organo, questa volta a maggioranza repubblicana, ribalta la sentenza.

L’aborto torna dunque a essere di competenza dei singoli Stati, molti dei quali avevano già in canna leggi estremamente restrittive in attesa della sentenza definitiva.

Le conseguenze della sentenza

In molti Stati “rossi” – ovvero di matrice conservatrice – l’aborto diventa illegale senza eccezioni. La donna non può abortire neanche in caso di stupro, incesto, gravidanze extrauterine o gravi malformazioni del feto che metterebbero in pericolo la vita della madre e del figlio.

Famoso è il caso recentissimo di una bambina di 10 anni incinta a causa di uno stupro, a cui è stato negato l’aborto secondo le leggi dell’Ohio. Il medico che la segue ha suggerito di viaggiare in Indiana per poter abortire. Famosa anche l’ipotesi che alle donne possa essere vietato di uscire dai confini del proprio Stato se incinta, per timore che vadano ad abortire altrove.

Al di là della follia che sta imperversando negli Stati Uniti – perché di follia si tratta – il ribaltamento della sentenza Roe vs Wade pone dei grandi interrogativi sui diritti individuali e sulla possibilità di scelta.

Aborto e salute mentale: quali sono le conseguenze?

Più di 50 anni di ricerca internazionale (qui la dichiarazione della American Psychological Association) mostrano come l’aborto non sia legato ad alcun tipo di problema mentale, mentre la sua restrizione porti gravi danni alla salute psicofisica della donna.

Dopo la sentenza del 2022 sono aumentate le proteste contro le leggi statali eccessivamente restrittive

Dopo la sentenza del 2022 sono aumentate le proteste contro le leggi statali eccessivamente restrittive (Fonte: Gayatri Malhotra su Unsplash)

La ricerca ci dice che vedersi negata la possibilità di terminare la gravidanza peggiora significativamente la propria salute mentale, fisica e il proprio status socio-economico.

Al contrario di quel che si possa pensare, invece, scegliere liberamente di poter abortire e ottenere la possibilità di farlo non aumenta il rischio per depressione, ansia o pensieri suicidi (The mental health impact of receiving vs. being denied an abortionAdvancing New Standards in Reproductive Health, 2018).

Fondamentale per supportare questa conclusione è il Turnaway Study dell’Università della California, uno studio longitudinale fondamentale per smentire l’idea che le persone che subiscono un aborto presentino segnali di profondo rimpianto, lutto o addirittura un disturbo post-traumatico da stress.

In realtà, il 95% delle donne dello studio riporta come abortire sia stata la decisione giusta per loro anche 5 anni dopo la procedura.

Il diritto all’aborto e salute mentale (Fonte: Gayatri Malhotra su Unsplash)

Per contro, le donne a cui è stata negata la possibilità di terminare la gravidanza presentavano maggiori probabilità di:

  • vivere sotto la soglia della povertà;
  • subire complicazioni serie al parto, fino a una maggiore probabilità di morte;
  • rimanere in relazioni abusanti;
  • soffrire di ansia e scarsa autostima;
  • abbandonare o diminuire le aspirazioni di vita e professionali;
  • soffrire di dolori cronici o ipertensione gestazionale.

Le conseguenze negative di una gravidanza non voluta, inoltre, ricadono anche sul figlio stesso, così come sugli eventuali fratelli.

Aborto e salute mentale in Italia

Nel nostro Bel Paese, l’aborto è regolamentato dalla legge 194/78, che lo rende legale entro certi termini di tempo per motivi di salute, economici, sociali o familiari.

Tuttavia questo diritto non è garantito in gran parte degli ospedali pubblici, a causa della presenza di una percentuale altissima di obiettori di coscienza. Il 69% dei medici a livello nazionale, con picchi del 92,3% in Molise e in altre regioni, si rifiutano di procedere all’interruzione di gravidanza.

In Italia gli obiettori di coscienza sono così tanti che spesso il diritto all'aborto non viene rispettato

In Italia gli obiettori di coscienza sono così tanti che spesso il diritto all’aborto non viene rispettato (Fonte: Vidal Balielo Jrsu Pexels)

Se l’interruzione di gravidanza sembra essere accettabile in caso di gravi problemi di salute, sia della madre che del feto, l’obiezione di coscienza sembra molto più diffusa nel caso di aborto per scelta individuale. La Chiesa cattolica ha un peso non indifferente in questo tipo di politica: un esempio è la dichiarazione di papa Francesco, secondo cui “L’aborto è un omicidio con un sicario“.

Anche le associazioni pro-vita contribuiscono a una campagna di persuasione e di disinformazione, come per esempio quella di CitizenGo Italia del 2018, secondo cui “l’aborto è la prima causa di femminicidio nel mondo” e “più passano gli anni e più le ricerche scientifiche rendono nota l’entità drammatica dei traumi post-abortivi”. Abbiamo appena visto che la ricerca ci dice esattamente l’opposto.

Sembra ormai ovvio, ma forse è necessario ripeterlo (più forte per quelli in fondo): lasciare che le persone scelgano per sé in modo libero e autonomo porta maggiori vantaggi in termini di salute fisica, mentale ed economica rispetto al limitare queste stesse scelte.

Chiaro?

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