Cosa dicono le oltre 3mila pagine del rapporto Ipcc sul cambiamento climatico


Lo scorso 28 febbraio l’Intergovernmental Panel on Climate Change, o Ipcc, ha pubblicato la seconda parte del sesto rapporto sul cambiamento climatico. Un malloppo di oltre tremila pagine in cui è racchiuso il nostro destino – o meglio: in cui sono racchiusi i nostri possibili destini.

Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, che ha redatto il primo Rapporto di Valutazione nel 1990, è un’organizzazione internazionale di stampo scientifico delle Nazioni unite con lo scopo di investigare la questione climatica e ambientale a vari livelli.

La prima parte del presente rapporto, per esempio, era dedicata allo studio delle basi fisico-scientifiche della crisi climatica. Quella di febbraio riguarda gli impatti di tale crisi, gli adattamenti e la vulnerabilità da parte degli ecosistemi e dei loro abitanti. Nel 2022 poi è attesa una terza sezione, sulla mitigazione del cambiamento climatico.

One step back: prima parte del rapporto Ipcc

La sezione elaborata dal Gruppo di lavoro I è stata pubblicata il 6 agosto del 2021 – nel momento in cui il nostro Pianeta era preda di incendi a praticamente tutte le latitudini – e il quadro che offre effettivamente non è dei più rosei. Almeno dal punto di vista dei numeri e dei dati.

Di seguito ne elenchiamo alcuni, riportati da una sintesi proposta da Scienza In Rete.

La temperatura media globale del pianeta nel decennio 2011-2020 è stata di 1,09°C superiore a quella del periodo 1850-1900; la concentrazione dei principali gas serra è oggi la più elevata degli ultimi 800mila anni. Tra le conseguenze principali, una riduzione del ghiaccio artico che non ha eguali negli ultimi duemila anni, il livello del mare è cresciuto a una velocità mai osservata negli ultimi tremila anni e l’acidificazione delle acque dei mari sta procedendo a ritmi mai visti negli ultimi 26mila anni.

Tra gli ecosistemi più a rischio a causa del cambiamento climatico ci sono quelli marini, costieri e glaciali

Mari, oceani e ghiacciai vs cambiamento climatico (Credits: Ryan Loughlin, Unsplash)

Alcuni degli effetti del cambiamento climatico sono irreversibili su scale temporali umane, mentre altri sono ancora arginabili. La scelta è nelle mani della nostra specie e le possibilità sono cinque. I cosiddetti possibili scenari futuri (Shared Socioeconomic Pathways, SSPs), simulazioni del clima dei prossimi decenni sulla base delle emissioni.

E senza troppi giri di parole: solo scegliendo lo scenario con le più basse emissioni di CO2 è probabile che il riscaldamento globale durante il 21° secolo possa rimanere ben al di sotto dei 2 gradi centigradi.

E per sceglierlo è necessario raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050.

Il cambiamento climatico nella seconda parte del rapporto Ipcc

Il cambiamento climatico sta colpendo tutto e tutti. Natura, vita delle persone e infrastrutture di tutto il mondo. In maniera diversa, questo sì.

Forse è questo il messaggio più importante da estrapolare dalla seconda parte del sesto rapporto dell’Ipcc. 

Impatti del cambiamento climatico

Con temperature attualmente comprese tra 1,1 e 1,3 gradi centigradi al di sopra dei livelli preindustriali, l’impatto della crisi in atto sugli ecosistemi – e chi ne fa parte – è sempre più grave. Molti stanno raggiungendo i limiti estremi di sopportazione.

Circa la metà delle specie note, tra animali e vegetali, ha iniziato a spostarsi verso i poli o verso quote più elevate. Centinaia di specie sono vittima di perdite locali a causa di ondate di calore sempre più frequenti e intense; aumenta la mortalità di massa sulla terra e nell’oceano, così come la perdita di intere foreste di alghe (tra le nostre principali alleate per il sequestro di CO2). Una temperatura più calda di 1,5°C vuol dire che il 9% delle specie note è ad alto rischio di estinzione. I 2°C fanno salire questa stima allo 10%.

Tra i 3,3 e i 3,6 miliardi di persone vivono in zone estremamente vulnerabili, in cui la probabilità che si verifichino eventi estremi è quindici volte più alta che altrove. Per gli esseri umani, poi, una delle conseguenze peggiori del cambiamento climatico è la scarsità d’acqua.

Secondo l'ultimo report dell'Ipcc la percentuale di persone a rischio siccità cresce sempre di più

Siccità, una delle principali sfide secondo l’Ipcc (Credits: Pawel Czerwinski, Unsplash)

Ad esempio in Europa, con riscaldamento di 3°C sopra i livelli preindustriali, si stima che 170 milioni di persone saranno colpite da siccità estrema. Contenendolo a 1,5°C, la popolazione esposta a queste condizioni scenderebbe a 120 milioni.

E forse non ci piacerà leggerlo, ma l’area mediterranea è una tra le più interessate.

Vulnerabilità e adattamento: quali previsioni dall’Ipcc?

La vulnerabilità degli ecosistemi, naturali o artificiali che siano, va intesa come la predisposizione a subire gli impatti del cambiamento climatico e può essere mitigata o aggravata. Quella globale, secondo il presente rapporto, è aumentata rispetto al report precedente (risalente al 2013-2014). E tra i principali fattori ci sono la continua pressione demografica e il continuo utilizzo insostenibile delle risorse del Pianeta.

C’è ancora tempo per invertire la rotta, dunque? Sì.

Sì, ma, ovviamente! Dobbiamo fare dei grandi sforzi noi umani per garantire l’adattamento dell’intero Pianeta. Con questo termine, infatti, non si intende solo la capacità degli ecosistemi di rispondere e quindi resistere ai disturbi, ma anche la capacità di trasformazione degli stessi.

Dal rapporto dell’Ipcc sul cambiamento climatico appare chiara una cosa: i rischi per le persone possono essere ridotti rafforzando la natura, il che significa che bisogna investire nella sua protezione e ricostruzione a beneficio sia nostro che della biodiversità tutta – di cui anche noi facciamo parte!

Per invertire la rotta c'è bisogno di un'azioni a tutti i livelli, società compresa

Il clima sta cambiando, perché noi no? (Credits: Markus Spiske, Unsplash)

Una strategia che risulti efficace ed effettiva richiede due serie combinate di impegni: in primo luogo, un’ampia gamma di azioni che riducano drasticamente le emissioni di gas serra indotte dall’uomo; in secondo luogo, una gamma altrettanto ampia di azioni che trasformino il modo in cui viviamo le nostre vite e mettano la società umana sulla strada dello sviluppo sostenibile.

E attenzione al maladattamento, cioè all’attuazione di particolari soluzioni che portano benefici in un settore, producendo allo stesso tempo effetti negativi in altri ambiti.

Giustizia climatica per tutti i Paesi

Le possibilità di farcela che finora sono trapelate non sono valide per tutti i Paesi in egual misura, purtroppo. Alcuni infatti sono i responsabili del danno, altri subiscono le perdite.

Il binomio loss and damage (perdite e danni, appunto) aveva fatto discutere parecchio già durante la Cop26 dello scorso novembre e la situazione, nei fatti, rimane quella: mancanza di sostegno da parte dei Paesi leader dell’economia (e quindi del clima) nei confronti di chi paga le conseguenze peggiori.

Più volte in queste pagine abbiamo ribadito il concetto che “nessun Paese è un’isola”, tanto nelle cause quanto nelle conseguenze e soprattutto nelle soluzioni. E il fatto che nella seconda parte del sesto rapporto Ipcc sul cambiamento climatico si parli anche di giustizia climatica, basata sull’allocazione socialmente equa delle risorse e sul riconoscimento e quindi coinvolgimento di tutte le culture, lascia ben sperare.

E nonostante ci sia una guerra a remarci contro, rimaniamo convinti che, come afferma l’antropologo David Graeber, “un mondo migliore non è garantito, ma è possibile!”.

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