La percezione dello psicologo, tra bisogni del cittadino e politica – L’indagine dell’Enpap


Nel pieno della pandemia di Covid-19 in Italia, L’Enpap – l’ente previdenziale degli psicologi, ovvero il nostro equivalente dell’Inps – ha svolto un’indagine per approfondire la situazione attuale rispetto alla percezione dello psicologo.

Sono state fatte diverse domande sia alla popolazione generale – 1032 persone – sia a un gruppo di stakeholder, ovvero di rappresentanti di eccellenza in diversi ambiti sociali. Tra questi, il direttore di un importante carcere italiano, un generale dell’esercito, un primario, un politico e un rappresentante del mondo dell’arte.

I risultati sono molto interessanti e ci aiutano a riflettere su due aspetti: a che punto siamo con la percezione della figura dello psicologo e il divario tra bisogni della popolazione e risposta politica reale.

La percezione dello psicologo nell’indagine dell’Enpap

La buona notizia è che la maggior parte delle persone intervistate riconosce il valore della professione dello psicologo a livello individuale. Il contributo della psicologia a livello collettivo, invece, è meno scontato. Certo, viene riconosciuto il contributo dello psicologo nel contesto familiare, a scuola e nei contesti lavorativi, ma sempre legato alla funzione di cura e risoluzione di problemi.

Pare però esserci un piccolo cambiamento: sembra che molti comincino a vedere il lavoro dello psicologo come un elemento di miglioramento della società. Stupisce, per esempio, che il 34% del campione sappia che lo psicologo lavora anche nell’ambito dell’intelligenza artificiale. Ma non solo!

Lo psicologo equivale solo a cura e terapia, sperando non sia come quello di Ricky Gervais nella serie Afterlife? L'indagine dell'Enpap ci dice di no

Lo psicologo equivale solo a cura e terapia, sperando non sia come quello di Ricky Gervais nella serie Afterlife? L’indagine dell’Enpap ci dice di no (Credits: Netflix)

Molti sembrano conoscere anche altri ambiti di lavoro dello psicologo, più particolari, come la psicologia del territorio, la psicologia culturale, l’etnopsicologia. Meno conosciuti gli ambiti di religione, arte, turismo e architettura. In effetti, non abbiamo mai sentito parlare degli psicoarchitetti!

Lo psicologo sembra iniziare a essere visto non più solo come chi cura, ma come figura che si occupa del benessere globale, che ti mette sui binari giusti. Gli stakeholder riconoscono il ruolo dello psicologo come un “architetto sociale”, un “avvocato dei diritti inalienabili dell’uomo”, un “supporto al campo della giustizia” e un “alleato per il successo di missioni e contingenti militari”.

In sostanza, lo psicologo viene ancora visto come figura a supporto della persona (85,9%) più che della collettività (14,1%). Tuttavia, ci allontaniamo gradualmente dalla figura del curatore e ci avviciniamo a quella del facilitatore. Da questa indagine emerge come stiamo abbandonando pian piano l’idea che lo psicologo sia il medico dei matti, avvicinandoci sempre di più all’idea che sia un facilitatore di benessere (Chi è lo psicologo? Il 48,2% risponde un curatore, mentre il 51,8% risponde facilitatore del benessere).

Cosa c’è ancora da fare?

Andando avanti con i risultati dell’indagine, scopriamo che lo psicologo viene visto come figura importante ma non facilmente accessibile. In sostanza, lo psicologo sembra essere una figura distante, sia in termini di rappresentazione – ovvero non so bene cosa facciamo in stanza assieme – sia in termini economici.

Altro punto dolente è il retaggio del pregiudizio sullo psicologo. Si pensa ancora che lo psicologo possa fare più danni che altro e che sia necessario solo come ultima estrema possibilità se tutto il resto non funziona. Ci consola sapere che sia solo 1 persona su 10 a pensarla così, quindi continuiamo a sperare.

Lo psicologo non è più solo curatore, ma anche facilitatore del benessere (Credits: Austin Distel su Unsplash)

Per chiudere in bellezza, sia la popolazione generale dell’indagine sia gli stakeholder percepiscono la presenza dello psicologo soprattutto nell’ambito privato e pochissimo nel pubblico. La ragione di queste risposte è ovvia: i servizi psicologici nel pubblico sono scarsi, poco conosciuti e di difficile accessibilità.

Paradossalmente, in uno Stato a sanità pubblica come l’Italia, è più facile reperire uno psicologo nel privato che nel pubblico. Non aiuta che ci sia anche molta ignoranza su come accedere ai servizi pubblici, che i tempi di attesa siano troppo lunghi e che spesso il rapporto tra paziente e psicologo pubblico sia indiretto e poco attento.

Circa il 65% della popolazione (per la precisione il 64,8%) ritiene che lo Stato dovrebbe farsi maggiormente carico delle spese psicologiche. E qui ci colleghiamo al secondo punto.

E il governo cheffà?

La risposta della politica al bisogno psicologico della popolazione

La risposta a questa domanda è… poco e niente.

Siamo ormai abbastanza certi della distanza abissale tra richieste e bisogni della popolazione e risposta politica reale. Ultimi esempi recentissimi sono la risposta della Corte Costituzionale alla richiesta per i referendum sull’eutanasia e sulla decriminalizzazione della coltivazione della cannabis.

Il bonus psicologo è stato recentemente reinserito nel decreto Milleproroghe, ma non è abbastanza

Il bonus psicologo è stato recentemente reinserito nel decreto Milleproroghe, ma non è abbastanza (Credits: Marco Oriolesi su Unsplash)

Per quanto legittime possano essere le motivazioni della Corte al rigetto di questi quesiti, e al di là di quanto possiamo o no essere d’accordo sui quesiti, la realtà dei fatti è che queste iniziative popolari hanno portato alla luce una volontà forte della popolazione italiana: che il Parlamento legiferi su questi argomenti. Cosa tra l’altro già richiesta dalla stessa Corte ai legislatori nel 2019, all’indomani del caso di Dj Fabo, senza che deputati e senatori se ne occupassero mai nel concreto per tutto questo tempo.

Anche durante una pandemia globale, il Parlamento italiano è, al contrario, sempre meno interessato a temi di giustizia sociale, tanto che siamo una delle nazioni più arretrate d’Europa sull’argomento.

L’indagine dell’Enpap sottolinea come gran parte della popolazione italiana riconosca il ruolo fondamentale dello psicologo nella prevenzione del disagio e nell’aumento del benessere. Ma non solo: lo chiede a gran voce! Eppure, il bonus psicologo è stato inizialmente bocciato, prima di venire recuperato grazie a un emendamento al decreto Milleproroghe.

Si tratterebbe però di un voucher di 500 euro per i più bisognosi, sotto presentazione di Isee. Chi di voi è mai andato da uno psicologo sa però che con 500 euro ci si fa ben poco. Ipotizzando una tariffa di 60 euro l’ora – economica, bada bene – ci si può pagare sulle 8 sedute.

Che senso ha distribuire briciole?

Consigli per gli acquisti… psicologici

Sembra quindi che la percezione dello psicologo da parte delle persone sia in fase di transizione. Ci stiamo allontanando dallo stereotipo dello psicologo autoritario e distante, da cui vado solo in caso di estrema necessità; ma di sicuro non siamo ancora arrivati all’obiettivo.

Pare infatti che ci sia ancora una bella fetta di vergogna rispetto al disagio mentale. Il 72% del campione, infatti, pensa che quelli che vanno dallo psicologo si vergognino a dirlo, anche se non dovrebbe essere così.

Qualche consiglio dell’Enpap per noi psicologi:

  • Vicinanza
    Dobbiamo scendere dal nostro trono e farci vedere in contesti più leggeri e vicini alla popolazione.
  • Costi minori
    Attenzione: non vuol dire farsi pagare meno, ma rendere più accessibile il servizio psicologico attraverso convenzioni e digitalizzazione.
  • Maggior presenza nelle aziende
    Normalizziamo lo psicologo a lavoro.
  • Ma soprattutto… soluzioni concrete a problemi concreti
    Se devo convincere qualcuno che sono utile, devo dimostrare di esserlo.

E la politica? Forse dovrebbe fare lo stesso.

Qui trovate l’ebook sull’indagine di cui abbiamo parlato.

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