Simone Biles, Gimbo Tamberi e la salute mentale negli atleti olimpionici, oltre Tokyo 2020


Le olimpiadi di Tokyo sono ormai finite e l’Italia torna a casa con il record assoluto di medaglie: ben 40, quattro in più rispetto a Los Angeles 1932 e Roma 1960. È azzurro il cielo sopra Tokyo, ma forse, la vera vincitrice di questa olimpiade è la salute mentale: quella degli atleti.

Vediamo perché.

Salute mentale degli atleti: la vita di Simone Biles oltre la medaglia

Quest’anno più che mai abbiamo assistito a un vero e proprio ricambio generazionale nello sport italiano.

I cavalli di battaglia della nazionale azzurra – come la scherma o la pallavolo – hanno purtroppo dato poche soddisfazioni. Altri giovani talenti nell’atletica, nel canottaggio, nella marcia, nel tiro con l’arco hanno invece dato il meglio di sé e raggiunto traguardi straordinari. E forse è anche grazie alla nuova ondata di gioventù che si è riusciti a guardare alla vita oltre la medaglia.

Nei media si è visto dare molto spazio alle famiglie, a compagni e compagne, ai membri dello staff, ai sacrifici che comporta far parte della élite sportiva mondiale.

Fortunatamente, le nuove generazioni sembrano essere più sensibili e più aperte all’argomento e lo dimostrano parlandone in tv e sui giornali.

Il post su instagram di Simone Biles

“Il grande amore e supporto che ho ricevuto mi ha fatto capire che sono più dei miei successi, cosa a cui non credevo veramente” Simon Biles ringrazia il pubblico per il supporto (Credits: Instagram)

Un esempio ormai noto è Simone Biles, la ginnasta statunitense che ha deciso di ritirarsi da alcune competizioni per la troppa fatica. Non l’ha fatto “solo” per l’enorme pressione che sentiva addosso o per la faticosissima lotta giudiziaria contro il suo abusatore, il suo stesso medico di squadra. L’ha fatto perché se non si è lucidi e concentrati, si rischiano quelli che lei stessa ha definito twisties, veri e propri blocchi mentali che causano un grave disorientamento spaziale.

In sostanza, a causa del suo stato mentale, Biles perdeva l’orientamento negli esercizi in aria. Avete presente quale potrebbe essere la conseguenza più probabile? Un bell’infortunio grave e la fine della carriera sportiva.

Beh, Simone Biles ha detto no, ha scelto la sua salute fisica e mentale, rifiutando la cultura del sacrificio a tutti i costi.

La Consensus Conference sulla gestione della salute mentale degli atleti

Questo cambio di rotta a favore di una maggiore attenzione alla salute mentale degli atleti ha trovato un riconoscimento nel 2019, quando il British Journal of Sports Medicine pubblica finalmente un documento di Consensus* sulla gestione della salute mentale degli atleti di alto livello.

Il documento ci fornisce dati interessanti. Così come nella popolazione generale, ci sono differenze di genere sia nella qualità dei sintomi sia nella loro quantità (o prevalenza). Nei maschi, i sintomi sono perlopiù legati all’esaurimento – detto anche burnout – e all’abuso di alcol, insieme a disturbi d’ansia e depressione. La percentuale si aggira attorno al 5% per i primi due e addirittura anche il 45% per i restanti.

Per quanto riguarda le donne, invece, i disturbi mentali più diffusi sono quelli alimentari e depressivi. Questi si manifestano nel 10-25% delle atlete. Pare che i disturbi mentali appena citati durino anche fino ai 12 mesi nel 5-35% dei casi. Questo implica che, se non trattati, questi disturbi possono influire sulla preparazione atletica (per mesi) per un terzo degli atleti.

Sembra anche che il rischio di soffrire di un disturbo mentale aumenti in modo importante nel caso l’atleta subisca infortuni all’apparato muscolo-scheletrico o operazioni chirurgiche, nel caso in cui noti un calo nelle proprie performance in gara oppure se soffre di un livello di perfezionismo patologico. I sintomi ansiosi e depressivi poi, in pieno stile cane-che-si-morde-la-coda, portano a un calo nella prestazione sportiva e a una maggiore probabilità di infortunio.

Sindrome da affaticamento e film

Un disturbo peculiare e tipico del mondo dello sport è il non-functional overreaching (Nfo), ovvero un accumulo di fatica psicofisica dovuto a un eccessivo allenamento senza un adeguato tempo di recupero.

La Nfo può portare a lunghi periodi di decremento nelle prestazioni, umore depresso e sintomi psicologici, neurologici e del sistema endocrino. Con buona pace dei lunghi montaggi anni 80 degli allenamenti di Rocky Balboa.

Una scena del film Whiplash dove il protagonista, batterista, dopo un incidente stradale si guarda le mani insanguinate

Andrew, batterista professionista, anche dopo un grave incidente stradale, è ossessionato dalla performance e si guarda le mani insanguinate prima di correre, ferito, verso il teatro (dal film Whiplash – Credits: Sony Pictures)

La consapevolezza che “il troppo stroppia” anche nello sport ha soppiantato pian piano quella cultura tipicamente americana del sacrificio e della fatica come unico fattore importante per arrivare al top.

Negli anni 80-90 andavano per la maggiore film come Le grand bleu e Ogni maledetta domenica, dove la sofferenza di allenamenti infiniti, infortuni, sacrifici portavano inevitabilmente alla vittoria e alla conseguente felicità.

Film più recenti come Il cigno nero, Whiplash, Zona d’ombra o il drammaticissimo Million Dollar Baby sovvertono questa cultura, mostrando il lato oscuro dell’ossessione e il costo altissimo che un atleta o un artista deve pagare se sceglie il successo a tutti i costi.

Il bello dello sport è la salute, come ci insegna Gimbo Tamber

Un fattore protettivo per gli atleti sembra essere la partecipazione stessa a eventi sportivi, per il potere antidepressivo intrinseco al movimento. Forse è per questo che Gianmarco “Gimbo” Tamberi ha vinto l’oro.

In un’intervista, infatti, Gimbo confessa che dopo l’infortunio che gli ha precluso le Olimpiadi di Rio ha deciso di partecipare a una gara vicino Budapest, senza nome, senza aspettative.

Come ha detto a Rivista Undici:

“Nessuno sapeva fossi lì, perché io non volevo saltare per nessuno: lo volevo fare solo per me stesso. Qualcosa cambiò dentro di me, iniziai a rivivere per davvero. Ero di nuovo un saltatore in alto”.

E quando non lo fai più per gli altri, per il mondo, per gli sponsor ma solo per te stesso, allora sì che c’è salute e c’è sport.

I ringraziamenti di Marcell Jacobs e Federica Pellegrini

Un saluto caloroso da parte di tutti i professionisti della salute mentale a Marcell Jacobs, medaglia d’oro nei 100 metri piani maschili, che ha parlato pubblicamente della sua mental coach e dell’aiuto fondamentale che è stato il lavoro con lei nella sua preparazione atletica.

Non entriamo nel merito della figura professionale del mental coach – per ora – ma sentirne finalmente parlare senza vergogna in tv è un balsamo per le mie orecchie.

Federica Pellegrini in conferenza stampa spiega che si dedicherà alla salute mentale degli atleti

Federica Pellegrini annuncia la sua vittoria e il suo programma al Cio (Credits: Canale YouTube di HyperBros.com)

Ma il saluto più grande va all’immensa Federica Pellegrini, che non ha mai avuto difficoltà a parlare dei suoi attacchi di panico pre-gara. Ora è rappresentante eletta degli atleti al comitato olimpico.

La sua agenda?

“I problemi di Simone Biles e, in generale, i problemi mentali mi toccano molto: gli atleti devono avere un aiuto psicologico importante, soprattutto durante le Olimpiadi con queste pressioni. Io l’ho avuto, Bruna Rossi per me è una figura fondamentale”

Mic drop. E il mondo tace.

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*Il metodo della Consensus Conference consiste in una serie di giornate in cui si fa il punto sulle conoscenze scientifiche rispetto a un particolare problema complesso, perlopiù in ambito medico-sanitario. Uno degli scopi è di creare una serie di indicazioni operative in base a queste conoscenze. Alle Consensus partecipano i più grandi esperti del settore di diverse discipline. Nel caso della Consensus di cui parliamo, hanno partecipato medici, fisioterapisti, operatori sociali, neurologi, psicologi da ogni parte del mondo, tra cui anche l’Italia.

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