
Una breve storia delle spedizioni in mare, sopra e sotto la superficie dell’acqua
Raccontare una breve storia delle spedizioni in mare evoca nella mia mente un’immagine, quella dell’Enciclopedia dei limiti riscontrabili in natura. È un’opera del signor Bartleboom, personaggio del libro Oceano mare di Alessandro Baricco, che vuole studiare fin dove la natura può arrivare, o meglio dove decide di fermarsi.
Il signor Bartleboom altro non è che la personificazione dell’umano desiderio di scoprire e capire la natura. Come dice lui, infatti: “La natura è perfetta perché non è infinita. Se uno capisce i limiti, capisce come funziona il meccanismo”.
Nonostante già gli antichi greci fossero interessati al Mediterraneo, lo studio del mare e delle sue profondità nacque alla fine dell’Ottocento, con le spedizioni oceanografiche del veliero britannico H.M.S. Challenger.
In questo articolo cercheremo di ripercorrere le principali esplorazioni marine dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri.
Spedizioni in mare – Storia della spedizione Challenger
La storia delle spedizioni in mare aperto inizia nel 1872 a bordo di una piccola corvetta militare della Royal Navy, la marina militare britannica. Adattata alla ricerca scientifica ed equipaggiata di laboratori, la H.M.S. Challenger è stata la prima nave ad aver circumnavigato il globo, facendo sondaggi nelle profondità abissali e investigando le condizioni fisiche, chimiche, geologiche e biologiche dei grandi oceani.

Spedizione Challenger, la prima intorno al globo (Credits: Kameron Kincade, Unsplash)
Sotto la supervisione del naturalista ed esploratore scozzese Charles Wyville Thomson, era stata caricata con barattoli e alcool per la conservazione dei campioni, microscopi, reti per pesca a strascico, draghe, termometri, sonde e strumenti per la raccolta di sedimenti del fondo marino.
La spedizione Challenger è iniziata dal porto di Portsmouth, in Inghilterra, il 21 dicembre 1872, ed è terminata a Spithead, nell’Hampshire, il 24 maggio 1876. Il viaggio è durato quasi 69mila miglia marine – quindi circa 130mila chilometri – e grazie a 497 esplorazioni in acque profonde, 133 dragaggi dei fondali, 151 operazioni di pesca in mare aperto ha portato alla scoperta di quasi 5mila nuove specie di vita marine.
Tra il 1873 e il 1876, per esempio, prese parte alla spedizione il botanico e entomologo scozzese Francis Buchanan White. White descrisse per la prima volta cinque specie di insetti pattinatori marini che conducono l’intera esistenza a distanza di centinaia di miglia dalla terraferma. Appartengono al genere Halobates, insieme ad altre specie costiere, e fanno parte del neuston, cioè di quella comunità di organismi che vivono sull’interfaccia aria-acqua.
Fossa delle Marianne – Spedizioni nel mare profondo
La Fossa delle Marianne è la più profonda depressione oceanica conosciuta al mondo ed è situata nella zona nord-ovest dell’Oceano Pacifico, a est delle isole Marianne, tra Giappone, Filippine e Nuova Guinea.
All’estremità sud della Fossa si trova il suo punto più profondo, l’abisso Challenger – chiamato così proprio in onore dell’H.M.S. Challenger che per la prima volta ne aveva scoperto l’esistenza e stimato la profondità di circa 8mila metri. Secondo l’edizione del 2011 della Carta batimetrica generale degli oceani, è a quasi 11mila metri sotto il livello del mare.

Abisso Challenger, tra Giappone, Filippine e Nuova Guinea (Credits: Denise Jans, Unsplash)
L’abisso è stato raggiunto per la prima volta da una spedizione il 23 gennaio 1960 – appena nove anni prima che l’umanità sbarcasse sulla Luna. Si trattava dell’esploratore e ingegnere svizzero Jacques Piccard e dell’oceanografo ed esploratore statunitense Don Walsh.
I due erano a bordo del batiscafo Trieste – alla cui costruzione aveva collaborato anche Piccard.
Da Walsh e Piccard a James Cameron, il regista di Titanic
Dopo gli ottimi risultati ottenuti nelle immersioni al largo dell’isola di Capri, il Trieste era stato trasportato sull’isola di Guam, nel Pacifico, per immergersi nella Fossa. Come zavorra erano state usate palle di cannone, mentre per favorire il galleggiamento era stata scelta la benzina, più leggera dell’acqua.
La discesa dei due esploratori è durata circa 5 ore. Sono rimasti venti minuti sul fondo dell’oceano prima di risalire in circa tre ore. Quello che più li sorprese fu scoprire che anche lì, sotto forma di minuscoli crostacei, era presente la vita.
Per oltre 50 anni nessuno è tornato in quel luogo buio. Poi nel 2012, a bordo del sommergibile Deepsea Challenger, il regista James Cameron (sì, quello di Titanic) è diventato il primo uomo ad aver esplorato in solitaria il più profondo degli abissi.
E nel giugno del 2020 è arrivata anche la prima donna: si tratta di Kathryn Sullivan, astronauta e già prima donna della Nasa a fare una camminata spaziale.
Pianeta Mediterraneo
Nuove tecnologie e attrezzature all’avanguardia permettono agli esploratori di oggi di vivere esperienze impensabili per i loro predecessori. Nel luglio del 2019, infatti, un gruppo di quattro sub, guidati dal biologo e fotografo subacqueo Laurence Bellasta, ha trascorso 28 interi giorni sott’acqua nel Mediterraneo.

Aurelia aurita, meraviglie del Mediterraneo (Credits: Taylor Wilcox, Unsplash)
Hanno vissuto in una camera pressurizzata di cinque metri quadri, respirando una miscela di ossigeno e elio, e hanno avuto la possibilità di calarsi sul fondo del mare grazie a una campana subacquea – anch’essa pressurizzata.
La spedizione ha richiesto due anni di preparazione ma è valsa ai quattro uomini un primato a livello mondiale, poiché solitamente quando si fanno le immersioni la maggior parte del tempo serve per la tappa di decompressione.
Supportati da un team di 30 professionisti in superficie, hanno viaggiato da Marsiglia a Monaco e esplorato l’ambiente marino a una profondità compresa tra i 60 e i 145 metri. A 130 metri, per esempio, hanno avvisto uno dei pesci ossei più pesanti, il pesce luna – chiamato così per l’abitudine di passare buona parte della giornata negli abissi e migrare verso la superficie di notte. A circa 70 metri hanno avuto l’onore e la fortuna di assistere all’accoppiamento del calamaro Loligo forbensii, che vive tre anni ma ha una sola occasione per riprodursi.
Impiegare tecniche di ricerca scientifica all’avanguardia assume oggi un duplice scopo. Da un lato studiare gli ecosistemi e svelare i segreti ancora ben custoditi dal mar Mediterraneo.
Dall’altro, e di fronte a prove indiscutibili di squilibrio climatico ed estinzioni di specie, la scoperta di nuove aree ricche e incontaminate, proprio alle porte delle nazioni europee, invia un messaggio di speranza.
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