
Storie di inquinamento quotidiano – L’impatto ambientale delle attività umane
Lo scorso 13 maggio l’Italia ha tristemente raggiunto l’Overshoot day, il giorno che ci ricorda che l’impatto ambientale delle attività umane non è più sostenibile.
L’Earth Overshoot Day segna la data in cui la domanda dell’umanità di risorse e servizi ecologici in un dato anno supera ciò che la Terra può rigenerare nello stesso arco temporale. Ogni anno l’organizzazione Global Footprint Network misura la domanda di una popolazione e l’offerta da parte degli ecosistemi, intesa come biocapacità di una città, uno Stato o una nazione (quindi terre e aree di mare produttive, foreste, pascoli, terreni coltivati, zone di pesca e terre edificate).
Attualmente, a livello mondiale, stiamo consumando come se vivessimo su 1,6 Terre – si tratta di una media, perché Paesi diversi hanno richieste e impatti diversi. Per arrivare alla fine dell’anno mantenendo lo stile di vita italiano, per esempio, ci servirebbero quasi tre pianeti come il nostro.
Fattibile? Non proprio. Ma possiamo ancora provare a invertire questa insostenibile tendenza.
L’impatto ambientale delle attività umane nel tempo
Nel 2020 abbiamo raggiunto l’Earth Overshoot Day globale il 22 agosto. Rispetto a quando è stato calcolato per la prima volta siamo peggiorati di quattro mesi abbondanti. Nel 1970, secondo il sito dedicato, questa data corrispondeva con il 29 dicembre quindi i giorni di overshoot (superamento) erano appena due e all’umanità bastava un solo Pianeta.

La Terra è una ed è nelle nostre mani (Credits: Greg Rosenke, Unsplash)
A proposito del calcolo della data, nella sezione del sito dedicata alle “edizioni passate” si legge che, per mantenere la coerenza con i dati e le conoscenze più recenti, l’impronta ecologica (ovvero la domanda) si ricalcola ogni anno e di conseguenza anche le date annuali. Il giorno 29 dicembre 1970, per esempio, deriva dalle metriche del 2019.
A prescindere dal numero preciso, a sconfortare è l’andamento di questo fenomeno nel tempo: l’Overshoot Day della Terra arriva sempre prima. Negli anni Settanta, Ottanta e Novanta cadeva tra novembre e ottobre; tra la fine del vecchio millennio e l’inizio del nuovo si è spostato a settembre; poi, a partire, dal 2004 si raggiunge ad agosto.
Solo nel 2018 e nel 2019 è stato raggiunto a fine luglio.
Cosa è successo? Una marea di cose. Che però si possono semplificare così: abbiamo cambiato le nostre abitudini e siamo aumentati.
#MoveTheDate – Possiamo fare qualcosa per ridurre il nostro impatto ambientale?
Ora, lasciando stare che fare meno figli sarebbe (forse) l’azione più sostenibile e con le conseguenze più durature da fare per contrastare il cambiamento climatico – per ogni bambino in meno all’anno si risparmierebbero circa 58 tonnellate annuali di anidride carbonica – ci sono scelte meno drastiche a nostra disposizione. E sono tante.
Proprio in onore del fatto che, a differenza delle risorse della Terra, le possibilità umane non sono finite, è nato il movimento #MoveTheDate, per provare a spostare sempre più in là la data dell’Earth Overshoot Day. A determinare il nostro futuro, infatti, non è tanto il nostro passato, quanto le nostre scelte attuali.

Il clima sta cambiando, e tu? (Credits: Markus Spiske, Unsplash)
Possiamo ribaltare le tendenze del consumo di risorse naturali e migliorare al contempo la qualità della vita di tutte le persone. Ma per trovare la volontà di farlo dobbiamo essere lungimiranti.
Si prevede, per esempio, che una percentuale compresa tra il 70% e l’80% di tutte le persone vivrà nelle aree urbane entro il 2050. Di conseguenza, la pianificazione di smart city – che tra le varie cose offrono edifici efficienti dal punto di vista energetico e opzioni ecologiche per il trasporto pubblico – è fondamentale per assicurarsi che le città siano sostenibili, garantendo abbastanza risorse ed evitando però un’eccessiva domanda.
L’inquinamento quotidiano e l’impatto ambientale di tutto
Oltre ai grandi pilastri (le città, il cibo, l’energia, la biodiversità e la popolazione) su cui è difficile avere un’influenza in quanto singoli, la nostra quotidianità ci dà la possibilità di compiere tanti piccoli passi. Perché tutto ciò che facciamo e consumiamo ha un proprio impatto, anche se la maggior parte delle volte è nascosto – ben più invisibile rispetto a quello del nostro armadio.
L’impatto ambientale delle attività umane si può misurare in termini di impronta del carbonio, o meglio carbon footprint. Tale indicatore ci dà un’idea della quantità di gas serra generati dalle nostre azioni e quindi immessi nell’aria. Quando si parla di carbonio generalmente ci si riferisce all’anidride carbonica (CO2), poiché è ritenuto il principale responsabile del riscaldamento globale. Ma altri gas serra sono altrettanto importanti. Tra questi c’è, per esempio, il metano (CH4), che deriva perlopiù dall’agricoltura e dalle discariche.
Per includerli tutti nel conteggio dell’impatto, l’impronta del carbonio si esprime come CO2equivalenti e, per abbreviare, CO2e. È una misura estremamente difficile da calcolare, se non impossibile, per cui le cifre che leggiamo sono quasi sempre delle stime. Mike Berners-Lee, autore del libro How Bad Are Bananas? The Carbon Footprint of Everything (da cui sono tratti la maggior parte degli esempi e dei dati da ora in poi), usa come caso emblematico un cheeseburger.
La misura delle cose…
Quando leggiamo che l’impronta del carbonio di un panino al formaggio è di 3,2 chilogrammi di CO2e, in realtà vuol dire che corrisponde a un numero compreso tra 1,5 e 5 chilogrammi – e ancor più probabilmente tra 1 e 10.
A quanto corrisponde un chilogrammo di CO2e? A quello che rilasciamo nell’atmosfera se riempiamo con del petrolio una bottiglia da mezzo litro e gli diamo fuoco.

Qual è la tua impronta del carbonio? (Credits: Etienne Girardet, Unsplash)
Se invece riempiamo una cisterna di quelle da giardino fino all’orlo, stiamo emettendo una tonnellata di CO2e. Se immaginiamo di dar fuoco a un cece di petrolio allora ne rilasciamo un grammo.
L’impronta del carbonio di ogni persona – in media, a livello globale – corrisponde a circa 7 tonnellate di CO2e annue. Si tratta di una media, ovviamente, perché ci sono Paesi in cui è più alta e Paesi in cui è più bassa: la media europea, per esempio, è di circa 13 tonnellate.
Quello che Mike Berners-Lee cerca di fare da un po’ di anni e propone ai suoi lettori è provare ad avere uno stile di vita da 5 tonnellate.
…e delle scelte
Funziona più o meno così: proviamo a usare il tempo di un anno come moneta di scambio con l’impatto ambientale delle azioni umane. Se una sera mangiamo un cheeseburger da 3,2 kg di CO2e, abbiamo consumato 6 ore; nel nostro anno non bisestile da 5 tonnellate possiamo mangiarne circa 1500.
Se prendiamo un aereo da Londra a Hong Kong la situazione si complica, perché spendiamo 4 tonnellate e mezza di CO2e e non ne abbiamo abbastanza per tornare indietro.
Numeri a parte, anche in questo caso possiamo misurare le nostre scelte. Sicuramente per raggiungere Hong Kong da Londra sarà necessario prendere un aereo e lo sarà altrettanto prenderne un altro per tornare a casa. Forse non compenseremo mai 9 tonnellate di CO2e con le nostre azioni quotidiane ma ciò non ci giustifica.
Possiamo provare ad abbatterne almeno una percentuale più o meno piccola. Gli strumenti per farlo sono a nostra disposizione, tutti i giorni e in casa nostra.
Attività umane da pochi grammi
Quante mail mandiamo al giorno? Tantissime. Quante ricerche Google facciamo? Idem. Quanti messaggi scriviamo? Impossibile contarli.
Sono tutte attività umane che (per via dell’elettricità necessaria per compierle) hanno un impatto ambientale e emettono una certa quantità di gas serra nell’aria. Mandare una mail corta da un computer a un altro rilascia circa 0,3 grammi di CO2e; mandarne una lunga dieci minuti da scrivere e tre da leggere ne emette 17.

L’insostenibile leggerezza dell’internet (Credits: Austin Distel, Unsplash)
Una semplice ricerca Google emette 0,5 grammi di CO2e; cinque minuti di navigazione da telefono ne consuma 5,6 e da computer 8,2.
Mandare un messaggio di testo (di quelli che si usavano prima delle chat online) ci costa 0,8 grammi di CO2e. Singolarmente si tratta di pochi grammi, è vero, ma se consideriamo le quantità… Nel solo Regno Unito vengono mandati 74 miliardi di messaggi all’anno. Al mondo 9,5 trilioni, che vuol dire un milione di bilioni, cioè un miliardo di miliardi – in altre parole, un numero davvero grandissimo.
A parte lo spavento di queste cifre, però, possiamo star relativamente tranquilli: i messaggi rappresentano una piccolissima percentuale dell’impronta di carbonio totale.
L’impatto ambientale delle mele
Cambiando frutto al titolo del libro di Berners-Lee, quanto sono cattive le mele? Dipende.
Se raccogliamo una mela che cresce nel nostro giardino potenzialmente la nostra azione non ha alcun impatto. Poi ci sono tanti altri casi diversi: una mela locale e stagionale, una stagionale ma importata, una importata fuori stagione e quindi refrigerata… e l’impronta di carbonio non è così scontata. Dipende, per esempio, dal tipo e dalla quantità di fertilizzanti, dal combustibile usato per i processi post-raccolta, dal mezzo di trasporto e altro.
Una mela locale ma fuori stagione – che quindi deve stare in frigorifero per mesi – probabilmente avrà un impatto minore di una di stagione che però viene da fuori (il fatto che il trasporto avvenga perlopiù su navi e non per via aerea lo rende relativamente poco impattante). Restiamo comunque in un range basso, che va dai 100 ai 300 grammi di CO2e.
Una mossa sicuramente sostenibile è quella di acquistare le mele più brutte. Questo potrebbe incoraggiare la filiera produttiva a non buttarle via prima che arrivino nei negozi e con esse tutto il carbonio e le altre risorse impiegate per produrle.
Igiene personale: quanto costa essere puliti?

Cinquanta sfumature di igiene (Credits: Hannah Xu, Unsplash)
Quanto tempo impieghiamo per fare la doccia? Rilassarci per quindici minuti sotto l’acqua ci costa un bel chiletto di CO2e; al contrario una doccia lampo di tre minuti ce ne richiederebbe circa 50 grammi.
Prendiamo come esempio una famiglia di quattro persone che si godono la vita per un quarto d’ora ogni giorno: se tutti decidessero di fare una doccia rapida, passerebbero dal consumare quasi una tonnellata e mezza di CO2e all’anno a circa 80 chili. A testa, ne risparmierebbero circa 350 chili – più o meno come un volo da Londra a Milano.
L’impatto ambientale di questa confortevolissima azione umana dipende sì dalla sua durata ma anche da altri fattori. Tra questi, per esempio, il modo in cui riscaldiamo l’acqua (gas o corrente elettrica) e il tipo di doccino che usiamo – averne uno ad alta pressione permette di usare meno acqua senza che ce ne accorgiamo. Una doccia ragionevole di circa cinque minuti può variare tra i 150 e i 250 grammi di CO2e.
Lo stesso discorso vale per il bagno. In base al tipo di boiler l’impronta del carbonio di una vasca piena d’acqua calda può variare dai 200 grammi di CO2e (acqua riscaldata grazie ai pannelli solari) a oltre un chilo e mezzo – se il boiler è elettrico – passando per una via di mezzo che va dai 500 grammi a un chilo con un boiler a gas più o meno efficiente.
Quando esci, spegni la luce
Se lasciassimo una lampadina a incandescenza accesa per un anno intero immetteremmo nell’atmosfera 300 chilogrammi di CO2e. Con le lampadine a basso consumo questo numero di abbasserebbe a 15 chilogrammi, ma ciò potrebbe trarci in inganno: più una cosa costa meno e più siamo tentati di usarla, e ciò risulterebbe in un maggior consumo di energia e quindi di anidride carbonica.
“Non lasciare la luce accesa” è una frase che mi sono sentita ripetere come un mantra durante la mia infanzia. E ovviamente allora non ne comprendevo il senso.
Poi l’ho capito.
Tutte le attività umane hanno un impatto ambientale. Anche quelle più piccole. Perché la loro somma può essere così grande da fare la differenza.
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