
L’acqua di Fukushima a dieci anni dal disastro – Bisogna davvero avere paura?
È di qualche giorno fa la notizia che il governo giapponese riverserà nell’oceano Pacifico le cisterne di acqua di Fukushima, utilizzate per il raffreddamento del reattore nucleare. La notizia ha fatto il giro del mondo e sui giornali sono comparsi titoloni sensazionalistici.
Avevamo parlato di Fukushima già lo scorso anno, commentando la notizia della ripopolazione animale della zona.
A dieci anni dal disastro nucleare, proviamo a fare un po’ di chiarezza insieme. Davvero riversare in mare le acque radiottive può essere pericoloso?
La centrale di Fukushima Dai-ichi e il disastro del 2011
Fukushima Dai-ichi era una centrale nucleare della prefettura di Fukushima, situata nella regione di Naraha, in Giappone. Nel 2011, in seguito a un forte terremoto avvenuto al largo delle coste giapponesi, uno tsunami si abbatté sulla centrale e la distrusse. L’incidente fu gravissimo ed è considerato il secondo disastro nucleare più terribile della storia, dietro a quello accaduto a Černobyl’, nel nord dell’Ucraina, del quale proprio lunedì scorso cadeva il 35esimo anniversario.
Nel caso di Fukushima, quell’11 marzo 2011 le misure di sicurezza non funzionarono, a causa di un errore della società giapponese che gestiva l’impianto. Dopo il terremoto, i generatori di emergenza controllarono le alte temperature dei reattori. L’acqua che entrò nella centrale distrusse anche i generatori di emergenza.

Gli esperti al lavoro sul sito di Fukushima il 17 aprile 2013 (Credits: Greg Webb per Iaea, Creative commons)
Diversi incidenti ed esplosioni avvennero in quel giorno e nei giorni a venire. Molte persone morirono a causa del terremoto e dello tsunami. Per fortuna, l’evacuazione tempestiva degli abitanti della zona prevenì ulteriori perdite di vite umane.
Il danno ambientale fu enorme, anche se a dieci anni dalla tragedia la foresta attorno alla centrale dismessa sta ricominciando a vivere.
A cosa è servita finora l’acqua di Fukushima
Durante il normale funzionamento di una centrale nucleare, per produrre elettricità, l’acqua viene scaldata ad altissime temperature per generare energia. Questo calore si genera grazie alla fissione nucleare del nocciolo che produce vapore, attivando le turbine per la produzione di energia elettrica.
Anche a reattori spenti, il nocciolo che genera la reazione nucleare funziona e i materiali esauriti continuano a generare calore. Diventa quindi fondamentale mantenere sotto controllo la temperatura di questi materiali, per evitare che si verifichino altri incidenti.
La fonte principale usata per raffreddare questi materiale è ancora una volta l’acqua. Attualmente sono state usate più di 1,25 milioni di tonnellate di acqua. Dopo l’uso, l’acqua di Fukushima è stata conservata in grandi cisterne all’esterno della centrale nucleare.

7 novembre2013: due tecnici raccolgono campioni di acqua di Fukushima, poco al largo dell’impianto nucleare (Credits: David Osborn per Iaea, Creative commons)
Dopo dieci anni dall’incidente, per recuperare il terreno, il Giappone ha studiato un piano per eliminare quest’acqua di raffreddamento. Ed è qui che nasce la polemica da parte delle associazioni ambientaliste e dai pescatori della zona. Infatti, in accordo con Agenzia internazionale per l’energia atomica delle Nazioni Unite (la Iaea), il Giappone ha concordato un piano per riversare queste acque nell’oceano Pacifico.
L’acqua di Fukushima e la paura della radioattività
Ovviamente la gestione di una centrale nucleare danneggiata e del contenimento del danno ambientale non è cosi semplice come l’abbiamo descritta.
Sono anni che l’acqua delle cisterne viene preventivamente filtrata e diluita per abbassarne la radioattività. Ma entro la fine del 2022 si ritiene che le cisterne costruite attorno alla centrale nucleare saranno colme, obbligando il governo giapponese a trovare una soluzione per smaltire queste acque. Il piano di rilascio nell’oceano, a cui si è lavorato per anni, si basa su regole e rigidi protocolli di smaltimento che sono usati da tempo in tutto il mondo.
Inoltre, sono anni che la centrale dismessa utilizza l’Advanced Liquid Processing System, un sistema che filtra gli elementi radioattivi. Il sistema di trattamento elimina gli elementi radioattivi dall’acqua, a eccezione del trizio.
Questo nome strano è in realtà una forma radioattiva del comune idrogeno e si trova nell’atmosfera così come nell’acqua. Già: perché di elementi radioattivi, che noi vediamo tanto come pericolosi e artificiali, ne è piena anche la natura!
Il trizio non viene considerato pericoloso per l’uomo: non penetra la barriera cutanea del nostro corpo e non è neppure tossico, a meno che non venga ingerito in quantità elevate. Il trizio si trova infatti nelle acque potabili e l’Organizzazione mondiale della sanità ha stabilito la sua concentrazione massima a 10mila becquerel/litro.
Il piano giapponese, ad esempio, prevede che la concentrazione dell’acqua di Fukushima contenuta nelle cisterne e trattata sia inferiore a 1500 bcquerel/litro prima di essere riversata in mare. Una volta lì, poi, ulteriormente diluita dalle stesse acque dell’oceano.
Le polemiche per l’acqua di Fukushima nell’oceano
Nonostante i rigidi protocolli, le associazioni ambientaliste stanno fortemente protestando per evitare che questo rilascio avvenga. Hanno timore che l’acqua trattata della centrale possa inficiare il benessere dell’ecosistema marino ed entrare nella catena alimentare umana.

L’oceano, a rappresentare il luogo in cui verrà riversata l’acqua di Fukushima (Credis: dimitrisvetsikas1969 by Pixabay)
Anche gli Stati vicini al Giappone hanno protestato, come Taiwan e gli Stati Uniti, e hanno chiesto di essere presi in considerazione prima della decisione.
Dubbiose anche le associazioni dei pescatori, che hanno già visto una riduzione massiccia del loro commercio in seguito all’incidente del 2011. Ma non tanto perché temano che la salute dei pesci venga compromessa.
Il timore più grande di queste associazioni è che, causa di una cattiva informazione, le persone ritengono che il pesce pescato da loro non sia più un alimento sicuro – nonostante anche in questo caso si utilizzino protocolli di sicurezza.
Insomma, il dibattito è ancora aperto, ma è chiaro che sia ormai urgente prendere una decisione sul trattamento di queste acque.
Quello che ci auguriamo è che queste decisioni vengano prese seguendo la scienza, e non la paura.
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