
Tessuti sostenibili – L’economia circolare e i vestiti fatti… con le arance!
Tessuti sostenibili dagli agrumi: economia circolare e idee fuori dagli schemi hanno portato le catanesi Adriana Santanocito ed Enrica Arena a vincere la prima edizione del Global Change Award.
Chiamato “Premio Nobel della moda”, il Global Change Award è una sfida all’innovazione lanciata nel 2015 dalla H&M Foundation. L’obiettivo? Dar voce a giovani agenti del cambiamento e offrire loro una piattaforma e degli strumenti adatti per sviluppare progetti davvero circolari.
La moda sostenibile sta ricevendo sempre più attenzione – da parte sia dei grandi marchi che dei consumatori – e contemporaneamente stanno aumentando le possibili declinazioni: tra le varie si trovano fibre naturali, tessuti sintetici, filati artificiali.
Quello di oggi è un breve, curioso e per nulla esaustivo viaggio alla scoperta dei tessuti biobased, cioè tessuti artificiali ottenuti da biomasse di diversa natura. Ma prima, un passo indietro.
Cos’è l’economia circolare?
Con il termine economia circolare si intende nuovo modello di economia e sviluppo, in cui una prerogativa essenziale è la sostenibilità – sociale, ambientale ed economica. L’idea di questo sistema nasce perché popolazione globale in aumento, maggior consumo di risorse e impatti ambientali negativi sempre più tangibili hanno fatto emergere la necessità di trovare un’alternativa al tradizionale modello lineare di crescita.
Questo breve video mostra una delle possibilità offerte dall’economia circolare: usare vecchi jeans per produrre nuovo cotone con cui produrre poi nuovi jeans.
Nonostante sia uno dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibili delle Nazioni Unite da raggiungere entro il 2030, spesso appare un concetto astratto piuttosto che un approccio pratico. Se però la intendiamo come un metodo a lungo termine in cui i prodotti di oggi sono i materiali di domani, i tessuti biobased ne sono un concreto esempio.
La gestione dei rifiuti agricoli è un problema sempre più centrale nel mondo della ricerca scientifica e della politica. Il modello lineare take-make-waste (prendi, fai e butta), l’unico adottato fino a pochi decenni fa, ha portato il sistema al collasso. Un modello, questo, che comporta l’accumulo di tonnellate di residui, derivanti dalla raccolta e dalla lavorazione delle colture destinate (perlopiù) all’accumulo in discarica o alla combustione.
Il passaggio a un’economia circolare permette, invece, di utilizzare prodotti e materiali di diversa natura al massimo del proprio valore. Recuperandoli e ripristinandoli nel ciclo tecnico permette, per esempio, di convertire i rifiuti agricoli in qualcosa di indossabile.
Rifiuti e tessuti sostenibili: gli scarti delle arance, da problema a risorsa
Secondo il database Istat, l’Italia nel solo 2019 ha prodotto più di un milione e mezzo di tonnellate di arance e quasi 60 milioni di litri di succo. Per la produzione industriale di questa bevanda viene usato solo il 50% circa del peso della frutta necessaria. Ciò che avanza, il residuo umido che resta al termine della lavorazione, costituisce il cosiddetto “pastazzo”.

Che fine fa la buccia? (Credits: Xiaolong Wong, Unsplash)
Un rifiuto ingombrante, che ha sempre rappresentato un grosso problema per l’intera filiera agrumicola a causa degli elevati costi di smaltimento. Si è cercato di riutilizzarlo come fertilizzante in agricoltura e come mangime per animali ma nessuna di queste soluzioni si è dimostrata in grado di assorbire l’ingente quantitativo prodotto.
Poi, nel 2013, grazie all’articolo 41-quater della legge 98/2013, il pastazzo è passato dall’essere uno scarto all’essere un sottoprodotto agrumicolo.
Non più un problema, insomma, ma una risorsa.
Economia circolare in Sicilia – Orange Fiber
Proprio grazie al pastazzo, nel 2014 Adriana Santanocito – specializzata in materiali tessili e nuove tecnologie per la moda – ha realizzato il proprio progetto di economia circolare: trasformare gli scarti agrumicoli in tessuti sostenibili. Grazie alla collaborazione con il Politecnico di Milano ha sviluppato un processo di produzione industriale in grado di dare origine A un tessuto di alta qualità e, insieme all’esperta di marketing e comunicazione Enrica Arena, ha fondato l’azienda Orange Fiber.
Il processo produttivo, brevettato in Italia e poi anche all’estero, prevede una prima fase di estrazione della cellulosa dal pastazzo. La cellulosa è una grande molecola formata da tante unità di glucosio una legata all’altra ed è uno dei principali costituenti dei vegetali. Le fibre di cotone, per esempio, sono composte da cellulosa per circa il 95%. Al termine dell’estrazione, la cellulosa può essere trasformata in un filato che può essere usato insieme ad altri filati o in purezza.
Il tessuto che si ottiene è un perfetto esempio di tessuto sostenibile: non incide sulle risorse naturali ma al contrario ottimizza lo sfruttamento di una matrice che altrimenti andrebbe smaltita.
Moda sostenibile vs Fast fashion
Oltre a ridurre l’impatto dell’agricoltura, l’utilizzo di tessuti sostenibili è uno dei mezzi possibili per far fronte ai problemi legati al mondo della moda stessa – affrontati in un precedente articolo.

Essere nudi: la scelta più sostenibile (Credits: Linda Hilmgard, H&M Fondation)
Il settore tessile contribuisce in modo significativo all’economia globale, creando milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. Ma la produzione e il consumo di abbigliamento continuano a crescere. Anche in questo ambito l’attuale modello lineare di produzione e consumo ha molti impatti ambientali (e sociali) negativi.
L’industria tessile è criticata soprattutto per l’uso incontrollato di acqua, terra, combustibili fossili ed energia. I processi di produzione, inoltre, richiedono l’utilizzo di sostanze chimiche tossiche e producono rifiuti e inquinamento. A causa dell’avvento e del successo del fast fashion, questo sistema sembra destinato a peggiorare. Secondo l’ente di beneficenza britannica Wrap (Waste & Resources Action Programme) la domanda di materie prime potrebbe triplicare entro il 2050.
Anche in questo settore, però, l’economia circolare offre delle opportunità di innovazione e cambiamento: la creazione di tessuti sostenibili, per esempio, rende possibile l’uso efficace dei materiali e l’ottimizzazione delle risorse.
Pelle… senza pelle? Sì, grazie a vino e ananas!
La pelle è un materiale con una tradizione lunga quasi quanto l’umanità. Prima a base animale e poi ricavata da combustibili fossili, questo tessuto non è più sostenibile a causa dell’elevato tasso di inquinamento che genera. In primo luogo durante il processo di ottenimento delle materie: sia l’agricoltura che l’estrazione di materiali fossili causano emissioni di gas serra. Poi durante la fase di lavorazione, in cui vengono usati plastificanti e solventi chimici piuttosto aggressivi.
Vegea – L’economia circolare del vino
Nel 2016 un team italiano, guidato dall’architetto Gianpiero Tessitore e dal chimico industriale Francesco Merlino, ha trovato una possibile soluzione in un bicchiere di vino. Dopo anni di studio delle caratteristiche fisiche e meccaniche di fibre vegetali di vario tipo, hanno scoperto che dalla vinaccia è possibile ottenere un tessuto sostenibile ed ecologico.
Vincitori del Global Change Award nel 2017, insieme all’esperta di marketing Valentina Longobardo hanno creato Vegea, una pelle vegana ricavata dagli scarti dell’industria vinicola. La vinaccia (buccia, semi e talvolta raspi dell’uva), una volta essiccata, può essere spalmata e trasformata in teli. Poi può essere trattata per ottenere un tessuto molto versatile – con diverse gradazioni di peso, elasticità, spessore e colore.
Tessuti sostenibili dalle Filippine – Piñatex
Da circa 500 foglie di ananas, che corrispondo a circa 16 piante, è possibile ottenere un metro cubo di Piñatex, pelle vegana ottenuta dagli scarti della produzione di ananas – tradizionalmente abbandonati in discarica o bruciati.

#MadeFromPiñatex (Credits: Brooke Lark, Unsplash)
L’idea nasce negli anni Novanta quando la spagnola Carmen Hijosa, progettista nel settore conciario, si reca nelle Filippine come consulente per l’industria di esportazione della pelle. Ispirata dall’abbondanza di risorse naturali (solo nel 2019 le Filippine hanno prodotto 2,7 milioni di tonnellate di ananas) ha cercato di creare un nuovo tessuto che potesse essere prodotto commercialmente, fornire un impatto sociale ed economico positivo e mantenere un basso impatto ambientale durante tutto il suo ciclo di vita.
Il processo produttivo di questo tessuto sostenibile si divide tra Filippine, Italia e Spagna. Nelle Filippine con le fibre estratte dalle foglie si ottengono dei rotoli di tessuto grezzo. Questi vengono spediti in Europa dove sono rifiniti, colorati e rivestiti da uno strato di resina che li rende più resistenti.
Oltre che portare avanti i princìpi dell’economia circolare, Piñatex è particolarmente attiva nel sostegno sociale delle comunità agricole rurali. Investire nel valore aggiunto dei rifiuti agricoli, infatti, ha permesso di creare una nuova fonte di reddito per tutti quei lavoratori che altrimenti farebbero affidamento su un raccolto stagionale.
Wind of change
Quella dei tessuti sostenibili biobased è solamente una delle possibili strade che possono rendere il mondo della moda – e dell’agricoltura – più etico. Entro il 2050 probabilmente quasi 10 miliardi di persone popoleranno questa Terra. E insieme a noi aumenteranno le nostre richieste.
Perché l’economia circolare non resti un concetto astratto, oltre che l’ingegno di pochi sarebbe auspicabile l’impegno di tutti. Oltre alle prese di posizione da parte dell’industria, le vere potenzialità per questo cambiamento potrebbero risiedere in tutti noi consumatori. Se facessimo della sostenibilità la nostra quotidianità, forse le aziende allineerebbero ai nostri bisogni e alle nostre convinzioni i loro scopi di successo.
D’altronde, come afferma Carmen Hijosa, “Il design è uno strumento di connessione tra le persone, l’economia e l’ambiente. E da questa comunione possono nascere comprensione, rispetto per le nuove idee e prodotti dotati di una certa integrità.”
+ Non ci sono commenti
Aggiungi