Donne nella scienza – La storia di Charpentier e Doudna fino al Nobel 2020


Prima dell’edizione 2020, le donne di scienza ad aver ricevuto il Premio Nobel per la Chimica erano solamente cinque. Il 7 ottobre dello scorso anno questa cifra è salita a sette. Per la prima volta nella storia dei Nobel dedicati alla scienza, due donne hanno vinto il premio più ambito dai ricercatori di tutto il mondo.

La scienziata francese Emmanuelle Charpentier e l’americana Jennifer Doudna sono diventate la sesta e la settima donna a vincere un Nobel per la Chimica dal 1901. Il premio è stato assegnato per lo sviluppo di un metodo che consente di modificare il Dna in modo mirato – mediante il sistema Crispr-Cas9.

In occasione della Giornata Internazionale della Donna, un omaggio a queste due scienziate, così diverse eppure così unite dallo stesso amore per il proprio lavoro e dalla stessa determinazione nel portarlo avanti.

Donne di scienza e da Nobel su Twitter

In uno degli svariati post di presentazione sul profilo Twitter The Nobel Prize, entrambe hanno colto l’occasione per sottolineare l’importanza delle donne nella scienza.

“Le donne hanno un ruolo davvero importante da svolgere nel mondo”: arriva dritto al punto il messaggio di Doudna, professoressa di biochimica e biologia molecolare presso dell’Università della California, a Berkeley. E rispecchia perfettamente la sua personalità, decisa e determinata.

Da quando è stato istituito, il numero di donne di scienza ad aver vinto il Nobel per la chimica è pari a sette - incluse le due scienziate che lo hanno vinto nel 2020

Woman in science – Donne nella scienza (Credits: ThisisEngineering RAEng, Unsplash)

Più romantiche sono le parole di Charpentier, direttrice dell’istituto di Biologia delle Infezioni della Società Max Planck a Berlino. “Il mio desiderio è che questo fornisca un messaggio positivo alle ragazze che vorrebbero seguire un percorso scientifico, e mostrare loro che le donne nella scienza possono avere un impatto anche attraverso la ricerca che stanno svolgendo”.

Sulla stessa piattaforma non mancano le congratulazioni, gli auguri, gli elogi (e anche qualche frecciatina) da parte di colleghi e colleghe. Tra i tanti c’è l’appassionato e umoristico tweet di Rodolphe Barrangou, ricercatore presso l’Università statale della Carolina del Nord e anch’egli esperto del sistema Crispr.

“D’ora in poi ridefiniremo la storia come Crispr BC (Before Charpentier: prima di Charpentier relativamente poche persone si interessavano di Crispr) e l’editing genomico AD (After Doudna: dopo Doudna tutti se ne occupano)”.

Doudna e Charpentier, il fortunato incontro

La strada che ha portato Emmanuel Charpentier e Jennifer Doudna al Premio Nobel comincia ben nove anni prima.

Era il 2011 e si trovavano entrambe a Portorico per un convegno della Società americana di microbiologia. Doudna era già una scienziata di fama internazionale ma si era avvicinata relativamente da poco al mondo di Crispr – nel 2009, due anni prima. Charpentier invece era quasi sconosciuta nella comunità dei microbiologi ma aveva già pubblicato su Nature (una delle riviste scientifiche più importanti in assoluto) un lavoro relativo al funzionamento del sistema Crispr-Cas9.

È proprio la ricercatrice francese, che allora lavorava all’Università di Umeå in Svezia, che si avvicina alla collega americana di Berkley e le propone una collaborazione. Inizia così una cooperazione transoceanica, tra due laboratori che si trovano a più di ottomila chilometri e circa venti ore di aereo di distanza.

Basta poco più di un anno di lavoro e di chiamate su Skype per arrivare alla stesura dell’articolo che garantirà alle due donne il Nobel. Pubblicato nell’agosto del 2012 sulla rivista Science (a pari merito con Nature per importanza) rappresenta l’atto di nascita della tecnologia Crispr.

Time 100 – Le due donne di scienza più influenti del mondo

Il 2015 è stato un anno pieno di riconoscimenti e soddisfazione per Charpentier e Doudna. Sia per la loro carriera scientifica sia per la loro visibilità personale.

Entrambe hanno vinto il Breakthrough Prize – un premio da tre milioni di dollari per i progressi in scienze della vita, fisica e matematica. Uniche donne in mezzo a ben dodici uomini, hanno ritirato il trofeo (una scultura sferica che rappresenta il legame tra arte e scienza) indossando eleganti abiti da sera.

È nello stesso anno e con in mano il trofeo che Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna appaiono sul sito del Time. Sempre nel 2015, infatti, la rivista americana le ha inserite, in qualità di “creatrici della tecnologia di gene-editing”, nella lista delle cento persone più influenti del pianeta.

Chi sono le due donne del Nobel

Prima di fondersi in un’alleanza vincente, la vita delle due scienziate non sarebbe potuta essere più diversa. È proprio questa caratteristica, probabilmente, ad aver acceso una curiosità reciproca e ad aver alimentato la volontà di farsi strada in un mondo ancora poco esplorato.

Emmanuelle Charpentier

Nata nel 1968 in un piccolo paese a sud di Parigi, Emmanuelle Charpentier non ha mai saputo di voler fare la scienziata da grande.

Il Max Planck Institute – di cui ora è direttrice – le ha dedicato un articolo pieno di confessioni personali. “Secondo mia madre, quando avevo 11 o 12 anni, le ho detto che avrei lavorato presso l’Istituto Pasteur – ed è lì che ho fatto il mio dottorato”, si legge. “Ma in realtà mi sono piaciute tutte le materie a scuola. Quindi avrei potuto anche seguire una strada molto diversa”.

Emmanuelle Charpentier, microbiologa francese vincitrice del Nobel per Crispr

La microbiologa francese Emmanuelle Charpentier (Credits: Norwegian University of Science and Technology, Creative Commons, collage in copertina: Marco Frongia)

Ha suonato il pianoforte e ha praticato danza classica e moderna per diversi anni, ma alla fine la curiosità per le relazioni biologiche tra gli esseri viventi ha avuto la meglio.

Si è laureata all’Università Pierre e Marie Curie di Parigi, ha conseguito il dottorato all’Istituto Pasteur ed è stata a New York per i successivi sei anni. Poi è tornata in Europa, come ricercatrice al BioCenter dell’Università di Vienna e dal 2009 al 2013 in Svezia, all’Università di Umeå (dove ha portato avanti la collaborazione con Doudna).

Una scienziata giramondo. Ma a quanto pare non sarebbe potuta andare diversamente. Ricorda infatti che “mia zia, una missionaria, una volta mi aveva predetto da bambina che avrei avuto una vita avventurosa con continui cambiamenti. Dal mio arrivo a New York, mi sono effettivamente spostata costantemente”.

Jennifer Doudna

Jennifer Doudna è nata a Washington DC nel 1964. A sette anni, insieme alla sua famiglia, si è trasferita alle Hawaii, nella città di Hilo. Circondata da genitori insegnanti e una natura meravigliosa, la sua passione per la scienza è nata prima che potesse accorgersene. A soli 12 anni aveva già letto il libro di James Watson sulla scoperta della struttura del Dna.

La sua carriera universitaria – iniziata con una laurea in chimica al Pomona College (California) e proseguita con un dottorato in biochimica all’Università di Harvard – è stata ricca di incontri fortunati. Una mentore fondamentale è stata la biochimica Sharon Panasenko che, già al college, le ha insegnato la determinazione in un mondo ancora dominato da uomini.

Jennifer Doudna, biochimica statunitense vincitrice del Nobel

La biochimica americana Jennifer Doudna (Credits: Norwegian University of Science and Technology, Creative Commons, collage in copertina: Marco Frongia)

Poi a Harvard ha conseguito il dottorato Jack Szostak, futuro Nobel per la Medicina nel 2009. Ed è proprio suo uno dei tweet più belli dedicati a Doudna: “Sei sempre stata una star… L’unica cosa migliore di vincere un Nobel è che lo vinca una tua ex studentessa!”

A trent’anni è diventata ricercatrice all’Università di Yale ed è sicuramente tra le giovani menti della scienza più brillanti del momento – come dimostrato dalla vittoria del Alan T. Waterman Award, il più alto premio degli Stati Uniti per scienziati al di sotto dei 35 anni. Nel 2002 è arrivata a Berkley, è diventata professoressa all’Università della California ed è qui che ha condotto gli studi da Nobel.

In molti avevano intravisto in lei una scintilla: l’articolo che il Pomona College le ha dedicato in occasione della vittoria è pieno di elogi. Sharon Panasenko, per esempio, ricorda che “le sono sempre piaciuti molto il rigore e l’entusiasmo di imparare qualcosa di difficile – ma che avrebbe potuto applicare in futuro”.

Donne, scienza e uguaglianza

Attualmente, in media meno del 30% delle persone impegnate nella ricerca scientifica è costituito da donne. Secondo il reportage Women in Science, redatto dall’Unesco nel 2019, l’Asia Centrale è la zona del Pianeta con la più alta percentuale di ricercatrici – circa il 48% – seguita dall’America Latina con il 45%. Nonostante questi picchi, le scienziate rappresentano una minoranza.

Sempre le Nazioni Unite, nel 2015, hanno stabilito 17 Obiettivi di sviluppo sostenibili da raggiungere entro il 2030 e uno di questi, il quinto, riguarda proprio la parità di genere. L’uguaglianza non è solo un diritto umano fondamentale, ma anche la base necessaria per un mondo prospero e pacifico.

Le modalità con cui questo obiettivo viene raggiunto, però, sono cruciali. La stessa Emmanuelle Charpentier, per esempio, è convinta che le quote rosa per le donne siano controproducenti e che le farebbero risultare ingiustamente favorite agli occhi dei colleghi uomini. “Prima di essere una donna sono una scienziata”, ama precisare.

Certo è che da qualche parte bisogna pur cominciare per rimuovere gli ostacoli alla meritocrazia. Le quote rosa sono un modo, la New York Philarmonic Orchestra ne ha trovato un altro e sicuramente ne esistono altri da poter mettere in campo.

L’importante è cominciare.

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