
Come si fa il vino – Qualche curiosità da conoscere quando si stappa lo champagne
In pieno spirito natalizio, finora abbiamo addobbato la nostra casa con fiori rossi, messo sulla punta dell’albero una cometa che non sia una stella e fatto scorta di biscotti pan di zenzero… ma, in vista di Capodanno, perché sia davvero festa manca ancora una cosa. Come si fa senza il vino più festoso che ci sia?
Dal varo di una nave alla proclamazione di una laurea, dalla fine di una gara di Formula 1 agli immancabili compleanni, il botto di una bottiglia di champagne porta (simbolicamente) fortuna e allegria.
Espressione più raffinata del vino spumante, lo champagne è il prodotto di tradizioni secolari, di rigorosi processi scientifici e di non pochi fatti curiosi.
In attesa di un brindisi finale: au petit bonheur la chance!
Il vino e la legge
Lo champagne è un vino spumante francese che prende il nome dalla provincia della Champagne, nella Francia dell’est, dove viene prodotto. È protetto dall’etichetta ufficiale francese Aoc, appellation d’origine contrôlée (l’equivalente del nostro Doc, ovvero Denominazione di origine controllata) che in generale ha lo scopo di tutelare i prodotti agroalimentari tradizionali.
Come spesso capita, per poter parlare di scienza bisogna risolvere prima delle questioni di lingua – che stavolta sono anche questioni di legge. Esistono, infatti, numerose leggi europee che regolamentano non solo il modo in cui si fa il vino ma anche il nome che deve avere. Ad esempio, leggendo il Regolamento Ue n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, si scoprono le diverse categorie in cui si dividono i vini con le bollicine.

Bacco perbacco quanti tipi di vino esistono! (Credits: brandy turner, Unsplash)
La macrocategoria è quella dei vini effervescenti, cioè contenenti una concentrazione di anidride carbonica sufficiente da fargli fare bolle e schiuma quando apriamo la bottiglia. All’opposto troviamo i vini fermi o tranquilli. Ora, i vini effervescenti vengono suddivisi in due gruppi ufficiali in base alla pressione che c’è all’interno della bottiglia quando è chiusa.
Per i vini frizzanti la pressione deve essere compresa tra 1 bar (circa la pressione che abitualmente è sulle nostre teste) e 2,5 bar – per immaginarcelo, come se fossimo 15 metri sott’acqua.
I vini spumanti, invece, devono superare i 3 bar e noi immersi a circa 20 metri di profondità. Se poi uno spumante ha una pressione superiore ai 3,5 bar allora viene detto “vino spumante di qualità”.
Per lo champagne, che ne ha circa 6 (60 metri sott’acqua!), potremmo evadere la legge e definirlo un vino di gran classe! Très chic!
Come si fa il vino spumante?
Abbiamo detto che tale pressione è dovuta all’anidride carbonica gassosa, che per comodità chiameremo CO2. Ma come ci finisce un gas all’interno di una bottiglia? Le possibilità sono due: gassificazione o fermentazione secondaria – anche questo, per legge, va dichiarato.
Nel primo caso, la CO2 viene aggiunta “a mano” a un vino fermo; tali vini sono detti artificiali e sono per lo più vini da tavola. Nel secondo caso, i vini sono detti naturali e sono più pregiati (Aoc, Doc, Docg, ecc) poiché la CO2 deriva dall’attività di microrganismi aggiunti anch’essi a un vino fermo.
One step back: il processo produttivo del vino fermo è sempre una fermentazione, quella primaria appunto. I protagonisti sono di nuovo microrganismi – lieviti e/o batteri – che trasformano lo zucchero dell’uva nell’alcol del vino. Anche in questa fase rilasciano CO2, ma siccome il tutto accade in tini aperti la maggior parte del gas vola via.
Metodo classico
La fermentazione secondaria può essere eseguita con due metodi diversi. Quello che interessa a noi e allo champagne è il cosiddetto metodo classico: la rifermentazione del vino avviene direttamente nella bottiglia. Come?
Come prima cosa, al momento dell’imbottigliamento, al vino fermo si aggiungono lieviti e zuccheri; poi si chiude la bottiglia con un tappo metallico (simile a quello della birra) per contrastare la pressione che si genererà all’interno. All’interno della bottiglia, infatti, i lieviti cominciano a lavorare: mangiano lo zucchero e ricominciano a fermentare. Stavolta però la CO2 non ha via di fuga! Parte di essa si scioglie nel liquido, il resto occupa lo spazio vuoto e piano piano la pressione sale.

Sempre grazie piccoli lieviti, amici invisibili (Credits: Alexander Naglestad, Unsplash)
Dopo circa due mesi i lieviti hanno finito il proprio lavoro ma solitamente li si lascia a galla nel vino per almeno 15 mesi: una volta morti, la loro unica cellula si rompe e rilascia composti che rendono lo spumante aromatico. I residui esausti di lievito – detti feccia – a un certo punto devono essere rimossi, e qui arriva il bello. Le bottiglie si sistemano inclinate verso il basso in una struttura di legno con dei fori per il collo: ogni giorno vengono leggermente ruotate e inclinate sempre di più per far scendere la feccia verso il tappo.
Una volta che è tutta lì, si congela il collo della bottiglia. What? Sì, perché in questo modo si può tranquillamente rimuovere il tappo e i lieviti morti e congelati insieme a esso.
Ultima fase del metodo è il rabbocco: allo spumante quasi pronto si aggiunge una miscela di vini di annate precedenti e zucchero. Ecco da dove saltano fuori le diciture come Pas dosé, Brut, Extra dry, Doux sulle etichette: indicano le aggiunte di zucchero, da zero a quantità massima.
I capricci dello champagne
Lo champagne viene prodotto con metodo classico, che però non si chiama così! I francesi – e di conseguenza devono farlo tutti gli altri – lo chiamano metodo champenoise (per fortuna non dobbiamo pronunciarlo!). E ovviamente non è questa l’unica esclusività.
Il vino fermo che si usa per produrre lo champagne può derivare solamente da particolari vitigni. Si tratta per lo più di chardonnay, pinot noir, pinot meunier. Ovviamente la vendemmia viene fatta manualmente perché bisogna raccogliere solo i grappoli al punto giusto di maturazione e non devono assolutamente rompersi. Di questi vitigni, solo l’uva dello chardonnay è a bacca bianca, però il vino bianco si può ottenere anche dai pinot.
Come si fa? Il processo di chiama “vinificazione in bianco” e prevede che i chicchi d’uva vengano spremuti molto delicatamente in modo da evitare che la polpa chiara tocchi la buccia scura e si sporchi. Il rosè infatti può derivare o dalla miscelazione di vino bianco e vino rosso oppure da uve bianche sporcate con bucce rosse. Geniale, no?
Il vino fermo di partenza, la maggior parte delle volte, deriva dall’unione di uve di annate differenti, ed è per questo che solitamente sulle bottiglie di champagne non è riportato l’anno. Quando invece si usa uva di un’unica annata – almeno l’85% – allora lo champagne si dice “millesimato”, l’anno è indicato e la qualità è maggiore.
La sciampagnotta
Eccoci arrivati alla cosa più bella: il nome della bottiglia dello champagne. La sciampagnotta! Il vetro di questa bottiglia è più spesso rispetto alle normali bottiglie di vino poiché, come dicevamo prima, la pressione a cui deve resistere è piuttosto alta. La misura standard è di 75 millilitri, ma… esistono sciampagnotte dalle dimensioni incredibili – e ciascuna ha un nome diverso.

Tipico esemplare di sciampagnotta (Credits: Matt Lamers, Unsplash)
La huitième è un ottavo di sciampagnotta! Appena 9,3 millilitri, cioè meno di dieci campioncini di profumo che regalano nelle profumerie. La mignonette è un quarto. Passando alle grandi dimensioni: la magnum che vale due sciampagnotte è ragionevole, ma arriviamo anche a venti con la nabuchodonosor (15 litri) e addirittura a 40. La melchizédec è una bottiglia da 30 litri! Poi c’è una moda più recente, la sciampagnotta prestige cuvée: più bassa, elegante, pancia e cercine più evidenti. Sempre in tema nomi, il cercine è il rigonfiamento posto sulla parte terminale del collo.
Tappo doppiamente fortunato
Il tappo è il famoso fungo di sughero da cui vogliamo farci colpire per avere un po’ di fortuna. Il tappo a fungo (nome che viene riportato anche su documenti ufficiali) viene usato in generale per i vini spumanti, a patto che rechino marchi di qualità; altrimenti si usa un’altra tipologia di tappo che non sia questa.
La forma che noi vediamo, in realtà, è deformata rispetto all’originale. Prima dell’imbottigliamento infatti il tappo è cilindrico, come un normale tappo di vino. Come si fa a trasformarlo? Siccome inizialmente il diametro è più largo del collo, per prima cosa deve essere compresso lateralmente – ovviamente con dei macchinari. Una volta entrato nella bottiglia, viene pressato anche dall’alto in modo che aderisca perfettamente al cercine. Les jeux sont faits ed ecco il fungo.
Pare che sia stato proprio l’utilizzo di tappi di sughero che abbia fatto la fortuna dello champagne. Secondo alcune teorie i primi ad aver accidentalmente prodotto lo champagne sono stati gli inglesi che importavano vino bianco dalla Champagne. Trasferendolo in bottiglia prima della fine della fermentazione e chiudendolo con un tappo di sughero invece che con la stoffa, l’avrebbero reso frizzante. Altre teorie affermano che sia stato l’abate benedettino Dom Pierre Pérignon a utilizzarlo per primo. Se non altro, egli sembra essere stato il padre – empirico e consapevole – della tecnica di produzione dello champagne. Non a caso quindi il suo nome è legato a una delle marche più famose e costose di champagne.
Perlage, tutte quelle bollicine
Quella che a noi fa pensare probabilmente alle medicine che prendiamo quando abbiamo mal di testa, in mano ai francesi diventa quasi una poesia d’amore. L’effervescenza, alias il perlage. Pronunciare per credere al suono etereo di questa parola.
Italiano o francese che sia, nei termini della scienza parliamo di bollicine di gas in un liquido. Nel caso dello champagne e di tutte le altre bevande gasate, si tratta di anidride carbonica, la CO2 di prima. Ma come si fa a creare il perlage quando stappiamo una bottiglia di champagne? La reazione è innescata proprio dal fatto che togliamo il tappo: la pressione sul liquido diminuisce rapidamente e di conseguenza tutta CO2 disciolta tenta disperatamente di scappare.
Il pizzicorio che avvertiamo sulla nostra lingua dopo un sorso di champagne è dovuto proprio alla CO2: questa sensazione è data dall’acido carbonico – cioè la forma in cui la CO2 si trova in un ambiente liquido, come appunto la nostra saliva.

Buon 2021! (Credits: cottonbro, Pexels)
Studiando il movimento delle bollicine, alcuni scienziati hanno scoperto che ci sono dei punti preferenziali da cui si originano. Questi cosiddetti centri di nucleazione, che fungono da innesco per le bolle, sarebbero da ricercare in piccole imperfezioni del bicchiere o fibre invisibili lasciate dal panno con cui lo si asciuga. Inoltre, se osserviamo da vicino le catenelle di bolle che risalgono verso l’aria, possiamo notare che si fanno via via più grandi poiché durante il tragitto raccolgono altre molecole di CO2 in via di fuga.
Cin Cin! – Come si fa a versare bene il vino spumante?
Finalmente possiamo stappare una bella magnum di champagne, ci vuole tutta!
Per augurarci un 2021 più bello di questo 2020 – e in linea di massima non dovrebbe essere così difficile – ecco alcuni consigli scientifici su come versare lo champagne per il brindisi più effervescente di sempre.
Uno: lo champagne va servito freddo, a circa 12 gradi, perché la CO2 si scioglie meglio quando il liquido è freddo, ha meno fretta di scappare e di conseguenza le bollicine sono più piccole e più durevoli.
Due: anche il bicchiere dovrebbe essere freddo, altrimenti a contatto con la superficie calda la COS impazzisce e vuole assolutamente fuggire creano tantissima schiuma.
Tre: lo champagne va versato come la birra, inclinando il bicchiere e facendo scorrere il liquido sul bordo, perché il moto del vino è meno turbolento, genera meno schiuma e fa perdere meno effervescenza.
E ora: Cheers! Prosit! Salud! Gambrei!
Insomma… Cin Cin! in tutte le lingue del mondo.
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