L’arte di dormire – Come funziona il sonno?


Se c’è una cosa che accomuna tutti gli esseri umani è che quando suona la sveglia nessuno vuole smettere di dormire: il sonno funziona come la ricarica di un cellulare e, la maggior parte delle volte, la mattina stacchiamo il nostro corpo dalla presa quando la carica non è ancora completa.

Il sonno è stato, insieme alla perdita dei peli, uno degli elementi chiave per l’evoluzione della specie Homo sapiens: la scoperta del fuoco ha permesso ai nostri antenati di dormire a terra e, di conseguenza, di trascorrere notti di sonno più intenso – senza il pericolo di cascare giù da un ramo. Secondo Matthew Walker, neuroscienziato autore del libro Perché dormiamo? (che ha peraltro ispirato questo articolo), ciò avrebbe avuto un grande vantaggio: i sogni. E per il nostro cervello sognare significa due cose: maggior controllo razionale delle emozioni e spinta alla creatività.

Dormire è un processo fisiologico estremamente complesso e ancora poco compreso. Ma una cosa è certa: il sonno non è un’abitudine inutile a cui si può rinunciare.

Cosa ci fa dormire – La biologia del sonno

È inevitabile che a una certa ora della sera ci pervada il desiderio di dormire, buttandoci sul letto e abbandonandoci al sonno. Sebbene possa sembrarci mera routine, fare la nanna è un comportamento condiviso da tutti gli esseri viventi. Piante comprese.

Le prime informazioni su come funziona il sonno derivano proprio da un esperimento condotto sulla Mimosa pudica – pianta le cui sue foglie si aprono di giorno e si chiudono di notte e quindi comunemente detta “sensitiva”. Nel 1729, l’astronomo francese Jean-Jacques d’Ortous de Mairan mette alcune piantine costantemente al buio e osserva che il movimento delle foglie continua indisturbato: l’esposizione alla luce non è la causa diretta del movimento.

E come si scoprì anni dopo… neanche del sonno.

I fattori principali che determinano quando vogliamo dormire, come vedremo, sono due e possono essere indipendenti da stimoli esterni; anche se ovviamente ne sono influenzati.

L’orologio biologico – Che cos’è e come funziona

Il primo fattore è un segnale inviato dal nostro orologio biologico: crea un ritmo ciclico che ci fa sentire assonnati o svegli in precisi momenti durante le ventiquattro ore, a prescindere da segnali esterni.

Come funziona il sonno? Il dormire o l'essere svegli è determinato dal ritmo scandito dal nostro orologio biologico interno

Orologio biologico e geni del sonno (Credits: Oladimeji Ajegbile, Unsplash)

Come sa questo orologio quando è ora di dormire? Come funziona il sonno quando non c’è alternanza giorno-notte? Nel 1938, il professor Kleitman dell’Università di Chicago e il suo assistente Richardson hanno condotto un esperimento simile a quello della Mimosa, mettendo però al buio loro stessi. Hanno trascorso ben trentadue giorni in una delle grotte più profonde della Terra (Mammoth Cave, Kentucky) in completa assenza di luce.

Quello che hanno scoperto è che, anche in assenza di stimoli esterni, il sonno e la veglia si alternano secondo uno schema preciso e ripetuto: circa nove ore di nanna e circa quindici di reattività. In altre parole, gli esseri umani generano un ritmo circadiano endogeno: circa ogni ventiquattro ore il ciclo sonno-veglia si ripete a prescindere dai segnali ambientali.

Nel 2017 il premio Nobel per la medicina è stato assegnato ai tre scienziati che hanno scoperto i meccanismi molecolari che regolano questo ritmo. Nonostante gli ingranaggi microscopici dell’orologio biologico siano molto complessi e ancora in parte ignoti, ormai una cosa è certa: i geni del sonno esistono. Questi geni (e le rispettive proteine) hanno cicli di attività e inattività di circa ventiquattro ore: i nostri ritmi ne sono il risultato.

Orologio a energia solare

L’orologio biologico è in tutte le cellule del nostro corpo; ne esiste però uno principale che mantiene in sincronia tutti gli altri. Il big boss, alias il nucleo soprachiasmatico, si trova nel bel mezzo del cervello ed è costituito da circa 20mila cellule – poche, se si considera che nel cervello ce ne sono circa 100 miliardi. Poche cellule ma fondamentali: se si distruggono il ciclo sonno-veglia scompare.

Per mandare segnali al resto del corpo, l’orologio ha bisogno di un messaggero: la melatonina. Comunemente detto “ormone del sonno”, dovrebbe essere invece considerato l’ormone del buio, poiché la sua produzione inizia al calar della sera e finisce all’alba. Ma come? Non avevamo detto che il ritmo circadiano è indipendente dalla luce?

Esatto, ma dobbiamo considerare che il ritmo interno è, appunto, circadiano e non è lungo esattamente un giorno (23 ore e 56 minuti): quello degli esseri umani dura infatti ventiquattro ore e quindici minuti. Siccome quasi nessuno passa la propria vita immerso nell’oscurità, era necessario allineare i due orari. E si dà il caso che la luce solare sia il segnale ripetuto più affidabile del nostro ambiente: il ritmo circadiano sintonizza gli esseri viventi con la rotazione terrestre intorno al proprio asse e la luce ne regola la precisione.

Il nostro ritmo circadiano è indipendente dalla presenza della luce ma è sincronizzato con essa

Luce e sonno: indipendenti ma sincronizzati (Credits: Hernan Sanchez, Unsplash)

Tornando alla melatonina e al sonno, ecco come funziona l’ormone che ci aiuta a dormire: porta a tutto il corpo, attraverso il sangue, il messaggio “È buio!”. Una volta che abbiamo iniziato a dormire la sua produzione comincia a decrescere e si blocca completamente con le prime luci del mattino. Quando poi, al crepuscolo, l’energia solare diminuisce le melatonina aumenta di nuovo.

E buonanotte.

L’adenosina

Per andare a dormire è necessario un secondo fattore: l’adenosina è una molecola che si accumula nel nostro cervello e ci invita al sonno. La sua produzione inizia non appena ci svegliamo e prosegue durante tutta la giornata. La sera, più a lungo restiamo svegli, più la concentrazione di adenosina aumenta e più ci sentiamo assonnati. Quando ha raggiunto il livello massimo sentiamo un irresistibile desiderio di dormire.

Questo succede perché l’adenosina spegne le aree del cervello responsabili della veglia e accende quelle che inducono il sonno. Andati finalmente a letto, l’adenosina viene degradata. Attenzione però! Non basta la notte: dobbiamo dormire. Senza sonno, infatti, il suo livello non diminuisce, anzi continua ad aumentare.

Dopo aver trascorso una notte di sonno prolungato e di buona qualità, ci sentiamo svegli e pimpanti per due motivi: nel nostro cervello l’orologio biologico è nel pieno dell’attività e i livelli di adenosina sono bassi. Se invece a metà mattina ci sentiamo uno straccio, evidentemente la notte precedente abbiamo dormito poco o male: l’orologio segna l’ora giusta ma l’adenosina è ancora presente.

Possiamo silenziarla? La risposta è in una tazza di caffè.

Caffeina vs Adenosina

La caffeina può bloccare il segnale del sonno: funziona come un freno al desiderio di dormire. La caffeina, al contrario dell’adenosina, ci invita a stare svegli. Queste due molecole sono, in poche parole, vere e proprie antagoniste. Quando entrambe sono sul ring (cioè nel cervello) la lotta è vinta dalla caffeina: avendo una struttura chimica molto simile, la caffeina può attaccarsi ai siti del cervello dove di norma si dovrebbe legare l’adenosina.

Caffè per combattere il sonno? La caffeina funziona impedendo all'adenosina di farci desiderare di dormire

Caffeina: più la mandi giù, più ti tira su (Credits: Parker Johnson, Unsplash)

Rubando, letteralmente, il posto all’adenosina, la caffeina le impedisce di inviare il segnale “Vai a dormire!” e inganna il cervello facendolo sentire sveglio. Inganna perché purtroppo l’adenosina non si dà per vinta così facilmente: continua ad accumularsi nel cervello nonostante la momentanea sconfitta.

Se ci facciamo caso, un po’ di tempo dopo aver bevuto una tazza di caffè, a un certo punto arriva una bella e proverbiale “botta di sonno”: sentiamo il sonno che avevamo prima del caffè più quello che nel frattempo abbiamo accumulato – sotto forma di adenosina. È finito l’effetto della caffeina: il fegato ha fatto il suo lavoro e l’ha degradata.

A svolgere questo compito è un enzima, chiamato citocromo P450 1A2, di cui esistono due versioni o, scientificamente parlando, alleli. Alcune persone, infatti, hanno una versione più efficace dell’enzima e riescono quindi a degradare rapidamente la caffeina; altri ne hanno una più rallentata e quindi necessitano di più tempo. Il nostro rapporto con la caffeina è quindi determinato geneticamente e, in base a quanto emerso da uno studio tedesco condotto su circa 200 persone, l’allele più diffuso è quello rapido.

Cosa non ci fa dormire – Come funziona l’insonnia

Il dormire moderno è una questione complicata: da una parte tendiamo a dormire sempre meno – mandando giù una dose di caffeina sempre maggiore anche nelle ore più tarde della notte – dall’altra il numero di persone che combatte l’insonnia cresce continuamente. Negli Stati Uniti oltre 40 milioni di persone ne soffrono e i soldi spesi ogni anno per porvi rimedio sono circa 30 miliardi.

Nonostante per alcuni (tra cui lo scrittore Francis Scott Fitzgerald) sia “la cosa peggiore del mondo”, l’insonnia è sempre stata considerata un sintomo di qualche altro problema e spesso liquidata dai medici come una faccenda che è “tutta nella tua testa”.  Per fortuna, circa un decennio fa questo disturbo ha avuto l’attenzione che merita: da sintomo a malattia.

Essendo il disturbo del sonno più diffuso, si stanno compiendo numerosi sforzi per capire come funziona: non si riesce a dormire per cause psicologiche o genetiche.

Il cervello che non dorme mai

Le principali cause psicologiche dell’insonnia sono ansie e preoccupazioni. Le accumuliamo durante tutta la giornata e la sera, quando ci mettiamo a letto, invece di rilassarci cominciamo a pensare. Di conseguenza, il nostro cervello invece di spegnersi lentamente viene colto da un vortice di pensieri che ci agita.

L'insonnia è uno dei disturbi del sonno più diffusi. Le cause possono essere psicologiche o genetiche

La notte è sempre un gigante (Credits: Ben Blennerhassett, Unsplash)

Quello che succede (e che non dovrebbe succedere) è un’eccessiva attività del sistema simpatico, quella parte del cervello che solitamente si accende in risposta a minacce o stress. Inviando al corpo l’ordine “combatti o fuggi”, il sistema simpatico causa aumento del battito cardiaco e della pressione del sangue, accelerazione del metabolismo – quindi innalzamento della temperatura – e maggior attività di alcune parti del cervello.

In particolare, le aree attive nella testa di un insonne e spente in quella di una persona che fa la nanna sono tre: amigdala, ippocampo e talamo. L’amigdala fa tornare a galla tutte le emozioni; l’ippocampo passa in riesame ricordi ed esperienze; il talamo invece non blocca tutti gli impulsi sensoriali che arrivano dal mondo esterno.

Piccolo passo indietro sul come funziona il sonno quando riusciamo a dormire: il talamo decide quali impulsi esterni – come rumori e odori – possono entrare nel cervello; quando dormiamo chiude i battenti e noi non sentiamo più niente (è per colpa del talamo se per svegliarci abbiamo bisogno delle cannonate).

L’insonnia è anche nei geni

Recentemente, è stato scoperto che l’insonnia può essere anche scritta nei nostri geni. Per capire come il Dna può condizionare il sonno, nel 2017 un gruppo di scienziati provenienti da tutto il mondo ha confrontato il Dna di oltre 100mila individui andando alla ricerca dei geni dell’insonnia.

Dopo aver fatto compilare ai partecipanti dei questionari sulle proprie abitudini notturne, gli scienziati hanno trovato delle corrispondenze tra dichiarazioni e geni: coloro che avevano dichiarato di dormire poco erano anche portatori di alcune mutazioni genetiche. Si tratta di mutazioni che riguardano una singola lettera del gene, eppure altamente correlate al rischio di poter soffrire di insonnia.

Ad essere coinvolti sono (le mutazioni di) sette geni; tre di questi sono presenti sia in uomini sia in donne mentre gli altri quattro sono associati al sesso. In particolare, due hanno maggior prevalenza nelle donne e due negli uomini. È stato anche confermato che le donne hanno maggior predisposizione all’insonnia; la genetista Danielle Posthuma, a capo del team, ha affermato che “nel campione che abbiamo studiato, includendo principalmente persone di età superiore ai cinquant’anni, il 33% delle donne ha riferito di soffrire di insonnia, tra gli uomini solo il 24%”.

I disturbi del sonno possono avere anche origine genetica e sono quindi ereditabili. Non si può vivere senza dormire, come funziona la malattia del sonno detta "insonnia fatale familiare"?

Voglio dormire! Come funzionano i miei geni del sonno? (Credits: Minnie Zhou, Unsplash)

Questi risultati hanno due implicazioni importanti per i disturbi del sonno: in primo luogo, cause “reali” garantiranno loro il peso e la comprensione che meritano; in secondo luogo, bisogna considerare che, avendo una “componente genetica”, possono essere ereditati.

L’uomo senza sonno: come funziona l’insonnia familiare fatale

L’insonnia familiare fatale è una malattia genetica molto rara che causa, in chi ne è portatore, totale mancanza di sonno. Senza dormire l’organismo non può funzionare: non esistendo cure, dopo circa dieci mesi dall’insorgenza della malattia i pazienti muoiono. Si conoscono appena 200 casi di insonnia familiare fatale e, a conferma del nome e del carattere ereditario, tutti sono riconducibili ad appena 27 famiglie.

A non far dormire chi ne è affetto è un prione, ovvero una proteina con dei difetti strutturali. In altre parole, fatta male; ciò è dovuto a una mutazione del gene che porta le informazioni per questa proteina. Probabilmente avete già sentito parlare di prioni in relazione al morbo “della mucca pazza”, anche se ovviamente non si tratta dello stesso prione.

Tutti abbiamo nel cervello proteine prioniche che, nella forma sana, svolgono diverse funzioni. I portatori della mutazione nel gene della proteina prionica a un certo punto sviluppano la malattia: il prione comincia a comportarsi come un virus, infettando alcune aree del cervello. In particolare, nei pazienti affetti da insonnia fatale è stato scoperto che il talamo era pieno di buchi, come se il prione se lo fosse mangiato.

Come abbiamo detto prima, il talamo è fondamentale per il sonno perché chiude i cancelli sensoriali impedendoci di sentire ciò che avviene intorno a noi. In chi soffre di questa malattia, però, il talamo non funziona più: i cancelli sensoriali sono sempre spalancati e il sonno non sopraggiunge mai. Come se non bastasse, anche i segnali in uscita – che dal cervello vanno fino al resto del corpo – devono transitare per il talamo: quando è danneggiato però il battito cardiaco non rallenta, la pressione sanguigna non si abbassa e il metabolismo non rallenta.

Il sonno non è un’abitudine inutile

Come dimostra l’insonnia familiare fatale, non dormire per dieci mesi può portare alla morte di un uomo. Numerosi esperimenti condotti su moscerini privati di sonno hanno evidenziato che le cause della loro morte si trovano nell’intestino: accumulo di radicali liberi – molecole che, se non eliminate, uccidono le cellule.

Il sonno è un’esperienza che coinvolge tutto il corpo: nel cervello influenza, per esempio, la memoria, la creatività, le emozioni; al di fuori rafforza il sistema immunitario, regola l’appetito, salvaguardia la flora intestinale e tanto altro. Senza considerare l’effetto che il sonno ha sugli altri: nel mondo muore circa una persona ogni ventitré secondi e una delle cause principali è proprio la carenza di sonno.

Un argomento che è sempre stato e continua a essere un affascinante mistero. Le correlazioni tra sonno e benefici sono evidenti, così come lo sono gli effetti della mancanza di un riposo adeguato. Per questo, nonostante sia un momento di altissima vulnerabilità, non è ancora stata scoperta una specie animale che possa evitare di dormire.

 

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