
Tampone e sierologico – Come funzionano i test per Covid-19
In Italia sono stati fatti tantissimi test per Covid-19, tra tamponi e sierologici.
Oltre 13 milioni, secondo i dati di metà ottobre: questo è il numero di persone che, su tutto il territorio nazionale e dall’inizio della pandemia, si è sottoposta al tampone. Il test sierologico per Covid-19 sta vivendo un’impennata con l’inizio della scuola: circa 500mila tra docenti e non docenti hanno fatto il test a inizio settembre.
Ma, a fronte di numeri così spaventosi e una diffusione così ampia, sappiamo come funzionano questi test? Sappiamo cosa succede ai campioni di saliva e muco o a quelli di sangue dopo il prelievo? Possiamo scoprirlo; ma per farlo dobbiamo guardare le cose da un’altra prospettiva, dobbiamo guardarle attraverso un microscopio.
La grammatica di Covid-19
Proprio come era successo per gli ogm, parlando di tamponi e test sierologici per Covid-19 un grosso problema da affrontare è di natura linguistica. Infatti, più che il professore di scienze, dobbiamo interpellare per primo un professore di italiano: l’affermazione “Oggi ho fatto il tampone per il Covid-19!” contiene un errore grammaticale.

Difficoltà respiratorie, febbre e tosse: alcuni sintomi di Covid-19 (Credits: United Nations COVID-19 Response, Unsplash)
Covid-19 è un acronimo che sta per COronaVIrus Disease 19, ossia malattia da coronavirus (del) 2019. Poiché effettivamente poco trasparente, tale acronimo è spesso usato come il nome del virus e quindi abbinato ad articoli e aggettivi maschili. In realtà, in base al principio di assegnazione del genere basato su quello del termine tradotto, il nostro acronimo – disease è letteralmente malattia – dovrebbe essere in italiano di genere femminile: “Oggi ho fatto il tampone per la Covid-19!”
Siccome quotidianamente leggiamo e sentiamo parlare della malattia al maschile e, ammettiamolo pure, “la Covid-19” suona male, una possibile inversione di rotta risulta ormai poco plausibile. Forse, per essere grammaticalmente corretti, potremmo evitare qualsiasi genere: tampone e sierologico per Covid-19.
Ma, se Covid-19 è il nome della malattia, qual è allora il nome del virus? Sebbene sia molto diffuso l’appellativo generico coronavirus, il vero nome scientifico del virus è Sars-CoV-2. Un altro acronimo: Severe Acute Respiratory Syndrome CoronaVirus 2, cioè coronavirus 2 della sindrome respiratoria acuta grave. Il 2 è dovuto alla stretta parentela con un altro coronavirus (quello che causa la Sars) denominato appunto Sars-CoV.
Dopo tutte queste precisazioni, uno strappo alla regola lo facciamo anche noi: per facilità di lettura e scrittura e per grazia del nostro gusto estetico da ora in poi Sars-CoV-2 sarà più confidenzialmente coronavirus 2.
Viaggio al centro di un coronavirus 2
Il coronavirus 2 (come del resto tutti i coronavirus) ha una forma tondeggiante ed è veramente piccolo: il suo diametro è circa 600 volte più piccolo di quello di un capello. Tornando per un attimo ai tecnicismi, fa parte della categoria dei virus a Rna poiché utilizza un singolo filamento di Rna come materiale genetico – a differenza di tutti gli esseri viventi che utilizzano due filamenti di Dna.
Sull’Rna sono scritte le informazioni necessarie per la costruzione del virus stesso, che è fatto esclusivamente da proteine. Anzi, quasi esclusivamente: l’involucro esterno del coronavirus 2, infatti, viene preso in prestito dalla membrana della cellula infettata – quindi è di natura lipidica. In ogni caso, però, le proteine sono il pezzo forte e ciascuna ha un ruolo specifico.
Eccone alcune che, sotto forma di proteina o di gene, sono fondamentali per la diagnosi della Covid-19 mediante tampone o sierologico.

Struttura esterna di SARS-CoV-2; in rosso la proteina S (Credits: CDC, Unsplash)
Proteina S
La proteina Spike è, letteralmente, la proteina spuntone, cioè quella che spunta dalla superficie del virus; è proprio lei a riconoscere la superficie delle cellule del nostro tratto respiratorio e a permetterne l’invasione.
Proteina E
La proteina Envelope spunta anche’essa dalla superficie del virus e aiuta S ad attaccarsi alla cellula bersaglio.
Proteina N
La proteina Nucleocapsid si trova all’interno del virus legata al filamento di Rna: ne aumenta la stabilità e lo aiuta a reclutare intorno a sé i vari pezzi proteici al momento della costruzione di nuove particelle virali.
Proteina Rdrp
La proteina Rna-dependent Rna polymerase è una sorta di fotocopiatrice: usando come stampo l’Rna di un virus ne crea numerosissime altre copie, teoricamente identiche. Il suo compito è proprio quello di creare il materiale genetico per nuove particelle virali.
Come funziona un tampone per Covid-19
Ora che abbiamo messo insieme un po’ di informazioni da microscopio su come è fatto un coronavirus 2, possiamo addentrarci nel mondo delle tecniche che si usano per rintracciarne la presenza. Parleremo di tampone e sierologico per Covid-19 andando, però, ben oltre il diffuso “bisogna sedersi sulla poltrona e attendere la bacchetta su per il naso”.
Scopriremo, infatti, il loro funzionamento dal punto di vista delle molecole. Iniziamo con il metodo che, come si legge sui referti, viene usato per il tampone: il metodo Pcr.
La Pcr (Polymerase Chain Reaction) è considerata una delle più grandi svolte nella biologia ed è infatti una tecnica usata moltissimo in laboratori di vario tipo, inclusi quelli di analisi. Viene usata come test diagnostico per Covid-19 perché permette di rilevare la presenza del coronavirus 2 all’interno di un campione di saliva o muco. In particolare, la Pcr va alla ricerca del materiale genetico del virus, cioè del suo Rna.
Ma… come fa a cercare e trovare un minuscolo Rna nel mare magnum dei nostri liquidi corporei?

La Pcr va alla ricerca del coronavirus 2 nei nostri liquidi corporei (Credits: JC Gellidon, Unsplash)
Prima di andare avanti, dobbiamo precisare che lo scopo primario della Pcr (a prescindere dal tipo di analisi successiva) è quello di creare molte copie del genoma di un organismo. Se per caso questo ci ricorda la proteina fotocopiatrice di prima, siamo sulla strada giusta: questa tecnica utilizza proprio proteine di questo tipo! Per correttezza le chiameremo polimerasi.
Cocktail Pcr
A differenza delle polimerasi che replicano il genoma di tutti gli organismi, le polimerasi della Pcr non fotocopiano tutto il genoma ma solo un piccolo pezzo. La cosa pazzesca – e vincente per la tecnica – è che possiamo dire alle polimerasi esattamente quale parte del genoma vogliamo! Ok, magari noi no, ma gli scienziati assolutamente sì!
Allora chiediamolo direttamente a loro: carissimi scienziati, quale parte del genoma del coronavirus 2 volete? Ci rispondono che vogliono cercare tre geni (scritti sull’Rna del virus): il gene con l’informazione per la proteina Rdrp, il gene per la proteina E e quello per la proteina N.
Per comunicare alle polimerasi quali pezzi cercare e fotocopiare, gli scienziati devono dar loro qualche indizio: costruiscono dei pezzetti di Dna – detti primer – in grado di riconoscere l’inizio e la fine di ciascuno dei tre geni. Per vederci più chiaramente, invece del genoma, proviamo a immaginare l’alfabeto: è come se dicessimo alla polimerasi di cercare il segmento che va dalla lettera D alla lettera L e quindi di fotocopiare tantissime volte DEFGHIL.
Ora (omettendone ovviamente qualcuno non utile per la nostra storia) mettiamo insieme alcuni degli ingredienti necessari per una Pcr: un campione di saliva o muco, qualche polimerasi e i primer per il gene Rdrp, per il gene E e per il gene N.
Che la Pcr abbia inizio: i primer si mettono alla ricerca dei tre geni… Se li trovano la polimerasi li fotocopia creandone tantissime copie e gli scienziati, che sono in grado di vederle, allarmati affermano “Il virus c’è!”.
Se, al contrario, i primer non trovano nessun gene, il coronavirus 2 non dovrebbe essere presente e sul referto troveremo un assicurante negativo.
Come funziona un test sierologico per Covid-19
Un altro modo per andare alla ricerca del coronavirus 2 nel nostro corpo è quello di scoprire se abbiamo sviluppato gli anticorpi contro di esso. Quindi, tecnicamente, la ricerca del virus è indiretta perché gli anticorpi sono molecole proteiche che produciamo noi – o meglio, i nostri linfociti. Queste cellule del sistema immunitario, infatti, sfoderano l’artiglieria pesante solo quando percepiscono che il virus è nei paraggi.
La presenza degli anticorpi può significare due cose: o che il virus c’è nel preciso momento del test oppure che c’è stato qualche tempo prima. In realtà, in base al caso ci saranno anticorpi di tipo diverso, ma questa è un’altra storia…
Quello che interessa a noi ora è capire come fa un test sierologico a rintracciare questi benedetti anticorpi nel nostro sangue.

Ti sei mai ammalato di Covid-19? (Credits: Volodymyr Hryshchenko, Unsplash)
Fare un test sierologico per Covid-19 vuol dire sottoporre il nostro siero – una componente del sangue – a un test che vada alla ricerca di anticorpi anti-coronavirus 2. Queste tecniche diagnostiche si basano sul forte legame di un anticorpo con l’antigene che l’ha scatenato. Niente panico: è più facile di quanto possa sembrare.
Per spiegarne il meccanismo, prenderemo come esempio uno dei test più diffusi, il test Elisa (siccome è un acronimo inglese possiamo divertirci a leggerlo “Elaisa”).
Che cos’è il test Elisa
Come abbiamo già detto, gli anticorpi sono molecole proteiche prodotte dai nostri linfociti il cui compito è quello di attaccare e distruggere il virus. Data la loro funzione, è estremamente importante che gli anticorpi riconoscano il virus bersaglio – in questo caso il coronavirus 2 – e nessun’altro.
Per essere sicuri di non sbagliare preda, gli anticorpi sono specializzati nell’individuare il virus grazie a un suo “segno particolare”, potremmo dire. Questo segno particolare prende il nome di antigene. E nel caso del coronavirus 2 gli antigeni sono due: le proteine N e le proteine S. Mettendo insieme i pezzi: quando i linfociti percepiscono la presenza del virus nel nostro corpo producono e rilasciano gli anticorpi che, legandosi alle proteine S e N del virus, provano a neutralizzarlo.

Se ci siamo ammalati di Covid-19, nel nostro sangue ci saranno anticorpi anti-coronavirus 2 (Credits: National Cancer Institute, Unsplash)
Il test Elisa utilizza proprio la stessa filosofia: fa annusare al nostro siero la preda preferita degli anticorpi anti-coronavirus 2 e se questi ultimi ci sono inevitabilmente abboccheranno.
Questo è possibile perché gli scienziati sono in grado di creare degli antigeni sintetici in laboratorio; in questo specifico caso devono sintetizzare delle proteine N e S. Una volta pronte le immobilizzano su una sorta di lastrina e ci versano il nostro siero sopra. A questo punto possono succedere due cose.
Uno, siamo o siamo stati malati di Covid-19: nel nostro siero sono presenti gli anticorpi che, appena finiscono sopra gli antigeni, immediatamente li addentano, cioè si legano a essi.
Due, non siamo e non siamo stati malati di Covid-19: nel nostro siero non sono presenti gli anticorpi quindi gli antigeni restano liberi.
Ancora una volta, gli scienziati sono in grado di discriminare le due situazioni e comunicarci quindi l’esito del nostro test sierologico per Covid-19.
Special thanks to tampone e test sierologico per Covid-19
Ormai su tampone e test sierologico per Covid-19 se ne sentono e se ne leggono di tutti i colori, riguardo la loro specificità, la loro sensibilità, l’accuratezza, la valenza, quale è meglio, quale è peggio…
Ecco, questo nostro viaggio nel micromondo delle tecniche diagnostiche si è mantenuto volontariamente super partes, senza la pretesa di giudicarne l’affidabilità, senza la pretesa di classificarli (rapido, lento, qualitativo, quantitativo) per poterci schierare. La sua meta era dare un significato forse un po’ più concreto a tante parole che spesso restano oscure; per farlo per forza di cose abbiamo dovuto imboccare la strada della semplificazione e qualche scorciatoia.
Questo argomento è tanto complesso quanto dedicato e forse le cose sarebbero state ancora più difficili senza lo sforzo quotidiano dell’intera comunità scientifica e l’avanguardia del progresso scientifico. Dovremmo quindi ringraziarli davvero perché, pur non potendo evitare l’inevitabile, hanno reso possibile lo sviluppo di tecniche e tecnologie che possono salvaguardare la vita di tutti.
E pensare che c’è addirittura qualcuno per cui “Non ce n’è coviddi!”.
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