La rivoluzione agricola – Storie di broccoli, evoluzione e disparità sociali


È possibile parlare di rivoluzione agricola citando un film Pixar? Nella maggior parte dei casi forse no, ma vi assicuro che l’esempio calza. Avete presente la scena di Inside out in cui la signorina Disgusto salva la piccola Riley da una forchettata di broccoli?

Praticamente tutti i bambini odiano le verdure – io, da piccola, non mangiavo i fagiolini neanche sotto tortura. Probabilmente tutti noi abbiamo nel nostro cervello un piccolo signor Disgusto che evita di farci finire avvelenati dai broccoli (specie se, come sappiamo proprio da Inside out, possono trovarsi persino sulla pizza)! Se la propensione a mangiare cibi grassi e zuccherati è nel nostro Dna, far mangiare le verdure ai bambini – e anche a qualche adulto – è molto difficile. Eppure l’agricoltura è stata una vera a propria rivoluzione per l’uomo.

Vi abbiamo già parlato del passaggio dalla caccia all’agricoltura qualche settimana fa. Il nostro stile di vita è cambiato talmente tanto che possiamo definire questo passaggio come una vera e propria rivoluzione. Insomma, coltivare le tanto disprezzate verdure è stato il primo passo sulla strada che ci ha portato a diventare quello che siamo. E a far uscire un film come Inside out, aggiungerei. Anche se la rivoluzione agricola non sembra avere solo aspetti positivi, come vedremo.

La rivoluzione agricola: durezza e tranquillità

Da quando l’uomo è nato, è stato prevalentemente un cacciatore-raccoglitore. Nei millenni a seguire, invece, i cambiamenti che hanno stravolto le vite dei nostri antenati sono stati tali da influenzare anche le abitudini alimentari. Il passaggio dalla caccia all’agricoltura è stato un evento radicale causato dall’estinzione delle grandi bestie di cui l’uomo, cacciatore, si nutriva. Stroncati dall’aumento della temperatura terrestre dopo l’era glaciale e dalla caccia più intensa, i grandi mammiferi hanno iniziato ad estinguersi. Questo ha portato l’Homo sapiens a trovare altri modi per sfamarsi.

La rivoluzione agricola

(Credits: sasit, su Pixabay)

Si è sempre pensato che il cambiamento delle abitudini alimentari dell’uomo fosse stato un grande salto evolutivo per la nostra specie. I filosofi per centinaia di anni hanno declassato la caccia a una inutile fatica fisica. Lo sforzo giornaliero per procurarsi la carne è sempre stato visto come brutale e poco efficiente. Non avendo a disposizione i nostri freezer, era ovviamente impossibile poter conservare la carne e la lotta per la sopravvivenza era dunque costante ogni giorno. E se sei impegnato a procacciarti il cibo, è difficile impegnarti in studi filosofici.

Circa 10mila anni fa, gli uomini – indotti dai cambiamenti dell’ecosistema – iniziarono ad addomesticare piante e animali. Iniziò così la rivoluzione delle società preistoriche. La possibilità di immagazzinare e conservare il frutto del raccolto diede più certezza di sopravvivere all’uomo. La vita dei campi è certamente dura, ma se hai la certezza di aver conservato del raccolto sei più tranquillo.

L’uomo cambiò così il suo stile di vita, abbandonando la vita nomade. Diventò stanziale, creò piccoli assembramenti e iniziò a dar vita alle prime, rudimentali società organizzate. La corrente progressista cavalca l’ipotesi che i vantaggi della vita agricola siano così grandi che l’uomo abbia, consapevolmente, scelto di abbandonare la caccia in favore dell’agricoltura. Secondo i filosofi, inoltre, il miglioramento della qualità di vita conseguente alla rivoluzione agricola avrebbe permesso all’uomo il lusso di potersi avvicinare allo studio e alle arti.

Gli studi sulla rivoluzione agricola

Ancora oggi, nel mondo, ci sono tribù che basano la propria alimentazione sulla caccia. Questi piccoli popoli sopravvissuti alla rivoluzione agricola, a quella industriale e alla rivoluzione digitale – e che ai nostri occhi risultano primitivi – sono al centro da alcuni nni degli studi degli archeologi. L’analisi dello stile di vita delle odierne tribù cacciatrici, come i boscimani del Kalahari o i nomadi Hadza della Tasmania, ha disgregato le idee progressiste vecchie di millenni.

Le interviste agli appartenenti a queste popolazioni hanno distrutto i retaggi e le idee che ci portiamo dietro da tanto tempo: se si pensava che la caccia impegnasse quotidianamente i nostri antenati, lo studio delle abitudini dei cacciatori contemporanei ha dimostrato che, in realtà, questa occupa circa 15 ore alla settimana. Le persone hanno quindi tempo libero per dedicarsi ad attività più intellettuali.

L’alimentazione e la salute

La rivoluzione agricola e l'alimentazione

(Credits: Pexels, su Pixabay)

Anche lo studio della dieta non supporta più le tesi progressiste. Le popolazioni agricole basano la loro alimentazione su piante ad alto contenuto di carboidrati (patate e cereali), mentre i cacciatori si cibano di carne e molte varietà di piante. Calcolando la loro assunzione giornaliera di calorie, si è notato come in realtà la dieta dell’uomo cacciatore-raccoglitore sia ricca e varia. Per darvi un’idea: l’assunzione giornaliera di un uomo di circa 70 kg con una vita normale dovrebbe aggirarsi sulle 2000-2200 kcal; gli studi hanno evidenziato come i boshimani assumano circa 2100 kcal al giorno, con più di 90 grammi di proteine.

Inoltre, si nutrono di circa 75 specie vegetali diverse e questo gli assicura cibo sufficiente, anche in caso di mancanza di cacciagione. L’assunzione di carne e di molte specie vegetali assicura non solo un giusto apporto calorico, ma anche una dieta molto varia. Le popolazioni raccoglitrici invece basano la loro dieta sulla coltivazione di poche specie vegetali ad alto contenuto di amido e carboidrati, ma ciò non assicura la corretta assunzione di vitamine e amminoacidi essenziali.

Questi studi riguardano però le popolazioni cacciatrici odierne. Cosa sappiamo di quelle primitive? Lo studio dei resti umani (mummie e scheletri) ha permesso ai paleontologi di analizzare le condizioni di salute delle popolazioni primitive. Il confronto dello stato di salute tra le popolazioni è nettamente a favore dei cacciatori: hanno una aspettativa di vita più lunga (26 anni, contro i 19 anni dei raccoglitori) e una salute migliore (meno fratture ossee, meno carenze alimentari).

In aggiunta, le società agricole hanno iniziato a intraprendere rapporti commerciali con altre popolazioni e tribù. Questo aspetto ha considerevolmente aumentato la diffusione di malattie infettive e di parassitosi.

Le disparità sociali causate dall’agricoltura

Bisogna inoltre considerare un altro effetto che l’agricoltura ha avuto sull’uomo e sulla società. Se il filone progressista ha considerato la rivoluzione agricola come un salto evoluzionistico, secondo gli studiosi l’agricoltura ha avuto anche altre le ripercussioni sulle società, introducedendo la disparità di classe e di genere. La divisione in classi sociali è nata con la spartizione dei terreni e con la nascita di gerarchie basate sulla ricchezza. I re possedevano i terreni e i braccianti li coltivavano; ma il raccolto era di proprietà dei re, che ne traeva benefici alimentari ed economici. Uno studio sulle tombe reali micenee in Grecia, datate attorno al 1500 a.C., ha supportato questa tesi: i resti analizzati hanno evidenziato che i re e l’aristocrazia godevano di una dieta e di una salute migliori.

Oltre alle disparità sociali, la rivoluzione agricola avrebbe introdotto anche la disparità di genere. Le donne delle società stanziali avevano più sicurezza, non dovevano spostarsi con i figli e diventavano braccia utili al raccolto. Non dovendosi più occupare costantemente dei bambini poiché in una situazione statica, avevano gravidanze più frequenti, con forti ripercussioni sulla loro salute (infezioni, danni fisici e scheletrici, anche maggior rischio di morte). Le donne erano inoltre sottoposte a carichi pesanti durante il trasporto del raccolto, con conseguenze sul loro scheletro.

Come già detto, la caccia non ha sicuramente ridotto il tempo libero alle persone, come invece si pensava un tempo. A conferma di ciò, si possono ammirare costruzioni e dipinti risalenti a 15mila anni fa in territori dell’Alaska e indiani. Viene quindi scardinato un altro punto della visione progressista, quello secondo il quale senza l’agricoltura oggi non avremmo meraviglie architettoniche, come le piramidi egizie, il Partenone e il Colosseo.

Ma è stata davvero una rivoluzione positiva?

In un bilancio di questi studi, viene quindi evidenziato come l’agricoltura non abbia portato dei reali miglioramenti alla vita dell’uomo. Ha sacrificato la qualità di vita, in favore della possibilità di sfamare più persone. La rivoluzione agricola ha introdotto le disparità sociali, scatenato guerre e ha peggiorato le condizioni di salute.

Le posizioni degli ultimi studi hanno cambiato la percezione sul passaggio dalla caccia all’agricoltura: l’abbandono dello stile di vita dei cacciatori-raccoglitori non è stato volontario. Se il pensiero progressista ha attribuito a questo cambiamento un meccanismo evolutivo dell’uomo, in realtà, i nostri antenati hanno dovuto adattarsi al mutamento delle condizioni climatiche e ambientali in cui vivevano. I nuovi studi hanno dimostrato che le popolazioni di cacciatori-raccoglitori non se la passavano così male e il pensiero progressista è stato – in parte – limato.

Ma il dibattito rimane ancora aperto.

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