Acqua che bolle, pane che lievita e altre pillole di scienza quotidiana
Dall’acqua che bolle, pronta per buttarci dentro la pasta, al pane che lievita lentamente anche grazie a questo fondamentale ingrediente: avete mai fatto caso a quanta acqua utilizziamo nella nostra giornata, e per fare che cosa? Prendendo spunto dalla Giornata mondiale dell’acqua, ecco per voi ecco alcune storie a tema idrico che potrebbero interessarvi.
In questi giorni di quarantena mi sto dedicando alla cucina. L’unico problema è che non sono l’unica ad aver pensato di sfruttare questo tempo per preparare la pizza e il pane in casa. Se avete provato ad avventurarvi in un supermercato alla ricerca di lievito di birra, vi sarete accorti che è esaurito da tutte le parti.
Per ovviare a questa mancanza, mi sono lanciata nella produzione casalinga del lievito madre. Cos’è il lievito madre? Una pasta di acqua e farina che miscelandosi tra loro attivano i lieviti all’interno del composto, e si può poi utilizzare per la produzione di dolci, pane e pizza.
Acqua+farina = cosa succede?
Il lievito madre, o più correttamente pasta madre, è una massa che si forma miscelando insieme farina e acqua. Vediamo insieme gli ingredienti:
- La farina, fonte principale di carboidrati.
- L’acqua, fonte di sali minerali, serve per amalgamare l’impasto e mantenere l’umidità corretta. È fondamentale per lo sviluppo dei lieviti.
- Per favorire l’innesco delle reazioni chimiche può essere aggiunta una seconda fonte di carboidrati, ad esempio il miele, che contiene zuccheri più semplici.
I lieviti sono microorganismi unicellulari, appartengono al regno dei funghi e per vivere demoliscono i carboidrati in molecole più semplici, liberando energia che utilizzano per le funzioni cellulari. All’interno degli ingredienti utilizzati e nell’ambiente circostante si trova una microflora, composta da diverse specie di lattobacilli, saccaromiceti e candida. La pasta madre è un’ottimo terreno di coltura per lo sviluppo di questi microorganismi.
La lievitazione avviene grazie all’attività di questi batteri e lieviti, che effettuano la fermentazione. Il processo fermentativo avviene in condizione anaerobiche – ovvero in assenza di ossigeno. I microorganismi presenti, a contatto con le molecole d’acqua, processano gli zuccheri per produrre energia, liberando anidride carbonica e alcol. L’anidride carbonica che si libera in questo processo è responsabile della formazione di bolle d’aria e della lievitazione degli impasti.
Acqua che bolle? Butta la pasta!

(Credits: Pixabay)
Già alla fine del Settecento, il fisico americano Benjamin Thompson studiò l’ebollizione, il metodo principale di cottura degli alimenti.
Negli ultimi decenni ci siamo evoluti anche in cucina. I metodi di cottura sono diventati i più disparati: l’uso del microonde, il sottovuoto, la cucina molecolare. Ma a una cosa noi italiani siamo particolarmente fedeli: la pasta si butta nell’acqua che bolle. La cottura avviene grazie all’ingresso dell’acqua all’interno del singolo spaghetto. Le molecole di acqua idratano l’amido, contenuto nella pasta.
Questo processo viene chiamato gelatinizzazione, poiché l’amido passa da una struttura molecolare ordinata a una disordinata, con le caratteristiche tipiche di un gel. La temperatura elevata dell’acqua che bolle permette che questa reazione avvenga più velocemente. La modifica della struttura molecolare dell’amido libera le catene di amilosio e amilopectina che lo compongono. Una volta ingerita la pasta, queste vengono più facilmente attaccate dagli enzimi idrolitici del nostro apparato digerente, rendendola più digeribile.
La condizione ideale per l’idrolisi dell’amido è una temperatura compresa tra 50°-70°C, con un’umidità di circa il 25%. Questa temperatura viene però influenzata fortemente dalla presenza dei soluti disciolti nell’acqua. I sali, le proteine e i grassi aumentano la temperatura richiesta per la gelatinizzazione dell’amido, ma ne rallentano anche la ricristillazzazione, che avviene con il raffreddamento. La prossima volta che vi troverete a cucinare la pasta, mi raccomando: tutti con termometri e burette alla mano per studiare la vostra pentola d’acqua che bolle!
L’acqua e le cellule: perché beviamo?
Ormai tutti sappiamo quanto sia importante bere almeno 1,5 litri di acqua al giorno, ma vi siete mai chiesti perché? Il nostro organismo è composto da circa il 60% di acqua. Questa percentuale varia a seconda dell’età (un neonato arriva al 70% e decresce con l’anzianità), al sesso, alla massa muscolare e lipidica. La maggior parte dell’acqua è contenuta all’interno delle nostre cellule.

(Credits: Pixabay)
L’acqua di cui parliamo è una soluzione, la cui composizione varia notevolmente se ci riferiamo al liquido intra- o extracellulare, e alla funzione specifica di ciascun fluido dell’organismo. L’acqua infatti è ricca di ioni quali sodio, potassio, cloro e calcio. La concentrazione di queste sostanze è asimmetrica, il suo mantenimento è essenziale per lo svolgimento corretto delle funzioni delle cellule. L’equilibrio di questi ioni è probabilmente un retaggio dello sviluppo degli organismi nell’ambiente acquatico primordiale, nel quale predominavano ioni di sodio e cloro. Nel corso dell’evoluzione, con l’adattamento degli esseri viventi all’ambiente terrestre, è stata conservata la predominanza di questi due ioni, fondamentali per lo svolgimento di numerose attività cellulari.
L’omeostasi
Il corretto funzionamento di un organismo è legato al mantenimento della composizione e del volume di liquido intra- ed extracellulare, detto omeostasi. Questo equilibrio è importante per il mantenimento della corretta forma e dimensione cellulare, per rispettare il principio di neutralità delle cariche degli ioni, e per assicurare l’apporto di nutrienti alla cellula e il suo corretto funzionamento.
L’assunzione di acqua avviene esclusivamente per via orale e viene assorbita nel tratto intestinale. Le perdite idriche invece sono da ritrovarsi nelle urine e nelle feci, che vengono controllate dal nostro sistema escretore. Ma vi sono anche perdite non controllate dall’organismo, come la sudorazione e la perspiratio insensibilis. Quest’ultima rappresenta la perdita involontaria che avviene attraverso le cellule dell’apparato respiratorio e della cute, che consente la termoregolazione. È fondamentale quindi reintegrare i liquidi persi dal corpo assumendo acqua (attraverso il cibo e grazie allo stimolo della sete) per mantenere ottimale il funzionamento delle cellule.
Acqua e sapone
Durante l’infanzia i nostri genitori ci hanno detto (in qualche caso, gridato) tantissime volte di lavarci le mani prima di metterci a tavola. Nelle ultime settimane il tema dell’igiene delle mani è tornato alla ribalta per evitare il contagio del Coronavirus, ma è sempre una buona pratica da seguire.

(Credits: Pixabay)
Per l’essere umano il tatto è uno dei sensi principali. Fin dall’infanzia le nostre mani entrano costantemente in contatto con il mondo esterno, diventando un ricettacolo di sporco, polvere e microbi. La corretta igiene delle mani è importante quindi per mantenerci in salute. Ma come funziona la detersione? Perché l’acqua e il sapone sono il miglior modo per lavarsi le mani?
Il sapone ha origine da un processo chimico detto saponificazione. Partendo da una miscela di grassi solidi e olio di cocco, i trigliceridi vengono fatti bollire insieme all’idrossido di sodio. In questo processo le molecole dei grassi vengono rotte dall’azione dell’acqua, a cui viene aggiunto del cloruro di sodio – sì, esatto: il sale da cucina – che fa precipitare il sapone sotto forma di grossi grumi. Dopo diverse purificazioni per eliminare le impurità, il sapone viene sottoposto a trattamenti industriali per produrre saponi cosmetici, saponi medicati e altri prodotti.
Ma come funziona il sapone?
Le proprietà detergenti del sapone sono da ricondurre al suo potere emulsionante. Le molecole che compongono il sapone hanno una porzione idrocarburica, detta coda, e una porzione polare formata dal gruppo carbossilato¸detta testa. La coda è idrofobica, ovvero insolubile in acqua e tende a organizzarsi in modo da minimizzare il contatto con le molecole di acqua, mentre la testa è idrofila. Queste caratteristiche chimiche permettono l’aggregazione delle molecole di sapone in micelle. Le code della molecola di sapone si posizionano verso l’interno e le teste polari si rivolgono verso le molecole d’acqua.
Le particelle che compongono “lo sporco” sono generalmente apolari e quindi insolubili in acqua, come le code del sapone. Una volta che mettiamo sulle nostre mani una goccia di sapone e le sfreghiamo, le code formeranno delle micelle attorno alle particelle di sporco, che rimarranno intrappolate al loro interno.
Quando le mani passano sotto l’acqua, le particelle sono lavate vie grazie alla testa polare delle micelle che è affine all’acqua e avremo così delle mani perfettamente pulite!
+ Non ci sono commenti
Aggiungi