La psicoterapia funziona davvero? La scienza risponde


La psicoterapia funziona? La risposta rapida è sì, ma ad alcune condizioni.

La psicoterapia non è tutta uguale

Avrete sicuramente sentito dire che la psicoterapia si avvale di diversi approcci. C’è l’approccio della psicoanalisi, quello junghiano, la psicoterapia rogersiana, quella sistemica, interpersonale e chi più ne ha più ne metta. Ognuno di essi si fonda su una struttura teorica e su tecniche specifiche. Tuttavia, non tutte sembrano essere efficaci.

Negli ultimi tempi la ricerca scientifica in psicologia si è concentrata sugli studi di efficacia della psicoterapia. Di certo non è un oggetto facile da analizzare: come può la psicoterapia diventare un numero? Con molta fatica e ancora qualche dubbio, i ricercatori ce l’hanno fatta e i risultati sono molto interessanti.

Le ricerche recenti, infatti, affermano che la terapia con maggiori prove di efficacia sia quella cognitivo-comportamentale (TCC), seguita da quella strategica breve. Altre ricerche recenti, tuttavia, trovano efficacia anche nelle tecniche più classiche come quelle della psicoanalisi.

Facendo qualche esempio più specifico, diverse ricerche vedono la TCC la terapia più efficace, per esempio, nei disturbi d’ansia e nella depressione. Altre vedono la terapia dialettico-comportamentale efficace nei Disturbi Borderline di personalità, mentre la tecnica EMDR nel Disturbo Post-Traumatico da Stress. Grazie a queste ricerche, sono stati sviluppati i cosiddetti “protocolli“, ovvero procedure più o meno standardizzate che, se applicate da terapeuta e paziente, possono diventare il modo più efficace e efficiente di curare diversi disturbi mentali (per esempio il Disturbo da Panico, l’Ansia Generalizzata o il Disturbo Ossessivo-Compulsivo). In pratica, i migliori risultati nel tempo più breve possibile.

Capirete l’importanza di queste ricerche per il servizio pubblico: se io so che una determinata tecnica funziona e serve meno tempo rispetto ad altre, questa potrebbe essere inserita, per esempio, nei servizi di salute mentale e curerebbe una buona fetta di popolazione con le risorse limitatissime del Servizio Sanitario Nazionale. Bel risultato vero?

In realtà, come sempre, le cose sono più complesse di così e non sempre sapere che qualcosa funziona equivale a metterlo in pratica.

Il gap tra scienza e pratica

Esiste un divario, un “gap” come direbbero gli inglesi, tra ricerca scientifica e pratica clinica negli studi degli psicologi. Da una parte, la scienza sta dando ogni giorno di più indicazioni ben precise su cosa funziona e cosa non funziona nella stanza terapeutica. Eppure, molti psicologi sono restii al cambiamento e non applicano ciò che la ricerca afferma essere efficace. Un po’ come le nonne tradizionaliste, ostinate nell’impastare con mani e sudore invece di utilizzare la nonna papera elettrica.

Fai come Nonna Luisa: adotta anche tu una nonna papera e…usa i protocolli!

Ma se la nonna che impasta a mano non crea danno a nessuno, a parte una trepidante attesa per la pasta fatta in casa, psicologi e psichiatri potrebbero tardare nella presa in carico di pazienti bisognosi, allungando così i tempi e contribuendo alla cronicizzazione del disturbo.

Quali sono le ragioni per cui psicologi e psichiatri in tutto il mondo faticano ad applicare tecniche di comprovata efficacia? Un’ipotesi è quella offerta da una recentissima ricerca dell’Università di Yale (USA), in cui sono stati intervistati diversi psicologi che applicavano un protocollo per il Disturbo Post Traumatico da Stress ai veterani di guerra. Ai loro occhi, i protocolli “step by step” offrono scarsa flessibilità e la rigidità nell’applicazione di una procedura unica per tutti distoglie l’attenzione dalle esigenze irripetibili dei diversi pazienti.

Scegliere la tecnica giusta…e lo psicologo giusto!

Questo sembra essere un problema importante. Se vado dallo psicologo voglio essere capito nella mia storia personale e nelle mie esperienze individuali: non voglio essere ridotto ad un mero oggetto di una procedura standard uguale per tutti! Non avreste tutti i torti! Il problema, però, non sta nel protocollo in sé, ma nello psicologo e nella sua abilità di adattare un percorso valido (che sappiamo funzionare!) ai bisogni specifici di chi si trova davanti a lui.

Anche Dotto utilizza le più recenti ricerche scientifiche nella sua pratica clinica (Fonte: Doug Bratton)

Per usare un’altra delle mie metafore, pensate ad un sarto. Un buon sarto è quello che sa creare un vestito da zero, ma un ottimo sarto è quello che riesce ad adattare la struttura classica del vestito al corpo del cliente, evidenziandone i punti di forza e smussando i punti critici. La base del vestito è sempre la stessa, ma riadattata al cliente e alle sue esigenze. Non daremmo mai un vestito bianco ad un uomo che si sposa sull’erba di un prato bagnato, giusto? Stessa cosa può fare lo psicologo: l’abilità sta proprio nel pescare le tecniche giuste per quel paziente nel pool di tecniche che sappiamo funzionare.

E allora, dopo tutto questo pippone, come faccio io, semplice cittadino in difficoltà, a scegliere lo psicologo giusto che applica le tecniche giuste per me? In due semplici step!

  1. Tanto del successo di una terapia sta nella relazione che si instaura tra paziente e psicologo: vi dovete trovare bene e sviluppare un buon rapporto di collaborazione. Attenzione: collaborazione, non dipendenza! In quella stanza si lavora in due! Relazione efficace = terapia efficace! …ma solo per il 50%.
  2. Potete chiedere specifiche sull’approccio utilizzato dal vostro psicologo e lui/lei sarà lieto/a di spiegarvelo! Potete informarvi su Internet, comprare libri di psicologia generale, se siete particolarmente interessati. Ma la base sta nello scambio di informazioni col vostro terapeuta. In base a quello, potete capire insieme se il suo metodo di lavoro è quello giusto per le vostre problematiche oppure no. Tecniche efficaci = terapia efficace! …per l’altro 50%.

Buona terapia!

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