Lo psicologo scolastico, parte 2: l’impiccione e l’hippie


E’ arrivato settembre, e con lui anche l’inizio della scuola, croce e delizia di una buona fetta della popolazione italiana. Per dimostrarvi che sono proprio ovunque, nei mesi di settembre e ottobre vedremo gli psicologi invadere anche l’edificio più frequentato dagli under 18, con lo psicologo scolastico. Clicca qui per la parte 1: la maestra 2.0.

 “Sono una psicologa e lavoro in una scuola”

“No! Mio figlio non ci viene da te: lo manipoli, lo metti contro i suoi genitori e gli infili idee strane in testa”

Si fidi: se ne fossi capace, dominerei il mondo”

 

Chissà se uno psicologo scolastico avrebbe salvato Bart dai bulli di Springfield...

Chissà se uno psicologo scolastico avrebbe salvato Bart dai bulli di Springfield…

Un altra area di intervento dello psicologo scolastico è tutto ciò che a scuola esiste ma di cui nessuno parla. Cosa c’è, a scuola, che non sia apprendimento, studio, matematica o italiano? Pensateci: se non vi viene in mente proprio niente, eravate decisamente i secchioni della classe. Qualche esempio? Gli amici, l’insegnante antipatico che nessuno capisce quando spiega, il bullo che picchia all’uscita dal bagno, la compagna di classe con le mestrua…che?, il ragazzo che ti piace ma tu sei un ragazzo, il fidanzato che ti chiede di farlo nei bagni ma tu non sai niente di sesso.

Ho reso l’idea.

La scuola, banale a dirsi, è un ambiente che offre molto più delle materie scolastiche. Nel periodo più critico della crescita, bambini e ragazzi passano all’interno degli istituti scolastici gran parte della loro giornata. Ecco perché le scuole devono essere in grado di gestire tutto quello che abbiamo appena elencato, ovvero: le loro abilità sociali, comunicative, l’educazione all’affettività e alle emozioni, la sessualità, il rispetto dei diritti umani e l’educazione civica.

Purtroppo non possiamo chiedere agli insegnanti di occuparsi di tutto. Finora, non hanno ancora sviluppato il dono dell’ubiquità e della manipolazione dello spazio-tempo (anche se circola voce di un insegnante di italiano con tre occhi in un istituto tecnico molisano). Allora, chi può occuparsi di tutto questo popò di roba? Indovinato! Lo psicologo scolastico!

Lo psico-impiccione.

Se vi ricordate, abbiamo detto che in Italia è raro che gli psicologi lavorino in una scuola a tempo pieno, a meno che non sia privata e abbia un buon budget. La scuola pubblica, non prevedendo questa figura all’interno del personale di ruolo, tende a chiamare gli psicologi attraverso progetti: temporanei, spesso sottopagati e solitamente orientati alla gestione delle emergenze. La scuola, in sostanza, non avendo soldi per mantenere uno psicologo a tempo pieno, chiama il consulente esterno solo quando proprio non si sa come fare per risolvere un problema. Questo porta a vedere lo psicologo come quello che arriva quando c’è stato qualche guaio: gravi casi di bullismo, suicidi, atti vandalici o spaccio di droga.

Ecco perché lo psicologo scolastico risulta un impiccione: nel momento in cui è scoppiato il casino, lo psicologo cerca di risolvere la cosa, ma questo rischia di portare tutti (studenti, professori e genitori) a due reazioni diverse: chiudersi sulla difensiva, per paura di essere accusati, oppure accusare e colpevolizzare i responsabili del fattaccio. Questo lo psicologo lo sa e infatti il suo intervento si basa anche sul gestire questo tipo di emozioni. Lo psicologo non è lì per trovare il colpevole, per esempio di un pestaggio: l’intervento educativo e “sanzionatorio”, ovvero la punizione, spetta a insegnanti e preside. Lo psicologo è lì per cercare di capire perché è successo quel putiferio e rendere i bambini/ragazzi maggiormente consapevoli e responsabili.

Lo psico-hippie.

E quando non c’è un’emergenza? Non c’è lo psicologo! In un mondo ideale fatto di arcobaleni e unicorni, lo psicologo nasce per fare prevenzione. Questo termine, che in Italia sembra quasi una parolaccia, indica semplicemente un insieme di azioni che prevengono un risultato spiacevole. Facciamo un esempio: la ricerca ci dice che gli episodi di bullismo non avvengono se tutte le mattine i ragazzi disegnano cuoricini per 5 minuti e 30 secondi precisi. Benissimo, io psicologo scolastico riferisco questa strabiliante scoperta scientifica ai docenti e l’espressione grafica di cuoricini diventa un’attività didattica quotidiana. Agli occhi dei genitori, della società e del bidello, in quella scuola i bambini e i ragazzi disegnano cuori perché gliel’ha detto lo psicologo, ma nessuno sa il perché: ergo, lo psicologo diventa un hippie.

Peace, love, and interventi validati di benessere psicologico

Il bello e il brutto della prevenzione è che il collegamento causale tra azione ed evento mancato non è visibile: gli insegnanti si chiederanno perché i bambini devono disegnare cuoricini quando potrebbero fare 5 minuti in più di matematica, i genitori si lamenteranno e non vedranno lo scopo di questa bizzarra attività. Eppure lo scopo c’è, ma per il cervello umano è più facile creare associazioni di causa-effetto tra avvenimenti scollegati ma visibili (“la maglietta rossa mi porta fortuna perché la indossavo a quel colloquio di lavoro”) piuttosto che tra avvenimenti collegati ma non visibili (un progetto di prevenzione del bullismo e il mancato suicidio di una potenziale vittima, o un progetto di educazione alla sessualità e una mancata gravidanza adolescenziale).

In sostanza: lo psicologo scolastico agisce sulle emergenze, a fatti già compiuti, e sulla prevenzione di eventi spiacevoli, all’interno di tutte le scuole. Chiediamoci una cosa: è meglio fare tutto il possibile per evitare che un ragazzino venga picchiato dai compagni perché omosessuale, oppure lasciare che succeda e accontentarsi di gruppi di supporto e movimenti di indignazione?

Ai posteri l’ardua sentenza…

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