Onde gravitazionali, stringhe, superstringhe e stregatti


C’era una volta, tanto tempo fa, in un luogo molto molto lontano…

Per quanto possa sembrare inappropriato, non c’è incipit migliore per introdurre la recente scoperta fatta riguardo alle onde gravitazionali.

Infatti, il fenomeno analizzato che ha permesso la scoperta di cui parleremo, è avvenuto quasi un miliardo e mezzo di anni fa (tanto tempo fa) a più di un miliardo di anni luce da casa nostra (in un luogo molto lontano).

Ma questa è una di quelle storie che vale la pena di essere raccontata partendo dalla fine.

 

Durante una conferenza congiunta a Pisa e a Washington, l’11 febbraio 2016, viene annunciata la prima rilevazione diretta di onde gravitazionali.

Le onde gravitazionali sono state teorizzate da Albert Einstein nel 1915, mentre cercava di spiegare una serie di effetti sperimentali che non tornavano se spiegati con le teorie della meccanica classica di Newton.

Einstein decise che era necessario trovare una descrizione più precisa della forza di gravità, ed è così che diete origine alla sua Teoria della Relatività Generale, che ha tra i suoi pilastri un concetto che possiamo semplificare come segue: lo spazio e il tempo sono un’entità unica, denominata spazio-tempo, a quattro dimensioni (tre spaziali e una temporale).

La Teoria della Relatività Generale descrive la gravità come una manifestazione della curvatura dello spazio-tempo che, permeando tutto l’universo, viene deformato dai corpi e perturbato da masse in movimento. Queste perturbazioni sono appunto le onde gravitazionali che, dalla loro sorgente, si diffondono in modo analogo alle increspature sulla superficie di un laghetto, viaggiando però alla velocità della luce.

Se ci guardiamo da vicino, la teoria di Einstein e quella di Newton possono portare allo stesso risultato: infatti l’organizzazione del nostro sistema solare è dimostrabile utilizzando entrambe le interpretazioni.
Ma basta guardare un po’ più in là per poter osservare fenomeni che possiamo spiegare solo grazie alle onde gravitazionali. Ad esempio, l’ammasso di galassie denominato “Stregatto”, chiamato così per la somiglianza con il famoso personaggio di Carroll rappresentato dalla Disney.

Quelle che vedete formare il contorno del volto e il sorriso del gatto sono chiamati “lenti gravitazionali”, e saperle interpretare ci permette di studiare nel dettaglio galassie molto lontane da noi.

Il sorriso e il profilo del volto sono galassie poste dietro un ammasso (gli occhi del gatto), che non dovremmo essere in grado di vedere secondo la legge di gravitazione universale di Newton.

Poiché lo spazio-tempo è curvato dall’ammasso, noi riusciamo comunque a vedere la luce delle galassie nonostante la presenza del grosso oggetto. Ovviamente le vediamo deformate e con la sensazione che la loro luce provenga da un’altra direzione.

Con la rilevazione delle onde gravitazionali, oggi siamo in grado di spiegare questo effetto, teorizzato nel 1915 da Einstein e osservato per via sperimentale nel 1919 da Arthur Eddington, durante un’eclissi di Sole.

Purtroppo, rivelare le onde gravitazionali è un’impresa complessa e questo è il motivo per cui solo oggi siamo riusciti a captarle.

E quindi come abbiamo fatto a captare le onde gravitazionali?

Per registrare questi fenomeni sono stati costruiti degli Interferometri laser (LIGO e VIRGO), e già dal nome si intuisce che non si tratta di qualcosa di semplice da costruire! Ma se volete provarci, ecco le istruzioni.
Create due fasci laser perpendicolari tra di loro e fateli riflettere uno verso l’altro in modo che interferiscano tra di loro e terminino insieme verso un rivelatore di interferenza. Prendete nota del valore di interferenza risultante e aspettate che un’onda gravitazionale attraversi uno dei due fasci. Quando un’onda gravitazionale attraversa l’interferometro, produce una variazione nella lunghezza dei bracci: uno si allunga mentre l’altro si accorcia. Queste variazioni di lunghezza, che sono molto più piccole del diametro del nucleo di un atomo, producono uno sfasamento della luce laser che viene osservato dal rivelatore.

Più o meno questo è quanto successo il ​​14 settembre 2015, alle 10:50:45 ora italiana, ad entrambi gli strumenti gemelli Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory (LIGO) negli Stati Uniti. Gli osservatori LIGO, quel giorno, hanno registrato l’arrivo delle onde gravitazionali entro una finestra temporale di coincidenza di 10 millisecondi.

Ma da dove provenivano quelle onde gravitazionali?

Come anticipato all’inizio di questo articolo, tutto ha avuto inizio circa un miliardo e mezzo di anni fa.

Quel giorno, anzi, in quell’istante, due buchi neri, di massa equivalente a circa 29 e 36 volte la massa del sole, si fusero in un unico buco nero ruotante di circa 62 masse solari. Buchi neri di questo che si girano intorno avvicinandosi sempre di più, fino a fondersi, sono definiti coalescenti.

I più attenti tra voi avranno notato che 62 masse è inferiore alla somma delle masse dei due buchi neri coalescenti (gli altri provino a fare i conti!): infatti, mancano 3 masse solari, che equivalgono all’energia emessa durante il processo di fusione dei due buchi neri, sotto forma di onde gravitazionali.

Tutto ciò è avvenuto a 410 megaparsec da casa nostra e risale quindi a quasi un miliardo e mezzo di anni fa (il tempo necessario per giungere fino a noi), quando sulla Terra facevano la loro comparsa le prime cellule evolute in grado di utilizzare l’ossigeno.

Grazie a questa nuova conoscenza a cui abbiamo accesso, saremo in grado di svelare aspetti dell’universo finora inaccessibili: i processi più colossali del cosmo sono sorgente di onde gravitazionali, e l’osservazione di tali onde ci consente di ottenere informazioni sulle masse e sui meccanismi coinvolti nell’emissione. Basandosi su modelli che associano le caratteristiche delle onde alle possibili cause che le hanno provocate gli scienziati sono in grado di individuare la sorgente dell’onda analizzata, come quando, ascoltando una melodia, siamo in grado di capire se viene generato da uno strumento a fiato, a corda o a percussione.

Le onde gravitazionali hanno una natura completamente diversa rispetto alla radiazione elettromagnetica, fino ad oggi tra i principali mezzi di osservazione astronomica, essendo generate dal moto dei corpi celesti e riuscendo a trasportare intatta l’informazione sul fenomeno che le ha originate. Inoltre, i nostri telescopi possono osservare solamente una piccola porzione del cielo alla volta, mentre i rivelatori di onde gravitazionali sono per loro natura non direzionali e quindi sempre in ascolto di una vasta porzione di universo.

L’esistenza, ora provata, delle onde gravitazionali ci rende possibile studiare l’universo in modo completamente differente. Oltre che «vederlo», saremo in grado anche di «sentirlo» nella sua essenza più fondamentale: lo spazio-tempo.

Le nuove misure che potremo effettuare ci permetteranno di raccogliere informazioni sull’universo primordiale a un tempo molto prossimo al momento del Big Bang.

Wormhole-shutterstock_221751379-WEBONLYOltre a comprendere meglio come l’universo sia nato e si stia espandendo potremo analizzare fenomeni teorici rimasti finora confinati alla fantascienza: come, ad esempio, i Wormhole di cui abbiamo già parlato e che permetterebbero di viaggiare nel tempo sfruttando i tunnel spazio-temporali dei buchi neri per spostarsi istantaneamente tra punti e momenti diversi dello spazio e del tempo.

Inoltre, le comunità scientifiche mondiali potranno avvicinarsi alla soluzione dei componenti di base dello spazio-tempo secondo la teoria della meccanica quantistica, ancora in discussione tra stringhe, superstringhe e supergravità.

Quindi, ricapitolando: un miliardo e mezzo di anni fa è accaduto un evento che ha permesso di dimostrare una teoria di circa cento anni fa grazie a delle rivelazioni avvenute il 14 settembre 2015 che cambieranno il nostro futuro.

E allora perché tutti noi l’abbiamo scoperto solo l’11 febbraio 2016?

Immaginate di aver scoperto un fenomeno che potrebbe cambiare il modo di studiare il cosmo da oggi in avanti. Sicuramente prima di dirlo a tutti, vorreste prima essere sicuri di non esservi sbagliati. Nessuno vuole fare la figuraccia che fecero nel 2012 i ricercatori del team dell’esperimento Opera dell’acceleratore di particelle del CERN di Ginevra quando dichiararono che avevano individuato dei neutrini più veloci della luce: in quel caso si scoprì presto che ci fu un errore nelle strumentazioni.

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Ovviamente, ben vengano gli errori (purché corretti per tempo), ben vengano le teorie che fanno sembrare pazzo chi le formula, ma soprattutto, ben venga l’entusiasmo di chi, come Galileo, alzando gli occhi verso il cielo, si innamora di quello che non può capire e cerca in tutti i modi un metodo per riscoprire la verità!

E se non vi basta il fatto che in un colpo solo il mondo abbia ottenuto la conferma dell’esistenza delle onde gravitazionali e che i buchi neri possono essere binari, rotanti e possono fondersi tra loro, e pensate che siano tutti studi inutili e soldi buttati al vento (o nello spazio), ripensateci. Valutate bene le vostre opinioni mentre guidate e usate il vostro navigatore GPS, o guardate il vostro film preferito grazie a un laser nel vostro lettore Blu-ray, o manifestate il vostro dissenso su Facebook dal vostro cellulare, … e la lista potrebbe andare avanti.

Se dopo averci ripensato, siete ancora convinti che tutto ciò non serva a nulla, potete tornare nelle grotte e risolvere il problema della fame nel mondo e delle malattie ancora incurabili da lì.

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