L’arte del Decision Making


Tutti quanti prendiamo decisioni, sempre e costantemente. Il filosofo e teologo Søren Kierkegaard riteneva che anche non scegliere rappresenta in realtà già una scelta.

Eppure, nonostante l’importanza che ha per noi l’atto decisionale (e le sue conseguenze), spesso perdiamo più tempo ad allenare il nostro fisico piuttosto che migliorare la nostra capacità di prendere decisioni (Decision Making). La coscienza popolare ci insegna che imparare dai propri errori è un processo naturale per acquisire esperienza e non replicare in futuro scelte sbagliate, ma ci sono studiosi che dalla metà del secolo scorso hanno cominciato a spiegare al mondo come in realtà la nostra stessa esperienza pregressa possa a volte giocare a nostro sfavore.

In questo articolo percorreremo il lavoro svolto da Daniel Kahneman nel vasto mondo della Teoria delle decisioni e in particolare ci soffermeremo sui risultati ottenuti insieme al collega e amico Amos Tversky su quella che poi definirono Teoria del Prospetto.

Prima dei loro importanti contributi nel mondo di quella che oggi chiamiamo Psicologia Cognitiva (scienza che studia cosa succede nella nostra mente durante il processo decisionale) la teoria delle decisioni era suddivisa in due filoni principali: teoria normativa e teoria descrittiva. La prima analizza il modo con cui le decisioni dovrebbero essere prese qualora fossimo totalmente razionali e pienamente informati ed ha un orientamento economico. La teoria descrittiva, invece, cerca di scoprire come le decisioni vengono prese nei diversi contesti operativi e a seconda dei nostri bisogni, ricordi, emozioni, paure, esperienze, intuizioni, etc.

Entrambi questi filoni cercano di interpretare come ognuno di noi, davanti a una determinata scelta, opti per quella che massimizzi il valore ottenibile, o meglio, quella con il più alto valore atteso, che possiamo definire come segue: il valore della vincita (o di ciò che si va ad ottenere) moltiplicato per la probabilità che ha di verificarsi. Ad esempio, giocando a testa e croce possiamo vincere 100€ se esce testa e 50€ se esce croce. In questo caso, se scegliamo testa dobbiamo moltiplicare il valore della vincita (100€) per la probabilità di vittoria (0,5), ottenendo così per la nostra scelta un valore atteso di 50€.

Kahneman, nato a Tel Aviv nel 1934 da famiglia ebrea, è uno psicologo che sin da bambino era attratto dal fascino e dalla complicatezza delle logiche del pensiero umano e un po’ anche dalla matematica.

Lui stesso racconta che una volta, all’età di circa 8 anni (la sua famiglia viveva a Parigi negli anni dell’invasione nazista) stava rientrando in ritardo rispetto al coprifuoco da casa di un amico e incrociò la strada di un militare tedesco che indossava la tipica divisa nera delle SS. Fu subito preso dal terrore visto che agli ebrei era proibito non osservare il coprifuoco e tentò di mantenere nascosta la Stella di Davide con la fodera del cappotto. Ad un certo punto il militare si diresse verso di lui, lo prese con entrambi le mani e lo abbracciò. Dopodiché gli mostrò la foto di un bambino e gli diede dei soldi. Nel tornare a casa, ripensando a quell’imprevedibile gesto, il piccolo Daniel si convinse che la mente umana è infinitamente complicata e interessante.

Cominciò ad assaggiare la psicologia sociale studiando Kurt Lewin e rimase influenzato dalla Teoria del Campo, secondo la quale il comportamento dell’individuo è una funzione regolata da fattori interdipendenti costituiti dalla sua personalità e dall’ambiente che lo circonda.

Qualche anno dopo aver ottenuto la cattedra di psicologia, conobbe Amos Tversky e questo incontro si rivelò ben più proficuo di tutte le sue ricerche effettuare sino a quel momento.

I due, partendo da intuizioni e avvalorandosi di ricerche empiriche, spiegarono come le teorie economiche non si possano applicare ai decisori umani e che laddove la scelta non viene compiuta in maniera razionale, si può comunque individuare una certa regolarità sull’orientamento di decisioni simili in contesti simili anche tra persone diverse.

Utilizzando come confronto la Teoria dell’utilità attesa di John von Neumann e Oskar Morgenstern, riuscirono a identificare alcuni fenomeni psicologici che non ci permettono di prendere la decisione ritenuta migliore dal punto di vista razionale delle teorie normative.

Avversione alle perdite

Uno dei primi fattori è caratterizzato dal fatto che la nostra risposta alle perdite è molto più intensa rispetto alla risposta al corrispondente guadagno: in poche parole, stiamo peggio se perdiamo 1.000€ rispetto a quanto staremo meglio se ne guadagnassimo altrettanti.

Paperone poveroQuesta asimmetria tra perdita e guadagno sembra dipendere dai nostri istinti primordiali secondo i quali perdere un pezzo di carne significa morire mentre averne uno in più aiuta solo a stare meglio. Inoltre, spiega come la stessa decisione possa dare origine a scelte opposte quando gli esiti ci vengono rappresentati come perdite piuttosto che come mancati guadagni.

Se, ad esempio, ci venisse proposto di vincere 900€ subito oppure 1.000€ con il 90% di probabilità. Cosa scegliereste voi? Statisticamente prendereste il malloppo da 900€ senza pensarci troppo. E cosa scegliereste se doveste scegliere tra perdere 900€ subito oppure perderne 1.000 con il 90% di probabilità? Forse in questo caso provereste la seconda opzione. Indipendentemente dalle vostre scelte in entrambi i casi, il fatto stesso che vi possiate essere soffermati a pensare se rischiare o meno, implica che nonostante il valore atteso sia sempre 900€ (ottenibile sia moltiplicando 900€ per 100% che 1.000€ per 90%), il fatto che si parli di vincita o perdita cambia il nostro sentimento nei confronti del rischio.

Effetto contesto

L’effetto contesto, definito Framing Effect, prevede che il contesto in cui operiamo le nostre scelte, abbia un effetto determinante sulla scelta stessa. Questo si può dimostrare costruendo due versioni equivalenti di uno stesso problema, ma per le quali saremmo portati a fare scelte differenti.

Supponiamo che ci siano 600 persone in pericolo di vita e dobbiate decidere di adottare uno tra due programmi di pubblica sicurezza: un programma potrà salvare 200 vite mentre l’altro ha 1/3 di probabilità di riuscire a salvare tutte le 600 persone e 2/3 di non salvarne alcuna.

Quale sarebbe la vostra scelta? La maggiore parte delle persone opta per la prima opzione (salvare 200 persone) dimostrandosi poco propense al rischio.

Cambiamo ora la modalità con cui viene esposto il problema e supponiamo che ci sia stato detto che: il primo programma prevede che moriranno 400 persone, mentre il secondo ha 2/3 di probabilità di causare 600 morti, ma 1/3 di salvare tutti. Con questa formulazione, la maggior parte delle persone diventa più favorevole al rischio e sceglie la seconda opzione.

La cosa più rilevante è che, portando due formulazioni in momenti diversi alle stesse persone, i più tra loro darebbero scelte diverse, nonostante i valori attesi siano sempre i medesimi.

 

Questi che abbiamo visto sono giusto alcuni dei fenomeni identificati da Kahneman e Trovsky durante i loro studi. I semplici e forse banali esempi appena letti non possono certo essere esaustivi, il loro compito è solo quello di aiutarci ad essere consapevoli delle vie che il nostro cervello e il nostro cuore seguono quando stiamo decidendo tra una determinata scelta A e un’alternativa scelta B.

Pensieri lenti e velociKahneman approfondì ulteriormente gli studi sulla nostra struttura cognitiva identificando due sistemi che funzionano in parallelo (Pensieri lenti e veloci). Il Sistema 1, che è quello proprio dell’intuito, guida le nostre scelte in base all’interpretazione istantanea di ciò che ci circonda. Per poter funzionare velocemente, questo sistema ci fa ritenere migliore qualsiasi scelta associabile a una decisione che abbiamo già preso in passato e che già conosciamo. Il Sistema 1 funziona costruendo e ricostruendo di continuo un modello del mondo intorno a noi associando inconsciamente azioni e reazioni più o meno regolari, sfruttando le euristiche. Il problema è che se nella maggior parte dei casi queste sono utilissime per ottenere velocemente risposte corrette ma approssimative, spesso sono invece causa diretta di errori grossolani e spesso prevedibili.

L’intuito fa inoltre uso di quella che Kahneman definì euristica della disponibilità: quando non siamo in grado di stimare la probabilità di un evento, tendiamo a rimpiazzarla con la facilità con cui riusciamo a ricordare occorrenze dell’evento stesso. Per questo motivo gli eventi più discussi o più trattati dai media in un certo periodo ci sembrano più probabili di quello che sono.

Il Sistema 2 è invece quello razionale, che richiedere più tempo prima di darci una risposta riguardo a una decisione: possiamo dire che è quella parte di noi che si sofferma su una decisione cercando di utilizzare tutte le informazioni a disposizione e mettendo in atto il maggior numero di formule matematiche che conosciamo!

Non esiste un sistema buono e un sistema cattivo, tutti siamo propensi a utilizzare sia l’uno che l’altro, in base alla situazione in cui ci troviamo e alle condizioni di contorno che caratterizzano un particolare momento decisionale: ogni qualvolta in cui ci accontentiamo della soluzione “meno peggio” ma più veloce stiamo marciando con il Sistema 1 ed entriamo nella grande famiglia dei soddisfacentisti; al contrario, quando ci soffermiamo troppo su una scelta e cerchiamo di controllare tutte le variabili ci comportiamo da massimizzatori.

Insomma, alla fine della fiera possiamo anche cercare di essere consapevoli dei limiti delle nostre capacità decisionali, ma non sapremo mai se quella che stiamo prendendo sia la scelta migliore. E’ nostro dovere però puntare ad ottenere sempre il meglio dalle nostre scelte, soprattutto se da queste possono dipendere conseguenze gravi: ad esempio, ci sono ricercatori come la Dottoressa Alessandra Gorini che si concentrano a studiare i processi cognitivi coinvolti nelle decisioni in ambito medico (e il cui lavoro ha ispirato l’idea di questo articolo). Oppure, si possono trovare veri e propri eventi dedicati all’arte del Decision Making, come il Better Decisions Forum, che ha l’obiettivo di condividere le esperienze decisionali di professionisti di diversi settori analizzandone le componenti razionali ed emotive.

Kahneman ha vinto nel 2002 il premio Nobel per l’economia grazie ai suoi studi di psicologia cognitiva, ma non ha potuto condividere questo premio con il suo caro amico Tversky scomparso pochi anni prima. Lui stesso, però, ha affermato che non sarebbe mai arrivato fino a lì senza il sostegno e la collaborazione di colleghi diventati poi amici e che, a quanto pare, si rivelano sempre la decisione migliore su cui puntare!

9 Comments

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    • Edward William Gnudi

      Ciao Maria Teresa, grazie mille! La chiarezza è proprio l’obiettivo di tutta la rubrica. Ovvio che se hai qualche consiglio di approfondimento, lo raccolgo molto volentieri 🙂

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