La scienza sotto l’ombrellone – Parte 2


Chi ha letto La scienza sotto l’ombrellone – Parte 1 sa già come la scienza possa rendere più consapevoli le nostre oziose giornate in spiaggia. Chi invece non ha ancora avuto il piacere di leggere il primo articolo della nostra rubrica su questo tema, farebbe bene ad andarselo a leggere (ecco il link, ma vi anticipiamo che abbiamo dimostrato che i pesci non esistono!).

Ora non ci resta che andare avanti e concludere questo nostro piccolo viaggio sulla scienza da spiaggia. Dov’eravamo rimasti? Ah sì…

 

Attento alle meduse!

Non staremo qui a farvi un trattato scientifico sulle meduse (anche perché darne una definizione corretta richiederebbe una rubrica a parte), ma cominceremo spezzando una lancia a favore di questi esseri marini.

medusa velella

(Credits: Creative Commons)

Contrariamente a quanto si pensa, non tutti questi animali sono infatti urticanti e velenosi per l’uomo: ne è un esempio la Velella Velella, meglio conosciuta come Barchetta di San Pietro. Ovviamente questo non vuol essere un consiglio a fare a gara con i vostri amici per chi riesce a trovare una medusa non velenosa prendendo in mano tutte quelle che trovate! Si consiglia, infatti, di evitare il contatto anche con questi tipi di meduse e capiamo subito insieme il perché.

La puntura delle meduse è provocata da particolari cellule  che si trovano nei tentacoli: gli cnidociti, letteralmente vasi di ortica (dal greco knidè e kytos). All’esterno di queste cellule si trovano dei filamenti (cnidocigli) che, al contatto, hanno il compito di estroflettere i filamenti urticanti (cnidae). Questo è quello che avviene ogni volta che la nostra pelle sfiora un tentacolo di medusa. Se siamo fortunati, potremo però imbatterci in cnidae che non riescono a perforare la nostra pelle e che quindi non riescono a iniettare il liquido velenoso. Ora capite perché alcune meduse possono anche toccarci senza farci poi soffrire.

Ma allora perché non giocarci allegramente prendendole in mano e facendole vedere ai nostri amici fifoni per spaventarli?

Medusa tenuta in mano

(Credits: giovani_canoas20110 da Pixabay)

Oltre al fatto che sono animali e non giocattoli, il rischio è che comunque alcuni tentacoli rimangano attaccati alla pelle delle nostre mani. Se questo dovesse avvenire, basterebbe strofinarsi un attimo gli occhi (o altre parti delicate) per generarci una brutta infiammazione.

Purtroppo però sappiamo bene che alcune <<punture>> di medusa possono essere assai dolorose.

Cosa possiamo fare una volta che ci hanno punto?

Come spiega il premio Nobel Charles Robert Richet, il liquido urticante delle meduse è composto da  tre proteine: una con effetto paralizzante (ipnotossina), una con effetto infiammatorio (talassina) e una neurotossica (congestina). Sebbene non esistano antidoti specifici per questi veleni (che tuttavia sono termolabili, cioè si degradano ad alte temperature) ci sono alcuni accorgimenti di primo intervento che possiamo attuare per cercare di limitare il nostro stato doloroso.

Innanzitutto, evitate di strofinare con le mani la parte entrata in contatto con i tentacoli: questa azione potrebbe far attivare eventuali altre cellule attaccate ma ancora inesplose. Pulite quindi la zona con un asciugamano per eliminare i residui di tentacoli e sciacquatevi con acqua di mare, in modo da mantenere costante il contenuto salino ed evitare eventuali attivazioni di cellule contenenti veleno.

Alcuni consigliano di usare dell’aceto. Può essere una buona idea, ma solo se sapete quale tipo di medusa vi ha punto. Alcune meduse infliggono punture acide, mentre altre alcaline, questo rende l’uso dell’aceto dannoso per trattare ferite derivanti dalla Caravella Portoghese.

Creme al cortisone o contenenti antistaminico, anche se efficaci, sono sconsigliate in quanto il loro effetto si attiverebbe in circa mezz’ora, quando ormai la fase acuta del veleno dovrebbe essere passata.

La cosa migliore risulta quindi l’applicazione di Gel Astringente al cloruro d’alluminio: questo ha un’immediata azione antiprurito e blocca la diffusione delle tossine.

Altri invece applicano ammoniaca (che in realtà non serve) e altri ancora urina. Entrambi i rimedi risultano inutili, ma se proprio non volete rinnegare i consigli della nonna, sappiate che tra i due quello più efficace potrebbe essere il secondo, ma solo perché il calore (37°) del liquido aiuterebbe a degradare la miscela velenosa (ricordatevi però che potrebbe contenere batteri in grado di infettare la lesione).

Ma perché le meduse ci attaccano?

meduse gialle sul fondo del mare

(Credits: Julian Andres Henao da Pixabay)

Le meduse in realtà non ci <<attaccano>> volontariamente. Essendo animali planctonici, non sono in grado di dirigere attivamente il loro movimento (si muovono solo in senso verticale) e vengono trasportati passivamente dalle correnti marine. In realtà è, quindi, più probabile che siamo noi ad andare a sbattere contro una medusa piuttosto che il contrario.

In ogni caso, se venite punti da una medusa e vi accorgete che un vostro amico premuroso si sta tirando giù il costume, fategli leggere questo articolo, prima che sia troppo tardi!

 

 Non fare il bagno che hai appena mangiato!

Tutte le mamme, nonne, babbi e qualunque altro tutore premuroso ci ha sempre proibito di fare il bagno dopo mangiato. E su questa regola è difficile trovare pareri discordi. Quello su cui è difficile farli accordare è un altro punto.

Quanto tempo bisogna aspettare prima di fare il bagno?

Le regole tradizionali possono prevedere tempi di attesa che vanno dai 30 minuti alle 3 ore: dove sta la verità?

La scienza non ha una tempistica prestabilita, ma il problema è legato ai tempi di digestione.

La tradizione vuole che la problematica sarebbe causata dal fatto che, nel momento in cui ci mettiamo a nuotare dopo un pasto, il nostro corpo dirotterà l’afflusso sanguigno verso l’intestino in digestione a discapito dell’apparato muscolare impegnato nel nuoto, con conseguente affaticamento e crampi: in realtà il nostro apparato cardiovascolare è perfettamente in grado di fare fronte alle due necessità contemporaneamente. Ovvio che si sconsiglia di fare sforzi eccessivi (di qualunque tipo) dopo un bel pasto!

un bambino biondo mangia un panino in spiaggia

(Credits:wgelissen da Pixabay)

Il problema sembra quindi dipendere in realtà dal cambiamento repentino di temperatura che si ha entrando in acqua: ciò potrebbe causare una congestione, ovvero un blocco intestinale.

Un altro fenomeno in cui possiamo incorrere è la vasocostrizione periferica che ridurrebbe il calibro del sistema venoso provocando un minor ritorno di sangue al cuore il quale, ricevendo meno sangue, dovrebbe aumentare la frequenza cardiaca. Qualora la gittata sistolica non dovesse risultare sufficiente, le camere cardiache, contraendosi a vuoto, si deformerebbero: questo comportamento potrebbe causare una sincope vaso vagale con conseguente svenimento (in acqua!).

Tutti i fenomeni appena descritti, però, non dipendono tanto dal tempo passato dall’ultimo pasto, quanto da altri fattori:  il tipo di pasto, la differenza di temperatura  tra acqua ed ambiente esterno e la rapidità con cui ci immergiamo.

Se ciò è vero, al mare dovremmo cercare di non mangiare alimenti troppo ricchi di grassi e proteine (che necessitano una digestione lunga e laboriosa), ma prediligere i carboidrati, come un piatto di pasta fredda o un bel panino.

Bisogna ricordare, comunque, che la probabilità che un malore sia causa di affogamento è molto ridotta. Un’indagine dell’Istituto superiore di sanità ha dimostrato che la maggior parte dei decessi per annegamento ha luogo per altri motivi, come ad esempio: imperizia (25%), condizioni balneari sfavorevoli, consumo di bevande alcoliche o, per i bambini, di mancato controllo da parte dei genitori. I mali di cui abbiamo parlato finora sono piuttosto associati ad annegamento soprattutto per persone sopra i 50 anni.

In base a quello che abbiamo visto finora, dovrebbero essere quindi i bambini a ricordare ai genitori di non fare il bagno se hanno appena mangiato!

 

 Bevi tanta acqua, se no ti disidrati!

Il nostro corpo perde acqua durante ogni secondo della nostra vita, per sudorazione o tramite la respirazione. Per questo motivo è vitale per noi reintegrare i liquidi persi per evitare di disidratarsi. Ma se è facile capire quando la nostra automobile sta per rimanere a secco, non è facile intuire quanta acqua manca al nostro corpo.

bicchiere d'acqua con cannuccia e occhiali da sole su uno scoglio al mare

(Credits: pasja1000 da Pixabay)

In media, è consigliato bere tra i 6 e i 10 bicchieri d’acqua al giorno (rispettivamente circa 1,2 e 2 litri). L’acqua andrebbe inoltre bevuta a piccoli sorsi e in più riprese, facendo attenzione che sia acqua a temperatura ambiente, per evitare eventuali congestioni. Ovviamente le dosi giornaliere aumentano in casi particolari come sforzo fisico, eccessiva sudorazione (come quando stiamo in spiaggia a fare un bagno di sole) o problemi di vomito o diarrea.

Se ci sembra semplice capire cosa può succedere se beviamo poca acqua, sappiamo cosa può succedere se ne beviamo troppa?

Innanzitutto dobbiamo considerare che il nostro corpo incamera acqua anche tramite gli alimenti che mangiamo, quindi se 6 bicchieri ci sembrano poco, rendiamoci comunque conto che durante ogni pasto facciamo un’abbondante scorta di acqua anche senza bere.

Assumere troppa acqua (ad esempio, 4 o 5 litri al giorno senza particolari necessità sportive, ambientali o sanitarie) può causare l’iponatriemia, ovvero un’eccessiva diluizione dei sali nel nostro organismo. Dobbiamo infatti ricordarci che oltre ai liquidi è necessario reintegrare nel nostro corpo anche i sali e gli zuccheri: per questo è consigliato mangiare frutta.

Un altro inconveniente deriva dal fatto che l’acqua in eccesso causerebbe un’elevata diluizione del succo gastrico e, di conseguenza, impiegheremo più tempo a digerire il pasto (perciò dovremmo aspettare un po’ di più prima di fare il bagnetto al mare). Questo non significa certo che non si può bere durante i pasti, anzi, assumere circa due bicchieri mentre mangiamo migliora la consistenza degli alimenti ingeriti aiutando così i processi digestivi.

bambina che mangia anguria

(Credits: PublicDomainPictures da Pixabay)

Il consumo eccessivo di acqua può inoltre far aumentare il volume di sangue e quindi anche la pressione arteriosa.

Ricordandosi, infine, che la quantità di acqua che si perde durante il giorno cambia di persona in persona e dipende da ciò che facciamo, è ovvio che non è possibile stabilire una regola unica per l’assunzione d’ acqua.

Stando al mare, e quindi al caldo, tenderemo a sudare di più, quindi possiamo anche permetterci di bere più dei due litri consigliati, ma ricordiamoci di integrare anche sali e zuccheri e approfittiamone per gustarci in ottimo cocomero pieno di calcio, magnesio, potassio, sodio e zucchero. Se invece non volete rovinare la vostra <<sudata>> silhouette, almeno rifornitevi di bustine reidratanti nella più vicina farmacia.

 

Insomma, se pensavamo che la frase <<bevi responsabilmente>> valesse solo per la lotta ai pericoli dell’alcool, ora dovremo ricrederci !

1 comment

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  1. Francesco B.

    Fin dai tempi del liceo ha sempre avuto talento per gli approfondimenti scientifici, ed io con pochi (17) altri eletti ne siamo stati testimoni. Che talento…..

    PS: se mi gratto sudo, secondo lei quanta acqua dovrei bere in una giornata con temperatura media di 30° C, vento 7.5 Km/h e irraggiamento 30 W/m2 e tempo di insolazione 16 ore?????
    La ringrazio per la sua disponibilità e suggerirei un apposti angolo de “l’esperto risponde”

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