Warrior Nun – Netflix, anche meno (teenage) dramma!


Con Warrior Nun Netflix cerca di rinvigorire ulteriormente la sua linfa vitale di pubblico adolescenziale, ma nel proporre questa nuova serie tv con la lente del teenage drama rischia fin troppo. La luce divina del prodotto televisivo per adolescenti con la sua innata promessa di trainare gli ascolti, abbaglia la piattaforma di streaming in cerca di nuovi utenti.
Negli ultimi tempi Netflix ha concentrato sempre più parte della sua produzione nella ricerca della  bestia mitologica: il perfetto teenage drama. Una fiera che ha in sé il connubbio: successo di pubblico e moltiplicazione dei proseliti.  Una strategia di marketing che può dare buoni frutti: un esempio su tutti è Skam Italia, non solo un ottimo prodotto dal punto di vista della commerciabilità ma anche e soprattutto della critica culturale.
Questa strategia però può divenire controproducente se si inizia ad arricchire ogni prodotto televisivo con elementi di teenage drama. Con Warrior Nun Netflix ha esagerato proprio su questo fronte, zavorrando questa serie tv dalle ottime premesse.

Warrior Nun Netflix

Con Warrior Nun Netflix cerca nel divino il sacro Graal del teenage drama di successo (Credits: Netflix)

Warrior Nun – Dal fumetto alla serie tv

Warrior Nun è anzitutto un fumetto, che io non ho letto, e quindi non starò qui a fare uno di quegli ottimi raffronti che fa il nostro Luca Rasponi sulle differenze tra la carta e lo schermo.
A dirla tutta, quando ho iniziato a guardare questa serie non sapevo neanche che fosse tratta da un fumetto americano che sperimentava con la forma dei manga giapponesi. Quando mi sono imbattuta alla sprovvista con Warrior Nun, la cosa che mi ha attratto è stato il titolo: “suora guerriera”.
D’altronde mi trovo a vivere in Italia, terra natia di un particolare apparato ecclesiastico-televisivo. Qui abbiamo dato i natali a un prete che gira in bicicletta e risolve crimini, e oramai nella sua vecchiaia non sa più da quanti anni svolge questo particolare servizio pubblico e non ha più la vaga idea di quanti chilometri abbia percorso sul sellino di quella bici.  Qui noi abbiamo “fiction” che portano come titolo “Che Dio ci aiuti” con suore da far invidia a quelle di Sister act.
Con questo immaginario nella testa. Anni di fuga passati a evadere queste “messe” in onda a casa delle varie nonne e zie. Come non poteva attrarmi Warrior Nun?

Warrior Nun di Netflix e i problemi di ritmo

Con Warrior Nun Netflix aveva fatto salire le mie aspettative alle stelle. Già mi immaginavo scene di figaggine tamarra con suore armate fino ai denti che avanzano sulle note pop di qualche hit passata, o sempre queste che gridano “Spero di aver interpretato nel giusto il segno di Dio” smitragliando all’impazzata. Ecco, questo scenario è presente all’interno  della serie e ammetto dà anche tanto gusto agli appassionati come me di questo genere di trash ecclesiastico violento.
Il problema è che tutto questo immaginario arriva troppo tardi: con Warrior Nun Netflix ha voluto mantenere il prodotto all’interno del target del teenge drama, come dicevamo, e questo elemento rende il ritmo della narrazione estremamente lento e pieno di elementi superflui.
Ma la soluzione per giungere alla parte succosa senza perdere i sensi dalla noia è semplice.

La soluzione: un montaggio personalizzato

Netflix ha dototo Warrior Nun di ben 10 episodi (troppi, a mio modesto parere), la parte guardabile e interessante si concentra tutta nella seconda metà. Qui accade tutta l’azione o quasi e si viene a formare qualcosa che ricorda molto la “Scooby Gang” di Buffy, con la differenza che qui i membri non sono liceali ma suore dell’Ordine della Spada Cruciforme (Ocs).
Ecco, un particolare che mi ha fatto rivalutare gli episodi conclusivi: la tendenza alla formazione di questa comunità sgangherata fatta di outsider e weirdo sulle orme di Buffy L’Ammazzavampiri. Quando il focus della narrazione si è andato a incentrare su questo sparuto gruppo di personaggi, tutto ha iniziato a divenire molto più interessante.

Quindi come superare la prima metà della serie?

Abbiamo detto che la soluzione è semplice: crearsi un montaggio alternativo a quello di Netflix. Il come è facile: basta seguire, se vorrete, questi pochi punti che hanno illuminato il mio cammino per attraversare la selva oscura della visione dei primi episodi e mi hanno poi permesso di uscir a riveder le stelle negli ultimi.
Il mio Virgilio interiore  consiglia, per attraversare quell’inferno che è la prima parte di Warrior Nun, di rimanere svegli/e almeno per i primi 30 minuti del primo episodio. Passati quelli è concesso un pisolino ma svegliarsi per vedere il foreshadowing all’ultimo minuto del primo episodio. Poi si consiglia di andare a lavarsi i denti. Non importa l’ora o il momento della giornata: il mio Virgilio è fissato con l’igiene dentale.
Per i restanti cinque episodi è concessa qualsiasi attività alternativa che vi permetta di buttare un’occhiata ogni tanto a quello che accade sullo schermo. Alcuni esempi praticati da me (ma potete liberare la vostra immaginazione al riguardo): mettere in ordine, fare il bucato, phonarsi i capelli, cucinare, caccia al tesoro con il vostro animale domestico per capire dove ha nascosto tutti i suoi giochi, ecc.
Le informazioni essenziali tanto le abbiamo già tutte: la protagonista si chiama Ava pronunciato Eva, era morta ma è resuscitata grazie al trapianto di un’aureola dal corpo di una suora guerriera, non era lei la prescelta. Arrivati alla seconda metà della serie: godetevela.
Il mio Virgilio avverte: il sesto episodio è un po’ come attraversare il Purgatorio, quindi niente di particolarmente travolgente: molti rimorsi, qualche ravvedimento, ma si inizia a vedere la luce alla fine del tunnel.
Il trailer di Warrior Nun è invece quello che riassume la parte interessante della serie quindi quello che vi aspetta se sopravviverete alla traversata con Caronte. Ecco qui l’assaggino:

+ Non ci sono commenti

Aggiungi