La finestra sul cortile – Hitchcock e l’isolamento


Il poster de La finestra sul cortile

Il poster de La finestra sul cortile (Credits: Paramount)

Dopo quello su Shining, un altro articolo meta-cinematografico in cui la condizione di autoisolamento del protagonista – e il suo stato mentale turbato – è sovrapponibile a quella di ciascuno di noi, nelle immediate conseguenze della pandemia di Coronavirus.

La finestra sul cortile e le ossessioni da autoisolamento

Anche se La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock è un film del 1954, alcuni parallelismi con la situazione odierna sono sorprendentemente presenti: innanzitutto James Stewart dice al telefono di essere stufo perché rinchiuso da sei settimane nel proprio appartamento di due stanze, a causa di una gamba rotta.

Successivamente la sua ragazza Grace Kelly fa recapitare a domicilio la cena di un grande ristorante (non è forse quello che ogni ristoratore si è attrezzato a fare in questa fase?).

Infine, l’unica attività per cui il protagonista mostra interesse non è il pane fatto in casa, bensì spiare le vite dei vicini di casa attraverso le finestre.

James Stewart è L.B. Jeffries, il protagonista de La finestra sul cortile

James Stewart è L.B. Jeffries, il protagonista de La finestra sul cortile (Credits: Pinterest)

Quelle di vetro, solo perché all’epoca quelle virtuali dei social non esistevano, altrimenti ce lo vedrei proprio il caro Jeffries a stalkerare le foto su Instagram di Miss torso o a seguire febbrilmente gli aggiornamenti di stato di Lars Thorwald su Facebook!

Anche lui si ritrova insomma a provare interesse morboso per ciò che è lontano e una forma di distacco verso ciò che ha. Specialmente se è convinto che nel condominio di fronte si sia appena consumato un orrendo delitto!

Figure cardine e personaggi di passaggio

Ci sono tre figure chiave nella vita (e nell’appartamento) del fotoreporter d’azione costretto all’infermità da una gamba rotta: l’infermiera di mezza età Stella – che una volta al giorno lo aiuta a lavarsi e gli fa i massaggi, dispensando un buonsenso quasi materno; l’incantevole fidanzata Lisa – innamorata e in attesa di un proposta di matrimonio – talmente perfetta da creare un senso di disagio e respingimento nel protagonista; e l’amico detective Doyle, che entra in scena per confutare le deduzioni di Jeffries.

Veduta del cortile

Veduta del cortile (Credits: Gfycat)

All’inizio la messa in scena è rallentata: il regista sta gettando le basi per l’intrigo e non succede quasi nulla.

Si instaura una routine in cui vediamo le vicissitudini di persone senza nome come la “Signorina cuore spezzato”, che finge di accogliere un fidanzato immaginario, la ballerina “Miss torso”, che invece di uomini ne fa entrare in casa diversi, l’attico del pianista che ha perso l’ispirazione, la coppia di freschi sposini e quella di coniugi attempati che dorme sulle scale antincendio e cala il proprio cagnolino in una cesta perché vada a fare i proprio bisogni in cortile.

Infine c’è l’appartamento di fronte, quello dello scontroso commesso viaggiatore e di sua moglie inferma a letto, che non fanno altro che litigare.

Una notte però risuona un grido e il marito esce e rincasa nel cuore della notte; Jeffries è insonne e lo scruta col teleobiettivo, ossessionandosi a ogni suo comportamento sospetto.

Nei giorni successivi della moglie non vi è più traccia.

Il fotografo non ha dubbi: dopo l’ennesimo scontro l’uomo l’ha uccisa e ne sta occultando il cadavere! Ma come può dimostrarlo?

La psicanalisi di Hitchcock ne La finestra sul cortile

In questo film il protagonista è bloccato, come gli spettatori, e non può agire ma solo guardare.

Il suo punto di vista è il nostro, però allo stesso tempo pensiamo: è moralmente giusto quello che il protagonista sta facendo?

James Stewart e Grace Kelly in una scena de La finestra sul cortile

James Stewart e Grace Kelly in una scena de La finestra sul cortile (Credits: Comingsoon.it)

Lo stato d’animo di passività che questa situazione genera in Jeffries, che ad un certo punto manderà la propria fidanzata in azione al posto suo, mettendola in pericolo, è anche quella di impotenza verso ciò che avviene davanti ai suoi occhi.

Non vi è narratore onnisciente, ma solo il maestro del brivido Hitchcock che manipola la percezione del pubblico come solo lui sapeva fare, sperimentando tecniche cinematografiche che ancora oggi sono insuperate.

Il gioco di Hitchcock è sottile e psicologico e ci mostra solo due cose: la panoramica della veduta negli appartamenti (in realtà un gigantesco set costruito negli studi Paramount) e ciò che avviene nell’appartamento del protagonista.

Le elucubrazioni del personaggio influenzano il nostro punto di vista sugli accadimenti che spiamo da spettatori insieme a lui – siamo costretti a partecipare al suo voyeurismo.

Ma ogni tanto Hitchcock bara, mostrandoci ciò che avviene nelle finestre dei vicini anche mentre Jeffries non è attento o si è assopito: così che possiamo mettere in discussione le sue ragioni e persino la sua sanità mentale.

La suspense che questa girandola di congetture, sospetti e reinterpretazioni genera cresce fino a portare i protagonisti (e noi con loro) a un epilogo assolutamente soddisfacente.

Il celebre cameo di Alfred Hitchcock

Il celebre cameo di Alfred Hitchcock (Credits: Movieplayer.it)

Quando finalmente Hitchcock ci permette di vedere il quadro completo, capiamo di essere in grado di percepire solo alcuni dettagli delle vite dei nostri vicini, e che spesso proiettiamo su di loro le nostre paure, insicurezze ed esperienze, finendo per vedere ciò che vogliamo vedere.

Il pregiudizio, la paura di rimanere soli, quella di essere imperfetti o anche quella di essere felici, Hitchcock ce le mette tutte davanti facendoci capire che non siamo in grado di riconoscerle e analizzarle in noi finché non le sperimentiamo attraverso gli altri.

Tutta questa raffinatezza psicoanalitica è creata dalla sinergia tra immagini e dialoghi, in un incastro perfetto tra fotografia e sceneggiatura.

“La finestra sul cortile” è considerato un capolavoro tra i film di Hitchcock, insieme ad altri gioielli come Vertigo, Gli Uccelli e Psycho, proprio perché – attraverso la combinazione tra scrittura e tecnica – il puro intrattenimento da poltrona è elevato a una vera esperienza compiuta.

L’anniversario della morte e la mostra fotografica

Il breve cammeo che il regista si divertiva a interpretare in ogni sua opera qui è quasi all’inizio del film: vediamo Hitchcock che dà la carica a un orologio nell’appartamento del pianista/perfezionista

Anche questo è simbolico, infatti egli mette in moto un meccanismo, come sta per fare dietro la macchina da presa.

La locandina della mostra Alfred Hitchcock nei film della Universal Pictures - a cura di Gianni Canova

La locandina della mostra Alfred Hitchcock nei film della Universal Pictures – a cura di Gianni Canova (Credits: Museodellagrafica.unipi)

L’attore feticcio James Stewart, che rivedremo con ossessioni simili in altri lavori di Hitchcock come Nodo alla gola, L’uomo che sapeva troppo e ancora Vertigo, l’infatuazione dell’autore per le sue bionde e algide protagoniste – di cui la futura principessa Grace Kelly è l’incarnazione definitiva – sono tematiche sulle quali sono state scritte un’infinità di analisi, migliori di quelle che potrebbe fare il sottoscritto.

A 40 anni dalla morte di Alfred Hitchcock, avvenuta il 29 aprile 1980, vale sempre la pena conoscere il suo impareggiabile lascito al mondo del Cinema.

La mostra fotografica a cura di Gianni Canova – attualmente “congelata” come ogni attività culturale nel mondo – ma ancora presente al Palazzo Ducale di Genova, è strutturata in modo da rendere coinvolgente l’approfondimento e le curiosità sui suoi lavori più famosi.

 

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