Il sangue dei padri – La Genova nera di Giuseppe Fabro


Il sangue dei padri di Giuseppe FabroE chi l’ha detto che non si può pubblicare il primo libro a 71 anni? Giuseppe Fabro – autore di Il sangue dei padri ed educatore per vocazione – è spinto dalla necessità di raccontare anni di esperienze sul campo, di confronti con l’umanità più violenta e sconvolgente. Una voce interiore, la sua, che ha potuto sfogare all’interno della collana Nero Rizzoli. Il sangue dei padri è un romanzo di fantasia, ma racchiude tra le sue pagine la cruda realtà della strada e la ferocia inaudita dell’uomo. 

Il sangue dei padri e l’oscurità di Genova

La nostra cara Genova culla una storia crudele e Fabro ci guida con maestria all’interno del cuore pulsante della malavita che sgorga dagli stretti e oscuri caruggi. L’intricato reticolato stradale racchiude la potenza di un periodo fragile, che riporta le ferite di una guerra violenta e la ripresa economica. Nel secondo dopoguerra, infatti, tutto sembra possibile e alla portata di tutti: con le nuove automobili si percorrevano chilometri lontani dai ricordi della distruzione, nei locali da ballo la musica ammutoliva l’urlo dei morti e l’aeronautica sgancia sulle città solo i colori della bandiera. Ai margini delle strade e lontani da molti occhi, gli anni Sessanta popolavano l’ombra con i figli di questo periodo: una giovane e forte criminalità. Non solo contrabbando: usura e rapine costituivano l’illegalità, ma la droga e la prostituzione divennero protagoniste indiscusse. La violenza dirigeva con l’abilità di un direttore d’orchestra i pensieri delle nuove generazioni.

Arrivando a Genova vedrai una città imperiosa,
coronata da aspre montagne,
superba per uomini e per mura,
signora del mare.
(Francesco Petrarca)

Ma non è la Genova descritta da Petrarca quella illuminata dalla trama di questa storia: la Superba si presta come palco della malavita, alla violenza scaturita da vite alla deriva. Quest’ultime sono trasposte su carta da Caio, Pumas, Criss, Albino, Parodi e Michele i nostri protagonisti.

Caio è il leader e guida la sua squadra attraverso rapine e omicidi. Ma l’oscurità dei vicoli accoglie tutti: Mauro – detto il Moro, perché di carnagione scura, nato da uno stupro compiuto da un soldato americano – e Vittorio. Le mura domestiche e il nucleo familiare sono le mani che modellano le future generazioni. Le famiglie dei protagonisti infatti sono consapevoli del fatto che da un giorno all’altro i loro potrebbero finire ammazzati o in carcere; e gli sta bene così.

Ma, a differenza di Caio, il Moro eredita da sua madre un sottile confine morale che gli permettere di esercitare la sua coercizione verso gli oggetti delle persone, e non sulle persone stesse. Al contrario del Moro, Pumas è costretto a vivere con il ricordo dell’omicidio dei suoi genitori. È la violenza la maledizione che li perseguita, come un fardello odiato ma di cui non si può fare a meno poiché fondamenta della propria natura. Ciò gli rende impossibile la distinzione tra il bene e il male, incapaci di giudicarsi.

Caio e Pumas, così anche Vittorio e Mauro, come una famiglia tenuta insieme da problemi comuni, uniscono i loro pensieri e plasmano le loro azioni attraverso un’unica volontà. I ragazzi fanno dentro e fuori dal carcere, dove la vita criminale si congela, fornendo tempo e spazio per fare nuove conoscenze e pianificare futuri crimini. Perchè è questo che la pena detentiva ha da offrire: una piccola pausa prima di ritornare a esercitare la propria supremazia sulla strada. Nessun aiuto, nessuna fiducia.

Il Ginepro, comunità di Giuseppe Fabro

Grazie a Rizzoli, ho avuto l’opportunità di avere una conversazione profonda e sincera con Giuseppe Fabro. All’interno di una delle tre comunità da lui fondate, il Ginepro, l’autore mi ha condotto nei ai margini della società, mi ha fornito le lenti giuste per vedere l’abisso che circonda il nostro quotidiano.

“Un valore incredibilmente forte e assoluto che lega i due gruppi è l’amicizia”, mi ha detto l’autore durante l’intervista. “Malgrado siano criminali, Caio, Pumas e la loro banda hanno un valore dell’amicizia fortissimo, che non trovi nelle persone normali. Per questo valore danno quasi la vita, ma lo stesso succede con il Moro e Vittorio. Perché  questa è una legge che permette la sopravvivenza dei gruppi. Senza di essa, questi non esisterebbero.” 

Scala dei valori, comunità di Giuseppe Fabro

Scala dei valori esposta nella comunità di Giuseppe Fabro

La speranza emerge tra le pagina insieme ad un personaggio ispirato al “nostro” Don Gallo,  ovvero la figura di Don Andrea. Quest’ultimo cerca a suo modo di infondere una nuova luce all’interno di uno dei nostri protagonisti. Sarà sufficiente a far diffondere la speranza del bene o il male lo ricaccerà sulla strada? I protagonisti troveranno il tempo e il coraggio per percorrere la strada della redenzione?

 

Il sangue dei padri, il romanzo nato dalla verità

Una grande prova quella di Giuseppe Fabro: raccontare una Genova ai più giovani sconosciuta e dai più anziani solo in parte tramandata. La criminalità che impregna le pagine de Il sangue dei padri è descritta in maniera impeccabile da una mano sapiente e da un ingegno che conosce. Infatti l’autore (come vi abbiamo accennato) ha dedicato parte della sua vita alle persone che occupavano i margini della società, coloro che entravano e uscivano di continuo dal carcere. Il sangue dei padri trasuda di violenza, non solo fisica: gli strascichi dei genitori influenzano le scelte dei protagonisti, creando nella loro testa uno schema di valori che risalta il solo culto della sopravvivenza.

Le pagine scorrono inesorabili, l’ipnosi del tempo verbale presente cattura il lettore, gettandolo nel nero di quegli anni.  In un crescendo di tensione, gli eventi narrati dalla mano sapiente di Giuseppe Fabro spezzano il fiato. Già dalle prime righe la lettura costa molto, intrappola il lettore in un flusso incontrollato di emozioni, sballottato in una risacca della paura. La violenza che ne scaturisce si abbatte sul lettore grazie a una narrazione chiara ed essenziale, che infligge un duro colpo alla sensibilità. L’autore si districa magistralmente all’interno della complessità della psicologia criminale, resa ancora più fitta e pericolosa perché vissuta attraverso gli occhi di giovani figli della guerra. L’autore ci guida in un mondo in cui esiste un’unica maniera per essere un tassello della società: la via della devianza.

L’introspezione dei personaggi della vicenda non è mai illuminata dalla legalità, ma nemmeno da un conforto o un aiuto. La loro coscienza sa bene che l’unico modo per vivere è quello. Sopravvivere, combattere contro tutti e tutto, in primo luogo contro le frustrazioni e la malasorte per una famiglia così disgraziata. La brama effimera di soggiogare il prossimo, di possedere ricchezze degli altri, essere l’estensione della mano della morte. A testimonianza di ciò, Caio ad esempio esalta il culto delle “tre S”: soldi, sesso e sangue. Perché tutto questo gli è dovuto. Perché sono stati derubati alla nascita d’ogni bene. L’arricchimento di pochi a discapito della vita di molti.

La crescita dei personaggi de Il sangue dei padri è accompagnata dall’emarginazione sociale, che solidifica l’aggregazione di chi subisce giorno dopo giorno un passato doloroso. I nati poveri nelle zone periferiche provoca una categorizzazione totale, dando alla luce un gruppo incline a contravvenire le regole.

“Ora ho l’occasione di raccontare quello che ho ascoltato – esclama Giuseppe Fabro, al termine dell’intervista – e sono contento! Adesso la racconto io una storia. Le mie storie scandalizzeranno?, qualcuno dirà che sono inaccettabile, come è già successo, ma io continuerò a raccontarle perchè è la verità.”

Quelle di Fabro, sottolinea lui stesso, sono storie vere. Può romanzarle certo, ma non inventarle. “È tutta realtà, la nostra, perchè nel mondo succedono cose orrende e io voglio raccontare la verità. Perché se noi non la guardiamo in faccia, non potremo mai cambiarla.” 

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