Il richiamo della foresta al cinema tra passato e presente


  

il richiamo della foresta

Photo Credits: 20th Century Fox

Il richiamo della foresta. Un film di Chris Sanders con Harrison Ford, Karen Gillan, Dan Stevens e Omar Sy

“Quando nelle lunghe notti gelate levava il muso alle stelle gettando lunghi ululati nello stile dei lupi, erano i suoi antenati morti e ridotti in polvere, che levavano il muso alle stelle e ululavano nei secoli attraverso di lui.”
[Jack London, Il Richiamo della Foresta]

 

Il richiamo della foresta è il capolavoro di Jack London, secondo forse solo a Zanna Bianca.

Il romanzo è stato pubblicato nell’estate del 1903, inizialmente a puntate, sul Saturday Evening Post.
Racconta l’avventurosa storia del cane Buck, nato in una piccola cittadina americana e poi rapito per essere destinato alla ricerca dell’oro nel Klondike, in Canada.

il richiamo della foresta

Basta una rapida occhiata alla biografia di Jack London per capire i motivi della nascita letteraria di Buck.
Cresciuto in una famiglia povera, allevato da un uomo che non era suo padre, Jack frequentò qualche semestre all’università. L’interruzione degli studi avvenne quando al nord, al confine tra Canada e Alaska, iniziò la febbrile caccia all’oro.

Partito in cerca di fortuna insieme al marito della sorella, si trovò a fronteggiare una serie di situazioni che più tardi avrebbero fatto da filo conduttore alla storia del cane più famoso della letteratura.

Le analisi intorno alla figura di Buck

Il romanzo venne pubblicato in Italia nel 1924, e da allora fiorirono numerose analisi, congetture e dibattiti intorno alla figura di Buck e degli uomini che lo circondano.
Il simbolismo della storia è evidente: i cani sono vivi, pensano e agiscono come esseri umani.
Il richiamo della natura è espressione del naturalismo dilagante dei primi anni del novecento: London era stato influenzato dal darwinismo sociale e dalle opere di Émile Zola, padre della corrente di pensiero che applicava il metodo scientifico all’osservazione della realtà.
Queste influenze emergono nella lotta per la sopravvivenza del protagonista e nella sua scelta finale, quando liberatosi di tutte le sue catene, sparisce nel bosco per divenire il capobranco dei lupi.

Tuttavia nel corso del tempo sono state elaborate teorie diverse.

È molto interessante il punto di vista di Oriana Fallaci, che ha scritto la prefazione all’edizione di Bur Classici de Il richiamo della foresta.
Fallaci approfondisce la figura del Jack London giornalista, reporter per caso: scende e indaga nei meandri della psiche umana di un uomo nato e cresciuto nei bassifondi di inizio secolo, e pone l’accento sulla ricerca della libertà assoluta.
Sarebbe questo il “richiamo” che London voleva trasmettere: Buck diventa allora una metafora, e le sue peripezie si trasformano in un viaggio introspettivo alla ricerca di se stessi. Un viaggio che può trovare il suo happy ending solo nell’eventualità in cui si riesca a liberarsi di tutto ciò che rende schiavi: non solo la guerra, ma in ultimo anche l’amore.

L’affetto tra Thornton e Buck, in questa lettura quanto mai attuale, è l’ultima catena da spezzare: perché niente lega una persona quanto l’amore.

Le prime trasposizioni cinematografiche

il richiamo della foresta

Photo Credits: 20th Century Fox

La storia di Buck è stata più volte adattata per il grande e piccolo schermo.

Il primo film è stato girato nel 1923 da Fred Jackman: una pellicola muta, in bianco e nero, che non ha fatto presa sul pubblico quanto invece è accaduto al suo successore.

Nel 1935 è approdato nelle sale cinematografiche Call of the Wild, di William A. Wellman.
Il protagonista, John Thornton, era interpretato da Clark Gable.
Vuoi per la grande fama dell’attore principale, vuoi per la bravura del regista, questo fu il primo tentativo davvero riuscito di portare la storia di Buck sul grande schermo.

In realtà, gli sceneggiatori si distaccarono moltissimo dal romanzo originale: il film relega il ruolo del cane a secondario, e Buck diventa semplicemente un cane da slitta salvato dal protagonista. Il fulcro della vicenda è la storia di passione che nasce tra Thornton e Claire Blake, una presunta vedova proprietaria della miniera nella quale l’uomo era andato a cercar fortuna.
Anche il finale si distanzia dal romanzo: Buck si unisce effettivamente al branco di lupi, ma Thornton non è attaccato da nessun indiano e non perde la vita.

Il terzo tentativo del cinema di mettere in scena Il richiamo della foresta risale al 1972. Alla regia Ken Annakin e come protagonista un altro grande nome, quello di Charlton Heston.
Più fedele al romanzo di London, questa versione del film rimette al centro della scena Buck e il suo rapporto con John Thornton. Ma nel finale si perde un po’: rispettata infatti la tragica fine imposta da London per il protagonista umano, il regista interviene sulla figura del cane. Buck, vendicato l’amico, si abbandona alla morte sulle rive del White River.

Il cambiamento del finale modifica moltissimo il senso generale del film – e persino del suo titolo! – perché non c’è un reale richiamo al quale il cane-lupo sceglie di rispondere.

L’adattamento per la televisione

Sul piccolo schermo, Il richiamo della foresta approdò tanto come film, quanto come anime a puntate.

Nel 1997 Peter Svatek reinterpreta la storia di Buck, attenendosi fedelmente all’incipit del romanzo. Nei panni di John Thornton questa volta c’è Rutger Hauer, l’attore olandese che ha conquistato intere generazioni con il romantico Etienne Navarre, protagonista di Ladyhawke, e ha dato il volto a Roy Batty in Blade Runner: “Ho visto cose che voi umani…”

Il richiamo della foresta con Harrison Ford

buck

Photo Credits: 20th Century Fox

Molto emotivo, coinvolgente ed evocativo, Il richiamo della foresta 2020 è il primo esperimento cinematografico di Chris Sanders, che fino ad oggi si è occupato prevalentemente di animazione.
Ricordiamo il suo capolavoro assoluto per Disney, Lilo & Stitch, ma anche Dragon Trainer e I Croods per DreamWorks Animation.

Il film è animato in Cgi: i cani sono modellati al computer, hanno un’elevata resa cartoon, ma sono comunque perfettamente credibili (proprio come già accaduto per il live action de Il Re Leone).

La trama è costruita in modo fedele partendo dal romanzo. Buck è il primo grande protagonista: il suo viaggio dalla grande fattoria del giudice al territorio aspro e gelido dell’Alaska è descritto senza permettersi troppe licenze poetiche, ad eccezione del “furto” del cane, che mette in moto la storia.

Buck, incrocio tra un San Bernardo e un Pastore scozzese, viene rapito e venduto come cane da slitta.
Quando viene acquistato da un postino, un personaggio volenteroso e dai tratti emozionali, sembra di scorgere la penna Disney che volteggia nelle retrovie: c’è una svolta dal drammatico al sentimentale, l’avventura acquisisce toni più rosei. Questo potrebbe essere dovuto alla regia “disneyana” di Sanders, oppure a una certa interferenza degli Studios, che hanno da poco acquistato la 20th Century Fox.

il richiamo della foresta

Photo Credits: 20th Century Fox

Inoltre, non incontriamo mai scene particolarmente violente.

Un’altra novità è introdotta dal personaggio di John Thornton, interpretato da un sempre magistrale Harrison Ford.
Dismessi gli abiti di Han Solo (Chewie, we’re home), Ford si cala nel ruolo di eremita idealista, a metà strada tra il nonno di Heidi e il Thoreau dei tempi di Walden.

Il ruolo di Thornton è più importante in questo remake di quanto lo fosse nel libro da cui è tratto: la storia dell’amicizia tra lui e Buck trasforma il film in un vero e proprio buddy movie.

Ciò nonostante, viene premiata la figura del cane: Buck è finalmente riconosciuto per il ruolo simbolico e di formazione che aveva nel romanzo di London.

Splendida la fotografia e la scelta della colonna sonora, da brivido. Peccato per i tempi: per quanto fluida, in alcuni punti la narrazione appare un po’ lenta e forse rende il film più lungo di quanto avrebbe potuto essere.

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