VETTEL E LA TEMPESTA SECONDO MURAKAMI


Sono tante le opinioni che si leggono sulle condizioni di Vettel. Non è il caso di ricorrere alle solite dichiarazioni da bar come “cacciatelo”, “non è mai stato un campione”, “togliti quei baffi e già che ci sei, togliti di torno pure tu”.

Come tanti ex piloti della Ferrari, finché non vinci un campionato con la Rossa, non verrai mai celebrato, al massimo ricordato: Alonso, Massa, Irvine, Barrichello. Persino uno come Kimi trova detrattori anche tra le fila dei “tifosi” Ferrari. Questo significa vincere, o perdere, con il Cavallino rampante. Gloria che sfocia nella leggenda, ricordo che rischia di tramutarsi in oblio.

In rete si leggono interventi di tutti i tipi: la maggior parte spara a zero su Vettel, esaltando e lodando il giovane Leclerc come un “piccolo principe”, mentre alcuni, più coraggiosi, si lanciano in interessanti giustificazioni riguardanti presunti difetti strutturali dell’auto. In particolare, affermano questo pensiero: “se l’auto fosse perfetta, la Ferrari con Vettel avrebbe già vinto”.

Probabilmente, come in tante cose e nella vita, non c’è una verità assoluta, né solo bianco o solo nero. Vettel potrà apparire simpatico o meno, più “italiano” quando vince, più “tedesco” quando perde (come non ricordare i famosi team radio in italiano quando vinceva le gare), tuttavia una riflessione s’impone. A mio avviso, Vettel ha commesso tanti (ormai troppi) errori di pilotaggio puro per poter addurre la scusa della scarsa guidabilità della monoposto. Lungo il 2018, in Germania la macchina volava, eppure si è insabbiato; a Monza, mentre Kimi resisteva ed inseguiva le Mercedes, lui aveva subito il sorpasso e perso il corpo a corpo con Hamilton; a Suzuka, è andato in testacoda nel tentativo di superare Verstappen; ad Austin, idem, si è girato nel tentato sorpasso su Ricciardo, mentre Kimi vinceva la gara a 39 anni “suonati”; in Brasile, invece, sparisce assieme a tutta la squadra, ma sempre dietro al suo compagno di squadra.

Non dico che la SF71H, l’auto dell’anno scorso, fosse perfetta, però non era nemmeno una monoposto così inguidabile da costringere Vettel a così tanti errori. Errori di guida “puri”, di valutazione nei sorpassi e delle condizioni di gara. Raikkonen, surclassato durante l’era Alonso, era diventato persino “bravo” nelle ultime gare rispetto a Vettel. All’epoca, Vettel non fu crocefisso, ma criticato, anche perché, oggettivamente, a sua parziale discolpa, sembrava effettivamente che lottasse contro 5 auto (le due Mercedes, le due Red Bull e la Ferrari del redivivo Kimi). Magari non vinceva lo stesso il campionato 2018, però non sarebbe terminato a settembre/ottobre, con così tante gare da disputare.

I tifosi si auguravano che nel 2019 ci fosse un reset, un’inversione di tendenza, ma già durante i test prestagionali a Barcellona suonavano i primi campanelli d’allarme. L’auto, la SF90H, ha tanti guasti e la rottura di un componente delle sospensione (forse) provoca un’uscita ad alta velocità per Vettel. Paura, sabbia, sfiducia…

Probabilmente questo ha spinto gli ingegneri a girare in maniera più conservativa in Australia. Quarto posto per Vettel e quinto per Leclerc: prestazione opaca, incolore, sbiadita.

In Bahrain, come detto, l’auto va fortissimo: prima fila per entrambi i piloti e quasi tre decimi di vantaggio sulle Mercedes (almeno per Leclerc). Vettel avrebbe dovuto rilevare il primo posto dopo il guasto a Leclerc, ma non era lì. Testacoda dopo il sorpasso subito da Hamilton e rottura dell’ala anteriore.

Gli altri piloti compiono e subiscono sorpassi, ma non si girano come delle trottole. Pertanto i casi sono due: o Vettel è l’unico a possedere un’auto che, quando deve sorpassare, si comporta come un cavallo che si impunta davanti agli ostacoli, oppure ha qualcosa che lo stressa a tal punto da farlo sbagliare.

Mi verrebbe, quindi, da citare Haruki Murakami ed il suo “Kafka sulla spiaggia”: “Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia andatura per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo”.

Ecco, caro Sebastian, basta vento, basta tempesta.

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