Migranti. Quando la paura diventa un’arma per ottenere consensi


La questione migranti è ormai al centro – se non addirittura il centro – del dibattito politico italiano. Che il problema esista non c’è dubbio, così come il fatto che ci sia una certa emergenza di risolverlo, ma quanto davvero si intende risolverlo e quanto invece è divenuto una macchina per ottenere consensi?

Purtroppo quando l’informazione è parziale diventa manipolazione, lavaggio del cervello. È vero, ci sono gli intellettuali che si mobilitano, che dicendo la propria aiutano a riflettere, ma con un problema che fa leva sulla paura il senso critico viene, per forza di cose, a cadere.

La macchina dei consensi

Partiamo dal caso dell’Acquarius. O meglio, dai poveri malcapitati dell’Acquarius, perché se al loro posto ci fossero stati altri migranti il risultato sarebbe rimasto lo stesso.

Ciò che differenzia un politico da un comune cittadino dovrebbe essere – insieme al buonsenso – la capacità di negoziare, di trovare modi meno brutali di risolvere le questioni. È per questa ragione che l’azione di Salvini si traduce in una scelta di senso operata con uno scopo ben preciso: ottenere il beneplacito di quelle stesse persone in cui ha instillato la paura.

… ma c’è ancora chi si indigna

È anche vero che chi è riuscito a conservare un minimo di senso critico si è indignato di fronte alla mancanza di diplomazia del ministro degli Interni.

È di appena una settimana fa la notizia dei Pearl Jam che, durante un concerto, proiettano la foto di un salvagente con l’hashtag #apriteiporti #saveisnotacrime.

Una presa di posizione, quella della band statunitense, che ha aizzato l’ignoranza di molti, da Rita Pavone – secondo la quale Eddie Vedder & co. dovrebbero farsi gli affari propri senza ficcare il naso in questioni che, in quanto italiane e basta, non dovrebbero interessare a chi in questo Paese non ci vive – all’ex sindaco sardo, Ivo Zoncu – che si è addirittura rivolto direttamente a Salvini chiedendogli di fare arrestare i componenti del gruppo di Seattle.

I colori dell’Italia

C’è una cosa che fa – e deve farci – più paura di chi chiudendo le porte (o i porti) alla diversità vuole privare il mondo della sua dimensione di bellezza e ricchezza: coloro che vogliono negarci la possibilità di dire la nostra, di ragionare diversamente, di prendere le distanze da un pensiero che non ci appartiene.

Per questo non dobbiamo mai smettere di lottare per le idee in cui crediamo, come chi ieri ha deciso di indossare una maglietta rossa per contrastare l’emorragia di umanità in tema di migranti. “Rossa come le magliette di molti bambini annegati o arrivati in condizioni disperate sulle nostre coste” –  si legge nella nota divulgata dall’associazione di Don Ciotti – “o come quelle delle mamme che si vogliono rendere riconoscibili”.

Una maglietta rossa che possiamo decidere di indossare anche domani per contrastare quel pensiero nero dilagante che sta avvelenando l’Italia. Scostandoci da chi, come il primo cittadino di Concamarise, Cristiano Zuliani, dice “me ne frego” aderendo in maniera asettica alla retorica salviniana dell’“aiutiamoli a casa loro, stop all’invasione”. Perché i numeri reali smentiscono, di fatto, qualsiasi tipo di “invasione”.

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