Minacce alla libertà di stampa, un problema di tutti


Il 3 maggio di ogni anno l’Unesco celebra la Giornata mondiale della libertà di stampa. Un momento di riflessione utile a capire quanto questo diritto fondamentale sia ancor oggi precario, se non addirittura da conquistare in molti luoghi del pianeta.

Pensare che le minacce alla libertà di stampa siano un problema solo per i Paesi non democratici o le regioni del mondo diverse dall’Occidente, però, sarebbe un grave errore. Lo dimostrano dati sempre più inquietanti e vicende di cronaca anche recenti, che proviamo ad approfondire con questo articolo.

Libertà di stampa: World press freedom day

Libertà di stampa: la situazione globale

Nel suo consueto rapporto annuale sulla Libertà d’espressione e lo sviluppo dei media, l’Unesco mette subito in chiaro le cose con una cifra a dir poco inequivocabile. Tra il 2012 e il 2016 sono stati uccisi 530 giornalisti in tutto il mondo: una media di oltre 100 all’anno, praticamente uno ogni tre giorni e mezzo.

Se a questo si aggiunte, come riporta la Federazione nazionale della stampa italiana citando il rapporto, che l’impunità dei crimini commessi contro i giornalisti sfiora il 90% dei casi, allora è chiaro come lo scenario sia allarmante oltre ogni più pessimistica previsione.

Un altro strumento utile per conoscere a fondo la situazione della libertà di stampa nel mondo è il World press freedom index di Reporter senza frontiere. La classifica, particolarmente celebre in Italia negli anni di governo Berlusconi, è aggiornata annualmente dal 2002 con un questionario somministrato ai giornalisti di tutto il mondo, diviso in base agli esiti in cinque fasce a seconda della libertà di stampa.

Quanto all’Italia – che nel ranking 2018 di Rsf occupa il 46° posto, subito dopo gli Usa – risulta particolarmente interessante anche il lavoro dell’osservatorio Ossigeno per l’informazione, promosso da Fnsi e Ordine dei giornalisti per vigilare sui casi di cronisti minacciati e notizie oscurate.

Libertà di stampa: le principali limitazioni

Cosa impedisce ai giornalisti di lavorare nelle migliori condizioni? La prima risposta è quella più scontata. La stampa – che la si definisca quarto potere o cane da guardia della democrazia – contribuisce a migliorare la vita di una comunità nella misura in cui è in grado di portare alla luce gli aspetti più controversi della vita pubblica, che spesso rappresentano il lato oscuro dei poteri che la governano.

Che sia il potere politico di una dittatura, il potere mafioso della criminalità organizzata o il potere economico più o meno sotterraneo a tutte le democrazie, quando i giornalisti arrivano a toccare tasti troppo delicati o svelare vicende inconfessabili, vengono ammazzati.

Libertà di stampa: Reporter senza frontiere

Ma prima dell’omicidio c’è l’aggressione, e ancora prima la minaccia. Fenomeni per cui non serve affatto uscire dall’Italia, da sempre teatro di intimidazioni alla stampa in particolare da parte della criminalità organizzata. Un trend che non accenna a diminuire, come dimostra la presenza di venti giornalisti tutt’ora sotto scorta nel nostro Paese.

Ulteriore limite alla libertà e all’autonomia dei giornalisti è la precarietà con cui tanti colleghi devono fare i conti esercitando quotidianamente la professione. La combinazione tra lo status di free lance, la facilità di subire querele e la retribuzione bassissima (anche pochi euro a pezzo) rende i giornalisti deboli, soli e poco propensi – quando non materialmente impossibilitati – a esporsi in prima persona contro il potente di turno a proprio rischio e pericolo.

Libertà di stampa: i casi più recenti

Nell’epoca in cui la libertà d’espressione sembra aver raggiunto il suo massimo storico con l’avvento dei social network, la libertà di stampa arretra. Sembra un paradosso ma non lo è, se consideriamo che il web sociale ha generato fenomeni come hate speech e fake news, ostacoli pesanti e continui a quella “libertà d’espressione ragionata” che è la libertà di stampa.

Lo ricorda in un suo recente intervento anche Roberto Saviano, da anni sotto scorta per le minacce della camorra. Stesso destino per Giovanni Tizian, cronista dell’Espresso perseguitato dalla ‘ndrangheta per aver denunciato il radicamento della mafia calabrese al nord.

Accanto a casi noti da tempo come quelli appena citati, più di recente ha destato preoccupazione la vicenda di altri due giornalisti minacciati dalla criminalità organizzata: Paolo Borrometi (Agi) e Federica Angeli (Repubblica), rispettivamente nel mirino di Cosa nostra e della mafia di Ostia, non a caso nota ai più in seguito all’aggressione a due giornalisti Rai da parte dell’esponente Roberto Spada.

Come dimenticare poi i due giornalisti uccisi nel giro di pochi mesi all’interno della civilissima Europa? Prima la maltese Daphne Caruana Galizia, ammazzata a ottobre 2017 per le sue indagini sui capitali occultati a Malta, portate avanti da un team internazionale di giornalisti con The Daphne project. Poi lo slovacco Ján Kuciak, ucciso a febbraio 2018 per aver svelato i legami tra ‘ndrangheta e politica del suo Paese.

Tutto questo senza contare che dopo il fallito colpo di Stato del luglio 2016 la vicina Turchia è diventata «la più grande prigione al mondo per giornalisti», con incarcerazioni e acquisizione dei principali media da parte di forze contigue al governo Erdogan. Poco più in là, intanto, in Siria continua una guerra che la rende il Paese più mortale al mondo per i giornalisti, un triste primato conteso dal Messico al quale nei prossimi mesi dedicheremo un articolo specifico.

Chi scegli di fare seriamente il giornalista oggi difficilmente dorme sonni tranquilli, tra difficoltà economiche, minacce, aggressioni, rischi per l’incolumità e persino la vita. «È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo», direbbe Clint Eastwood. Il problema è che non siamo nel far west e la vita non è un film di Sergio Leone. Infatti l’attribuzione di questa citazione a Per un pugno di dollari è una fake news.

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