L’eleganza del riccio, di Muriel Barbery – Vivere la quotidianità


C’era una volta…

— Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori.

— No, ragazzi, avete sbagliato.

Ma non c’era neanche un pezzo di legno. C’era solo una portinaia.

Avete presente quelle portinaie sui cinquant’anni, vedove, basse, brutte, grassottelle, con i calli ai piedi e, in alcune mattine autolesionistiche, con l’alito di un mammut? Che vivono sole, con un gatto dalle zampe puzzolenti che dorme tutto il giorno, sdraiato su cuscini rivestiti di federe fatte all’uncinetto? Che guardano ininterrottamente la televisione e la cui casa emana sempre un olezzo di bollito di cavoli?

Renée è una di quelle.

Fa questo lavoro da 27 anni. Sa tutto delle famiglie alto-borghesi per cui si trova a lavorare. Persona sgarbata, alle volte appare così tanto lontana dalla normalità da sembrare matta.

Ha impiegato 27 anni a creare questa immagine di sé.

Immagine? Sì, perché si è tagliata su misura il suo personaggio: in realtà, è una donna colta, affascinata dalla letteratura, dalla poesia, dalla filosofia. Ha un gatto di nome Lev, in onore di Lev Tolstoj. Adora perdersi in letture di ogni tipo, guardare e riguardare film d’autore, ascoltare musica o semplicemente stare in silenzio a meditare su tutto quello che ha appreso. Adora prendere il tè, adora chiacchierare, adora circondarsi di amici veri.

Perché si mortifica tanto?

Disprezza il mondo che vede tutti i giorni – alto-borghesi interessati solo dall’apparenza e poco o niente alla sostanza. E dimostra il suo disprezzo traducendo in realtà i luoghi comuni sulle portinaie: per gli altri lei risulta essere una persona priva di significato, scostante, talvolta cattiva. Come la strega delle fiabe: odiata da tutti ma necessaria, affinché il principe e la principessa giungano al lieto fine. Non si comporta in questo modo per un qualche desiderio di esibizionismo: è l’unico mezzo che ha per essere lasciata in pace. E, quando nessuno la guarda, si spoglia della sua quotidianità e si riveste di ciò che solo può elevare gli uomini: la cultura.

Improvvisamente, la sua vita si incrocia con la seconda protagonista del romanzo.

Paloma, una ragazzina di 12 anni con un quoziente intellettivo al di sopra della media ma che fa finta di essere come le altre ragazze della sua età per evitare problemi con la sua famiglia, che non sopporta. Ha talmente tanto disprezzo per la famiglia che ha deciso di suicidarsi il giorno del suo tredicesimo compleanno. Ma non vuole solo togliersi la vita. Vuole insegnare qualcosa ai suoi genitori, distruggendo ciò che loro hanno di più importante: la casa di quattrocento metri quadrati, che darà alle fiamme. Non è una folle, però. Lo farà di sabato, così non ci sarà nessuno in casa, e chiamerà anche i pompieri prima di compiere l’atto, per evitare vittime innocenti.

Perché?

Perché ha scoperto che la vita è come una boccia dei pesci: i genitori tengono i figli in una boccia e fanno credere loro di essere liberi di scegliere, quando in realtà le regole sono già state dettate. Quando i figli si rendono conto del sistema, è troppo tardi e non sanno più come uscire dal mondo di bugie creato intorno a loro.

Lei non vuole fare la fine dei pesci rossi e ha deciso di uscirne prima.

Due  personaggi che fingono quello che non sono; due anime destinate ad incrociarsi grazie ad un misterioso ospite giapponese. In cosa sono diverse da tutte le altre persone che vivono nel palazzo? Chi vive nel palazzo fa inconsapevolmente dell’apparenza la propria vita; Paloma e Renée fanno della propria vita un’apparenza pienamente consapevole.

Il loro porsi al di sopra degli altri ha fatto dimenticare loro cosa vuol dire vivere ma insieme riscopriranno la gioia della quotidianità.

Due anime destinate ad incrociarsi e a imparare di nuovo a vivere.

+ Non ci sono commenti

Aggiungi