Quando hackeraggio e cyber security non sono finzioni alla Mr. Robot


Le votazioni per l’Assemblea Costituente, avvenute recentemente in Venezuela, hanno provocato scandalo per molti motivi. Uno di questi è la manomissione dei dati sull’affluenza della popolazione ai voti, denunciata da Smartmatic, l’impresa internazionale che ha fornito le macchine di votazione elettroniche al paese. Secondo il fondatore di Smartmatic, Múgica, l’imprecisione nei dati annunciati ufficialmente sarebbe di almeno un milione di elettori. Una frode grave nei confronti dei cittadini, ma pura e semplice in comparazione al sospettato hackeraggio delle passate votazioni per il Presidente degli Stati Uniti, su cui inesorabilmente sono ricaduti i riflettori in seguito alla vicenda venezuelana.

Il polverone che si era alzato subito dopo l’8 novembre 2017, il giorno delle elezioni, è stato fatto sparire malamente sotto il tappeto per un po’ dai media, ma di certo non si è abbassato. Secondo gli esperti, quello che si nasconde sotto questo polverone sono numerosi tentativi di hackeraggio da parte della Russia, nei confronti della compagnia VR Systems, che come Smartmatic fornisce sistemi elettronici per le votazioni (che sostituiscono i raccoglitori preistorici ad anelli che contenevano tutte le informazioni sugli elettori).

Dai tempi di Snowden e Assange, abbiamo imparato che l’hackeraggio è una pratica reale e non una finzione buona per Netflix per guadagnarsi spettatori nerd con una serie come Mr. Robot. Tuttavia, in questo caso non si tratta di azioni eroiche che svelano comportamenti non proprio leciti dei governi verso i propri cittadini, nell’ambito della privacy delle comunicazioni. No, questa volta non si tratta di possibili eroi, si tratta di intere nazioni che cercano nascostamente di piegare gli equilibri mondiali a loro favore (ad esempio far eleggere Trump invece di Clinton) e il sentore del pericolo dovuto a questo potere è reale, anche per un cittadino qualunque.

Le prove di manomissione virtuale sono avvenute soprattutto negli stati del Nord Carolina, Virginia, Georgia e Arizona, e sono confermate da esperti della sicurezza come Susan Greenhalgh, fra l’altro a conoscenza di un altro tentativo di hackeraggio precedente alle elezioni USA da parte della Russia. L’intelligence americana non sembra avere interesse a dispiegare tutte le sue risorse per andare a fondo della questione, nonostante (o forse proprio perché) una eventuale conferma di manomissione non sarebbe innocua, anche se ingiusta, come una bugia sull’affluenza alle votazioni da parte del governo venezuelano: scoprire l’infiltrazione della Russia nelle elezioni potrebbe arrivare a mettere in dubbio la legittimità del presidente Donald Trump alla Casa Bianca.

Intanto, dall’altra parte del mondo, ma poi non così tanto lontano, le problematiche sulla sicurezza informatica (la cosiddetta cyber security) sono di altro stampo, ma con risvolti altrettanto scottanti, in questo caso di natura più etica. A giugno, in Cina è entrata in vigore una nuova legge che da alle autorità cinesi la possibilità totale di infiltrarsi e controllare i dati delle compagnie cinesi e di quelle estere in territorio cinese; la legge prevede, inoltre, che tutte le informazioni sui cittadini cinesi siano gestite solamente da server cinesi. Il Great Firewall (espressione ironica coniata sullo stampo di the Great Wall -la grande muraglia) è sempre più alto e minaccioso, e si stringe intorno alla libertà di espressione in Cina, in maniera quasi soffocante. Se c’è un paese che fa della cyber security il proprio cavallo di battaglia contro l’hackeraggio, quindi, è sicuramente la Cina. Ma a quale prezzo?

Quello che di certo si capisce da queste dinamiche e vicende internazionali, che coinvolgono alcuni dei paesi più importanti al mondo, è che l’hackeraggio è diventato una nuova e potente carta politica, per infiltrarsi in decisioni così importanti come l’elezione del Presidente degli Stati Uniti, come nel caso (probabilmente) della Russia, e da cui difendersi per proteggere segreti di stato e mantenere un controllo semi-totalitario sulla popolazione, come nel caso della Cina. Non è una finzione alla Mr. Robot,e ciò è inquietante perché è tutto reale, ma allo stesso tempo rassicurante, perché il finale non deve essere con il botto come quella della serie: la pirateria informatica è una carta che si può e si deve imparare a controllare.

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