True Detective


mcconaugheyuomoIl complesso di megalomania di maggior parte di scrittori e, in generale, artisti americani, che include spettacolarità ma soprattutto pretesa di originalità assoluta, è innegabile. Se Nic Pizzolatto, produttore di True Detective, è come tutti gli altri, allora probabilmente non apprezzerebbe troppo che il protagonista della sua serie di successo, Rust, interpretato da Matthew McConaughey in persona, fosse qui sopra accostato eloquentemente a una delle opere del belga Magritte. Nessuna accusa di plagio o critica insensata, non è questo l’obiettivo, ma il paragone è comunque significativo.
La sigla iniziale di True Detective è accompagnata dalla canzone “Far from any road” degli Handsome Family, che secondo Il Post “è proprio il tipo di canzone che ti si attacca addosso: è pesante, trascinata, umida e sporca come da sonorità del sud degli Stati Uniti” . Canzone totalmente adatta, quindi, per questo video le cui scene ritraggono sagome umane fra cui spesso i profili dei protagonisti sono riconoscibili e all’interno delle quali si succedono immagini di paesaggi tipicamente americani, fra eccessiva modernità e infinita desolazione. La forza evocativa che ne scaturisce inequivocabilmente richiama alla mente il buon vecchio Magritte e la sua misteriosa pittura surreale. McConaughey e surrealismo, chi l’avrebbe mai detto?
La spiegazione di ciò sta nella variazione degli ingredienti di questa serie da quelli che invece costituiscono la ricetta comune di qualsiasi telefilm poliziesco: un mistero, meglio se raccapricciante da risolvere, innumerevoli femmes fatales, espressione elegantemente e molteplici volte resa in americano da McConaughey con crazy bitches, a intralciare i piani e a distrarre dai propri doveri, freddi ed inospitali uffici di polizia, dove ogni giorno la vita sembra scorrere uguale a se stessa, ed infine un partner che molto spesso non è che una bega in più con cui avere a che fare invece che un reale sostegno in investigazioni e missioni pericolose. Tutto questo non manca. Nic Pizzolatto non vuole scostarsi troppo dalla tradizione che risale a “Starsky and Hutch”, almeno non apparentemente.
Ma un occhio fine (o pazzo) che dopo aver guardato la sigla abbia già colto il raffronto, seppur alla lontana, con Magritte, o uno spettatore sensibile, non mancheranno di rimanere piacevolmente sorpresi anche dalla nuova componente che fa di True Detective una serie mirabilmente sopra le righe per il suo genere: lo stesso senso di inquietudine, mistero che emerge dalle opere metafisiche fino all’assurdo di Magritte, o il senso onirico inspiegabile ([…]this place is like someone’s memory of a town; “è come se questo posto fosse il ricordo di qualcuno di questo posto” episodio 1) e allo stesso tempo fascinoso ed emotivamente toccante, si ritrovano qui e trasmessi dalle eccellenti interpretazioni di Matthew McConaughey and Woody Harrelson.
I due attori nei panni di Rust e Marty non sono, infatti, solo le pedine cinematografiche che accompagnano lo spettatore in una avventura esaltante che faccia sentire il brivido e l’esaltazione del pericolo, come ai vecchi tempi, al suono di sgommate, inseguimenti e sparatorie: loro ci sono dentro, invischiati in questa serie con le loro vere vite, i loro traumi e le loro paure. I pazzi omicidi e disumani, resi folli da credenze religiose settarie ed oscure, che sono alla base di questa prima serie, non sono che l’innesco che scatena infiniti pensieri ed elucubrazioni complicate e spesso dolorose, come nel tentativo giornaliero di ogni uomo di dare una spiegazione all’universo, al tempo, a se stesso. Mconaughey e Harrelson, guidati dalla sapiente regia di Fukunaga, oltre ad essere detectives, riescono ad essere uomini veri all’interno della serie, ad esprimere questioni metafisiche che, volenti o nolenti, imperversano nella vita di tutti giorni, riescono a mostrare tutti gli sconvolgimenti interni che si succedono nel loro animo, come un uomo di Magritte, che schiude il suo mistero contrastante e strano tanto da essere surreale, agli occhi dello spettatore.

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