Operazione Pillar of Defense: l’inferno a Gaza


14-21 novembre, Operazione Pillar of Defense: a Gaza si riaprono le porte dell’inferno. Morti palestinesi: 170, tra cui 33 bambini e 13 donne (la cifra è tristemente destinata a crescere). Feriti: circa 1270. 298 case distrutte. 10.000 sfollati. 50 milioni di dollari di danni all’agricoltura e alla pesca. Morti israeliani: 5.

«Il problema dei giornalisti che devono raccontare cosa succede a Gaza è lo sbilanciamento del conflitto: non ci sono paragoni tra Israele e Gaza, tra combattenti palestinesi e l’esercito israeliano, tra i razzi e i missili. Ci insegnano a essere imparziali ed equilibrati. Ma questo non è un conflitto equilibrato e, nel tentativo di appianare le differenze, alcuni finiscono per raccontare una storia sbagliata o incompleta». Sherine Tadros, giornalista dell’Huffington Post (Usa) e corrispondente di Al Jazeera English dal Medio Oriente.

Ma qual è la storia giusta e completa?

Lo scorso 14 novembre a Gaza City un missile israeliano centra l’auto a bordo della quale viaggia Ahmed al Jabari, leader delle brigate Ezzedin Al Qassam, braccio militare di Hamas. Al Jabari era l’uomo chiave nelle trattative segrete con Israele per il mantenimento della tregua nella Striscia, tregua che lui stesso si era impegnato a imporre a tutti i gruppi armati presenti a Gaza. Al Jabari fu partner di Israele nelle negoziazioni per il rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit (rapito nel 2006 e rilasciato nel 2011).

La reazione di Hamas non si fa attendere: un razzo partito da Gaza cade su un palazzo a Kiryat Malachi, città nel sud di Israele, e uccide tre civili israeliani.

Israele lancia dunque l’operazione Pillar of Defense che, come spiega il colonnello Avital Leibovitch portavoce dell’esercito, ha come obiettivo riportare la quiete nel sud del Paese e colpire le organizzazioni terroristiche palestinesi.

Presto arrivano le dichiarazioni dei leader mondiali. Il presidente Obama riconosce il diritto dello Stato di Israele a difendersi, mentre il segretario agli Esteri britannico William Hague accusa Hamas di essere l’unica responsabile dell’escalation di violenza contro la Striscia di Gaza. Il premier egiziano Hisham Kandil definisce i raid israeliani un’aggressione, ma allo stesso tempo si impegna a non risparmiare alcuno sforzo per raggiungere la tregua. Una condanna ancora più ferma arriva dal primo ministro turco Erdogan che accusa Israele di pulizia etnica ma, malgrado il gelo calato da due anni sulle relazioni bilaterali (dopo l’assalto israeliano alla flottiglia per Gaza che fece nove vittime tra gli attivisti turchi nel 2010), si propone nel ruolo di mediatore per avviare un dialogo tra le due parti.

I bombardamenti proseguono per un’intera settimana: per la prima volta dal 1991 (Guerra del Golfo, ndr) dei razzi palestinesi cadono in prossimità di Tel Aviv. Colpiti anche alcuni insediamenti alle porte di Gerusalemme. Degli oltre 800 razzi sparati dalla Striscia più di 300 vengono intercettati dal sistema di difesa israeliano Iron Dome.

Secondo fonti militari israeliane a Gaza vengono colpiti circa 1.350 obiettivi. Sebbene Israele dichiari di voler colpire chirurgicamente basi strategiche di Hamas, agli ospedali gazawi arrivano numerose vittime civili. «Si sta verificando una situazione simile a quella del 2008-2009 (Operazione Piombo Fuso, ndr) quando in ospedale arrivavano intere famiglie di feriti», dichiara il dottor Sami dello Shifa Hospital. Ne è una triste conferma lo sterminio della famiglia Al Dalu avvenuto il 18 novembre: un attacco aereo colpisce la loro casa a tre piani uccidendo i 4 figli (11 mesi, 6, 5 e 3 anni), i genitori (28 e 22 anni), la zia (22 anni), la nonna (50 anni) e i due vicini di casa (20 e 80 anni).

Nella mattina del 21 novembre un ordigno esplode a bordo di un autobus a Tel Aviv: 28 feriti. Più tardi arriverà la rivendicazione delle Brigate dei martiri di Al Aqsa, ala militare della Jihad islamica. Israele risponde con due raid aerei uccidendo 11 palestinesi.

Lo stesso giorno il segretario di stato americano Hillary Clinton incontra il presidente palestinese Abu Mazen, il presidente egiziano Morsi e il premier israeliano Netanyahu. In serata si raggiunge un accordo per la tregua: Israele sospende tutti gli attacchi da terra, mare e cielo, le fazioni palestinesi fermano i lanci da Gaza e gli attacchi ai confini e tutti i valichi della Striscia vengono riaperti a 24 ore dal cessate il fuoco riducendo le limitazioni nel passaggio di beni e persone. L’Egitto si impegna a essere garante dei termini della tregua.

Dal giorno della tregua Gaza è sparita dalle prime pagine dei quotidiani, ma la tragedia della Striscia si sta ancora consumando. Una tragedia acuita dall’assedio iniziato tra il 2006 e il 2007 quando Israele, dopo aver ritirato tutte le proprie basi militari e gli insediamenti, in reazione alla vittoria di Hamas alle elezioni politiche ha imposto un blocco totale limitando fortemente la circolazione di persone, materiali e cibo dentro e fuori da Gaza. Si tratta di un controllo militare totale sui confini terrestri e marittimi, sulle risorse naturali ed energetiche, lo spazio aereo e le telecomunicazioni.

Lo Stato israeliano è addirittura arrivato a calcolare le calorie per persona necessarie per «mettere i palestinesi a dieta ma non farli morire di fame», citando le parole pronunciate nel 2006 dall’ex ufficiale Dov Weisglass.

Il blocco imposto sulla Striscia fa di Israele una forza occupante e, secondo il linguista Noam Chomsky, «quando gli israeliani nei territori occupati dicono che si devono difendere, si difendono nel senso che ogni esercito occupante deve difendersi dalla popolazione che sta schiacciando. Non puoi difenderti, quando stai occupando militarmente la terra di qualcun altro. Questa non è difesa. Chiamatela come volete, ma non è difesa».

2 Comments

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  1. Luca Rasponi

    Nell’ultima settimana ho letto diversi giornali per avere un quadro della situazione, ma devo dire che non avevo ancora letto un articolo completo ed efficace come questo: complimenti all’autrice!

    ps: mi permetto di aggiungere, sempre da “E la chiamano guerra” di Chomsky: «Israele usa sofisticati jet da attacco e navi da guerra per bombardare campi profughi densamente popolati, scuole, abitazioni, moschee e slum, per attaccare una popolazione che non ha aviazione né contraerea, armamenti pesanti, unità di artiglieria, blindati… E la chiama guerra. Ma non è guerra, è un assassinio».

    • Arianna Beccaletto

      Ti ringrazio molto, Luca, non poteva arrivarmi complimento migliore! 🙂 Chomsky insegna il valore delle parole e ci spinge a chiamare le cose con il loro nome…chissà se mai una prova di altrettanto coraggio arriverà dalle alte posizioni di potere.

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