Sogni Americani


Non sono mai stato in America e non mi piace parlare di cose che non ho mai visto. Per questo ho chiesto aiuto a Nicolò Decarli, dottorando dell’Università di Bologna presso il Mit di Boston. 

Dopo lunghe ore di volo, ti trovi in coda per lo sportello immigrazione. Lungo le pareti gli schermi ultrapiatti propongono questo videoWelcome to the Usa. Il sogno che si realizza.

L’America entra nelle nostre case da un tubo catodico da quando questo è stato inventato. Praterie sconfinate dove tutti vivono in case di legno e metropoli dove l’acciaio e il vetro vanno a grattare il cielo. Le spiagge delle Hawaii, della Florida e della California, i ghiacci dell’Alaska e i rigidi inverni continentali. Una nazione con 58 Parchi Nazionali (e decine minori) e autostrade a 26 corsie con punte di inquinamento altissime. Vediamo immagini di uragani che spazzano via intere città e di soldati che presidiano ogni zona calda del pianeta. Pochi secoli di storia vengono valorizzati e commercializzati. L’America è il Paese della musica del ghetto e delle grandi orchestre sinfoniche.

Passeggiando per la strada trovi sempre qualcuno che ti chiede how’s it going ad ogni angolo, e le stesse catene di fast food. Nei ristoranti la mancia è obbligatoria ma ti servono anche acqua del rubinetto for free. Puoi comprare un lecca lecca con la carta di credito. Se vuoi una birra ti chiedono la carta d’identità, ma puoi possedere un’arma senza grandi difficoltà. Se non hai un’assicurazione sanitaria vieni abbandonato al tuo destino, ma se ne possiedi una vieni curato con la C maiuscola: sei ascoltato, visitato, aiutato e capito come vorresti davvero esserlo da ogni dottore. Il motto dell’America è «In God we trust» e si sente spesso pronunciare «God bless America», anche se l’unico oggetto di culto sono i verdoni: il valore di un’azienda può superare il Pil di varie nazioni europee, per non dire africane.

Tutte le razze, religioni e lingue stanno imparando a convivere pacificamente, anche se il potere rimane nelle mani dei Wasp (White, Anglo Saxons, Protestant) che pure ormai rappresentano una minoranza nel Paese. I politici la propria campagna elettorale se la finanziano con fondi privati e non contano su nessun rimborso elettorale (una pratica meritocratica?), mentre la legge per votare il presidente è più o meno la stessa dai tempi della costituzione.

In America tutto è più grande. Le auto sono più grandi, le bibite sono più grandi, la pasta viene enriched – se fosse solo grano non sarebbe  abbastanza nutriente – mentre Michelle Obama si prodiga per salvare i due terzi della popolazione che sono in sovrappeso. Negli Stati Uniti puoi diventare più grande, perché lì esiste qualcosa che negli altri Paesi non funziona: la meritocrazia.

È il paese delle cheerleaders e degli scuolabus gialli, ma anche delle università migliori del pianeta (anche se le statistiche le fanno proprio loro). I corsi universitari possono costare anche 60mila dollari l’anno, ma non tutti sanno che il 50% degli studenti ha una borsa di studio totale e il 90% un aiuto parziale, fino ad un 99% per le fasce a basso reddito (sotto i 50mila dollari). Là l’idea di uno studente vale, e nascono imprese come Facebook, Dropbox, Google, Yahoo.

L’America però ci aiuta a capire anche le degenerazioni della meritocrazia. È probabile che molti europei inorridiscano allo slogan «Meno tasse per i più ricchi», ma questo concetto trova consenso in molti self made men. Cosa succede in America a chi viene lasciato indietro? E qual è il criterio di merito che viene applicato? La capacità di generare ricchezza?

Mentre l’America si appresta al voto del 6 novembre, cerchiamo di guardare a un Paese che per tante persone in tutto il mondo costituisce ancora un sogno. Per capire quali meccanismi possono risultare vincenti anche in Europa e accettare le differenze culturali che neanche il cinema è riuscito a livellare. Perché gli Stati Uniti d’Europa non saranno mai un’imitazione degli Stati Uniti d’America. E forse un giorno lasceremo all’America i sogni americani e inizieremo a sognare a modo nostro, progettando la nostra strada.

2 Commenti

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  1. Fabio Pirola

    L’American Dream è declinabile davvero in tanti aspetti, e le contraddizioni che esponi sono fulminanti nella loro evidenza… ci sarà di che riflettere a lungo. Gran bell’editoriale!

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