Vino e parole divine – Letteratura da gustare, sui luoghi dei grandi autori


Molti di noi millennial si trovano sulla soglia dei trenta o l’hanno già superata: questo significa che uno dei maggiori interessi rimasti – dopo aver perso le discoteche, le canne e i flirt – è il vino. Ma cosa c’entrano vino e letteratura?

Bicchiere dopo bicchiere, il retrogusto diventa sempre più specifico e da azzardatissimi “sento un gusto di fiori di sambuco” a “sento il gusto di una poesia di Pavese” il passo è brevissimo.

Non me ne vogliano gli accademici e i puristi, ma oggi vi accompagno nei retrogusti dei grandi vini e, forse, anche dei grandi letterati d’Italia.

In alto i calici, e partiamo!

In Liguria sorsi di… Montale

Vigneti con il paesino ligure di Borghetto di Vara sulla sfondo

Vigneti liguri a Borghetto di Vara (Credits: Francesca Raffaghello)

Non posso che far iniziare il mio viaggio da casa, dal Vermentino e dagli anziani che a colazione si bevono un “gottu de giancu” – un bicchiere di bianco – accompagnato da una “slerfa” (fetta) di focaccia e mentre guardano il mare davanti a loro.

Noi genovesi ci siamo sempre reputati ricchissimi proprio perché abbiamo il mare tutti i giorni dell’anno. Ci sentiamo sceicchi perché a casa nostra nascono gli alberi dei limoni, perché fatti due passi usciamo dalla città e ci ritroviamo in campagna, perché abbiamo i muretti a secco. Mentre gli anzmiani sorseggiano i loro vini giocando a carte e discutendo del prossimo derby, sentono questi retrogusti e si sentono ricchi.

Chi ha saputo tradurre questi sapori in parole è stato Eugenio Montale:

“lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla: le viuzze che seguono i ciglioni, discendono tra i ciuffi delle canne e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. Meglio se le gazzarre degli uccelli si spengono inghiottite dall’azzurro: più chiaro si ascolta il susurro dei rami amici nell’aria che quasi non si muove, e i sensi di quest’odore che non sa staccarsi da terra e piove in petto una dolcezza inquieta”.

(E. Montale, I Limoni)

In Piemonte calici di… Pavese

Poco lontano da casa noi liguri abbiamo i Grandi rossi delle Langhe. Ci siamo mischiati con i piemontesi da sempre ma abbiamo saputo mantenere una certa distanza nascondendoci dietro un’imponente catena montuosa come l’Appennino ligure.

Questo, però, non ci ha mai trattenuti dal dissetarci con i sapori dell’Entroterra: bere Barolo per sentire il tannino, il gusto caldo e legnoso della botte e il profumo dei contadini che vivono al ritmo delle stagioni, amanti della terra che maneggiano e lavorano. Con un calice di rosso in mano è impossibile non avere nostalgia del mondo là fuori e insieme non avere bisogno di altra terra che quella che ci circonda.

Deve essere stato il profumo del barolo in barrique a far scrivere a Pavese:

“Un inverno a mio padre già morto arrivò un cartoncino con un gran francobollo verdastro di navi in un porto e auguri di buona vendemmia. […] e io penso alla forza che mi ha reso quest’uomo, strappandolo al mare, alle terre lontane, al silenzio che dura. Mio cugino non parla dei viaggi compiuti. […] Ma quando gli dico ch’egli è tra i fortunati che han visto l’aurora sulle isole più belle della terra, al ricordo sorride e risponde che il sole si levava che il giorno era vecchio per loro”.

(C. Pavese, I mari del Sud)

Un capolavoro che sicuramente non sarebbe stato lo stesso senza un bicchiere di barbaresco a fianco dell’autore.

Grappoli di Nebbiolo ancora sulla vite

Grappoli di Nebbiolo in Langa (Credits: Francesca Raffaghello)

A Verona bicchieri di… Catullo

Arriviamo a Verona e, col freddo che fa, ci scaldiamo con un bell’Amarone.

Forte, deciso, dal gusto profondo e pieno, ci ricorda i sorrisi dei suoi produttori, il lavoro continuo e onesto del Veneto che più ci piace. Il retrogusto nascosto è quello dei sapori che mischiano terra e mare, del Grande Fiume che scorre tranquillo, dei profumi appena accennati di una Laguna che verrà.

A sorseggiare con attenzione, però, al palato si sente un gusto antico, nascosto, quasi dimenticato dagli anni: si sente la giovinezza inquieta di Catullo, “millennial” – o quasi – di qualche millennio fa, appassionato di donne più adulte e notoriamente sposate con politici di peso (cougar, in sostanza) che lo usano senza considerare la sua indole passionale e poetica.

Qualsiasi qualità di vino si producesse sul finire della Repubblica di Roma, sicuramente è stato un compagno fidato di Catullo e delle sue cene con gli amici, come nel caso di “Cenabis bene, mi Fabulle”.

Traduco, per i non addetti ai lavori:

“Cenerai bene da me, da qui a pochi giorni, mio caro Fabullo, se te lo concederanno gli dei, se porterai con te la cena buona e abbondante, non senza una bella ragazza, vino, sale e un mucchio di risate. Solo a queste condizioni, bello mio, cenerai bene. Infatti il portafoglio del tuo amico Catullo è pieno solo di ragnatele. Ma per contro riceverai sincero affetto, e ciò che di più elegante e raffinato c’è: ti donerò l’unguento che Veneri e Amorini hanno regalato alla mia ragazza. Quando lo annuserai, Fabullo, pregherai gli dei affinché ti facciano diventare tutto naso”.

(Catullo, Carme XIII)

In Toscana sapore di… Carducci, Petrarca, Dante

Scendiamo giù per lo Stivale e tra colline e cipressi cambiano gli accenti e i vitigni.

In Toscana ci aspetta un calice di Morellino. Forse anche due o tre. Mentre sorseggiamo il nostro rosso dal sapore pieno ma leggero, ascoltiamo il tono allegro della gente toscana, in particolare fiorentina che aspira le “c” e ci accompagna nella pace delle loro colline, ridendo tra i cipressi e il mare.

Dopo il primo sorso si sente il gusto di Carducci che “traversa” la Maremma Toscana e

“di lontano pace dicono al cuor le tue colline, con le nebbie sfumanti e il verde piano ridente ne le pioggie mattutine”

(G. Carducci, Traversando la Maremma Toscana),

dopo il secondo l’inquietudine di Petrarca che

“solo et pensoso i più diserti campi vo mesurando a passi tardi e lenti”

(F. Petrarca, Rerum vulgarium fragmenta, 39)

ma al terzo si sente indubbiamente Dante e il suo accenno al vino (toscano forse?):

“Guarda Il calor del sol che si fa vino, giunto a l’omor che della vite cola”.

Purgatorio XX, 77-78

In Sicilia retrogusto di… Pirandello, Verga, Vittorini, Camilleri

Arriviamo alle isole e concludiamo il nostro viaggio… ubriachi.

In questa terra di reminiscenze letterarie continue ci fermiamo ad Avola, dove il vino rosso si trasforma in nero. Fin dai primi sorsi sentiamo il sapore di gente “mischiata”, di strade che si incrociano, di storia di uno e dell’altro, di bene e di male. Tutto in questa terra sembra possa coesistere e ogni sapore si ritrova nel suo vino.

Botti dove invecchia il Nero d'Avola in una cantina di Avola, Sicilia

Cantine siciliane dove nasce il Nero d’Avola (Credits: Francesca Raffaghello)

Bevendo, per primo, sentiamo il sapore di Elio Vittorini e ci sentiamo Silvestro che torna in Sicilia per ritrovare una dimensione reale e fare pace con i suoi “astratti furori”, ma questa sensazione dura poco perché pochi sorsi più tardi il gusto intenso del Nero d’Avola ci fa affondare insieme alla Provvidenza di padron ‘Ntoni nel Canale di Sicilia, incolpevole teatro di tragedie di ieri e di oggi.

A metà bicchiere, il sapore intenso del vino ci ricorda le maschere di Pirandello e – di questi tempi poi! – ci ridiamo su perché

“la mia allegria dipenderebbe dal dito di vino che ho bevuto. […] che cosa è vero, caro signore?”.

(L. Pirandello, Un po’ di vino).

Solo all’ultimo sorso, dopo aver finito il bicchiere, ci viene voglia di fumare una sigaretta e mentre riempiamo i nostri polmoni di fumo ci pare di sentire una voce roca con un marcato accento siculo che descrive la stanza nella quale abbiamo degustato l’ultima bottiglia del nostro viaggio:

“C’erano un tavolo da pranzo e quattro sedie in un angolo, una credenza ottocentesca piena di bicchieri, piatti, bottiglie di vino e liquori”.

Era la voce di Andrea Camilleri in La forma dell’acqua.

Bere per scrivere, bere per leggere

In questo viaggio vi ho parlato di tante cose ma non mi sono dilungata a spiegare i significati dei testi letterari che ho citato.

Avrei voluto farlo, per dimostrare di sapere qualcosa e non aver buttato anni di studio al vento; purtroppo però, come dice Cratino, “nessun bevitore di acqua scrisse mai qualcosa di bello”. Così, per essere più realista, ho dovuto scrivere riassaggiando tutte le bottiglie citate.

Non so se il testo possa considerarsi “bello” – nonostante lo sforzo etilico – ma sono certa che potrete capire benissimo tutti i testi citati anche da soli, dopo almeno tre bicchieri di rosso, a vostra scelta.

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