Firewall: protezione o isolamento?


Il firewall, in informatica, è un sistema di sicurezza. Serve a proteggere un computer da potenziali rischi di connessioni malevole, in entrata (o in uscita) dal sistema.

Diversamente dal Wall of Fire, noto ai giocatori di ruolo e ai videogiocatori, questo muro ci protegge dal traffico di rete. Si chiama così per via dell’idea di confinare un potenziale incendio (fire) all’interno delle mura (wall) di un edificio, affinché le fiamme non possano raggiungere le strutture vicine, causando una propagazione disastrosa. Il concetto odierno di firewall (in senso informatico) è molto più sottile: protegge l’integrità della nostra rete locale dalle connessioni a una rete esterna, più grande, e potenzialmente pericolosa (come Internet).

Oggi è impensabile navigare in Internet senza usare un firewall e un antivirus: si corre il rischio di causare danni irreversibili al proprio dispositivo, nonché incorrere in truffe insidiose, come il phishing (furto di dati sensibili), o l’installazione inconsapevole di software malevoli.

L’unico aspetto negativo del firewall, se vogliamo, è che monitora tutte le connessioni, anche quelle in uscita: quando avviamo un gioco, o un software che consideriamo affidabile, quasi sicuramente il firewall si attiverà per impedire questa connessione. Ci toccherà (con un semplice click) permettere l’azione, con un’eccezione sul funzionamento del firewall. Fastidioso, ma accettabile.

Pensando ai firewall, però, possiamo delineare un parallelo con un altro tipo, molto più importante, di connessione: quella tra le persone.

Quante volte alziamo un muro tra noi e gli altri? Forse abbiamo sofferto, ci siamo sentiti traditi, abbiamo pensato di non aver bisogno di nessuno. E invece di parlare, chiarirci, confrontarci, siamo rimasti in silenzio.

Spesso comincia tutto con quel silenzio. Per citare Serena Santorelli: “Parlatene, parlatene sempre. Perché i silenzi diventano pietre. E le pietre diventano muri. E i muri, distanze incolmabili.”. I muri dividono.

I muri con cui ci isoliamo sono molto più subdoli dei muri “reali”. Prima di tutto, non si possono abbattere con un piccone o una mazzetta: serve un martello pneumatico mentale, con cui evadere dalla nostra prigione e tornare a respirare l’aria di compagnia.

Inoltre, spesso per abbattere le nostre barriere non possiamo contare su nessun aiuto esterno: è un processo che deve partire da noi. Senza la volontà di tornare a connettersi con altre persone, non c’è modo di demolire questo muro solo dall’esterno.

Infine, a differenza dei muri tangibili, questo blocco è invisibile. Se vediamo un amico in evidente difficoltà, lo possiamo aiutare: ma se il problema è la mancanza di volontà di comunicare, ce ne accorgiamo solo se l’amico ce ne parla, e questo non accadrà. È un circolo vizioso.

Così come un firewall blocca le connessioni in entrata e in uscita, anche i muri che ci costruiamo attorno possono bloccare i tentativi di connettersi ad altre persone.
Per il computer è semplice: il firewall considera tutte le connessioni pericolose, salvo comprovata innocenza. Siamo liberi di decidere se il firewall sia troppo solerte, oppure no.
Per i rapporti umani, la faccenda si complica. Però vale la pena di rischiare: la pena che ci può infliggere un rapporto finito male non può cancellare le gioie e i piaceri che un rapporto di amicizia, o di affetto, ci regala.

Parliamoci piano, forte, faccia a faccia o a distanza. Ma parliamoci.

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