I paradisi artificiali – la dipendenza secondo Baudelaire


“Se guarderai a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te”.

(Friedrich Nietzsche )

Che cos’è una dipendenza?

Nonostante la domanda sia degna della rubrica di scienze e salute del buon Piero Angela ai tempi di Superquark, per questa rubrica è davvero necessario fermarsi a riflettere, perchè quest’anno Discorsivo vi parla delle Dipendenze.

Una dipendenza è un’alterazione del comportamento che porta una esagerata ricerca del piacere tramite mezzi diversi. Un individuo dipendente cercherà compulsivamente ciò che lo fa “star bene” quali che siano le conseguenze.

Ma se il primo pensiero va a droga e alcool, ben altro è nato nel tempo; dimenticate la fatina verde e date il benvenuto alla dipendenza affettiva, a quella verso il gioco e la televisione, perfino il lavoro e lo shopping diventano una ossessione per qualcuno.

In letteratura l’uso di alcool e droghe sembra un elemento costante, soprattutto fra Ottocento e Novecento. Dotati di una sensibilità spiccata, scrittori e poeti hanno esplorato tutte le sfumature dell’animo umano, fino a venirne divorati dalle sue ombre ma lasciando dietro di sé pagine indelebili.

E fra le molte figure che del “poeta maledetto” sono icona, una spicca fra le altre: Charles Baudelaire.

Mito bohémien per eccellenza, si è spinto oltre i limiti per toccare con mano i confini delle emozioni umane, dalle passioni strazianti all’amore puro e ideale.

Proprio lui scrive uno dei saggi più affascinanti e controversi sugli effetti delle droghe: “I paradisi artificiali” (Ed. BUR), In una società in cui gli individui diventano sempre più semplici che posizione ricoprono queste sostanze? Come agiscono invece sulla mente eletta del Poeta e dell’Artista? Queste sono le risposte cui lo scrittore cerca di dare una visione al lettore, dove ben descrive le sensazioni che l’uso di svariate sostanze stupefacenti aveva suscitato in lui.copertina di “ paradisi artificiali ” di Baudelaire

Hashish, oppio e vino sono i protagonisti di un viaggio che dovrebbe portare l’uomo alla soddisfazione del suo atavico desiderio di infinito. Man mano che si procede nella lettura però, l’iniziale elogio diventa dura condanna: sarà di certo rovinoso il destino di chi, per sollecitare la propria creatività paralizzata, non sarà più in grado di fare a meno di hashish e oppio. Per lui, infatti, l’uso di queste droghe crea “paradisi artificiali” che corrispondono al mal diretto desiderio di elevazione dell’uomo che alla ricerca del piacere verrà catapultato nell’abisso.

Il testo di “paradisi artificiali” si divide in tre capitoli, il primo fra i quali si intitola “Del vino e dell’hashish”.

Baudelaire confronta il consumo di vino e hashish e gli effetti che derivano dal loro uso. Lui preferisce il vino, lo glorifica quale strumento per esaltare la grandezza, la volontà e le speranze dell’uomo – basti pensare alla sezione dedicata a questa bevanda ne “I fiori del male”. L’hashish invece è considerato uno strumento dannoso, per suicidi.

L’uomo cui fa riferimento lo scrittore comunque non è mai quello comune, piuttosto viene dipinto come un artista pieno di sensibilità e, per quanto venga condannato, l’uso dell’hashish nel secondo saggio “Il poema dell’hashish” viene tollerato perché esalta la vena creativa del Poeta e ne esalta qualità e potenzialità. L’uomo però non deve ingannarsi e allontanarsi dalla sana ricerca dell’infinito.

L’ultima parte del saggio si intitola “Un mangiatore d’oppio” e la figura di Thomas De Quincey – il mangiatore d’oppio per eccellenza – diventa modello per il viaggio di redenzione dalla dipendenza. Baudelaire riprende anche il tema del vino, ma questa volta è l’oppio a vincere il confronto.

Ultima protagonista del complesso e visionario “paradisi artificiali” è la Morte, tanto cara al poeta, che arriva per tutti a spazzare sogni e speranze, liberando allo stesso tempo l’uomo verso il viaggio misterioso verso il vero ignoto.

La condanna che fa di questi “paradisi artificiali” è attualissima anche se le argomentazioni a volte possono risultare pittoresche: sono il “perfetto strumento satanico” che portano l’uomo a vedersi come un dio, attenuando ogni rimorso e soffocando l’Io imperfetto dell’uomo.

Prosa diretta e irriverente per un libro mirabile, mai banale e pieno di ombre. Pagina dopo pagina apre al lettore uno scorcio, sempre attuale, sulla tirannia della dipendenza, che sembra portare verso la realtà ma che invece intrappola in un labirinto di specchi cui diventa sempre più difficile uscire.

L’epilogo poi è la parte più sorprendente: lasciando il lettore pieno di domande irrisolte Baudelaire si limita ad esporre e descrivere fatti e vissuto, a noi lascia il libero arbitrio per le decisioni più importanti.

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