La bella giovinezza di Francesco Ricci – Le parole dei Millennials


I Millennials sono la generazione più potente della storia.

Potrebbe sembrare una affermazione piuttosto forte ma in realtà, statistiche alla mano, sono effettivamente la generazione più popolosa nel mondo attuale; capace di guidare le mode e plasmare le strategie di marketing.

Ma chi sono veramente quelli della Generazione Y? I Millennials sono ragazzi. Giovani adulti nati fra il 1980 e la fine del millennio, che hanno vissuto la rivoluzione della tecnologia e dello stile di vita, via via sempre più discosto da quello pieno di certezze dei propri genitori.

All’interno dello stesso fenomeno ci sono sfumature diverse: chi è nato negli anni ’80 ha forse vissuto l’evoluzione della società in maniera più progressiva, crescendo e osservando i cambiamenti in corso con alle spalle una infanzia fatta di giardinetti e matite colorate, basta pensare anche solo all’avvento del telefonino o dei primi computer.
I Millennials da manuale però sono quelli nati intorno al 2000, che ancora stanno cercano il loro posto nel mondo e allora imboccano qualsiasi strada possibile per emergere e farsi vedere in una società che sempre più li porta sulla via della omologazione, invece che valorizzare il loro essere unici/ invece di valorizzare la creatività del singolo.

Ad essere cambiato è il mondo intorno alle persone, ed esse con lui: la comunicazione si è evoluta verso l’immediatezza delle immagini sulla parola, anche merito di una tecnologia che sempre più si semplifica e velocizza. Anche il futuro ha un colore diverso rispetto a quello dei nostri genitori, alla luce dei fatti che hanno sconvolto il mondo globalizzato negli ultimi venti anni.

Francesco Ricci, con il libro “La bella giovinezza. Sillabari per Millennials” (Primamedia ed.), fa luce su tutta una costellazione di aspetti dell’universo dei Millenials degli anni 2000. Mettendo insieme la sua esperienza di docente, lettore e genitore, in 32 piccoli saggi restituisce una attenta e tanto meno scontata analisi di altrettanti aspetti della generazione del terzo millennio. E lo fa con uno stile piacevole e mai verboso, arricchendo il testo, oltre che di rimandi letterari e citazioni musicali, anche con la cronaca attuale.

Si parla quindi di amicizia, amore ai tempi dei social, della bellezza e della moda, del senso di famiglia, della giustizia e del loro mondo immerso nella rete; insieme a tematiche più complesse come la percezione della solitudine, della ribellione e della sconfitta.

Non manca, un piccolo capitolo dedicato ai libri e agli autori che nel tempo hanno saputo accendere riflettori sui disincanti e i timori dei giovani. Così compaiono i nomi di Tondelli che commenta di musica e Giuseppe Culicchia che con “Tutti giù per terra” ha scritto il romanzo manifesto della Generazione Y: il protagonista, Walter, dopo vent’anni, è ancora specchio dei giovani di oggi, con le stesse inquietudini e la stessa visione precaria della vita.

I Millennials così acquistano una dimensione “in 3D” dove l’identità, spesso, viene dagli input dei social network proprio perché figli di una globalizzazione che da un lato porta ad essere iper-connessi e dall’altra restituisce apertura mentale e curiosità verso la contaminazione culturale e l’espressione individuale, in ogni sua forma.

Ricci prova a raccontare la sua visione diretta dei ragazzi con i quali si confronta ogni giorno, grazie ai quali ha potuto vedere la profonda mutazione delle loro percezioni, degli interessi che esprimono, ma anche le aspettative e le dipendenze di una generazione che sembra desiderare più di ogni altra cosa di essere vista e ascoltata dalle persone cui tiene di più, che cerca chi è capace di accendere in loro il fuoco della speranza e della fiducia nel futuro, che dia loro l’intraprendenza per partire, costruire, reinventarsi.

Spesso capita di leggere aspre critiche nei confronti di una generazione additata come pigra , individualista e narcisista – Joel Stein la definisce la “Me Me Me Generation”. Questo può anche essere vero, ma non dimentichiamo che spesso la discriminante è la chiave di lettura che fa la differenza e le generazioni precedenti hanno vissuto sfide e opportunità differenti da quelle contemporanee.

Sono loro “quelli che ci salveranno” anche se sono sempre sui social.

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