Inno alla resilienza di una generazione Millennial


Avete presente quelle molle color arcobaleno che ogni bambino possedeva negli anni ’90? Quelle che lanciavamo giù per le scale di casa, sperando che facessero uno di quei numeri da circo, giù per tutta la rampa. Ma non arrivavano mai, si fermavano sempre dopo due o tre scalini tutte intrecciate. Alcune si rompevano e basta.

Quelle molle erano odiate da tutti, ammettiamolo. Forse perché, in fondo, sapevamo bene che non ci rappresentavano. Quelle molle non erano resilienti come noi.

Essere resilienti significa adattarsi ai cambiamenti. E’ il “mi piego ma non mi spezzo” (al contrario del frangar, non flectar latino). E’ il fluido che prende la forma del suo contenitore.

Il termine resilienza è preso in prestito dalla fisica, dove un metallo resiliente, per esempio, è quello che, se posto sotto stress, si deforma ma non si rompe. Questo significato si è diffuso in molte discipline: in informatica è la capacità di un sistema di adattarsi e di resistere all’usura, mentre in biologia è la “capacità di una materia vivente di autoripararsi dopo un danno, o quella di un sistema ecologico di ritornare al suo stato iniziale, dopo essere stata sottoposta a una perturbazione che ha modificato quello stato” (da Wikipedia). In psicologia, in particolare, la resilienza ha un significato importante: è la capacità di adattarsi agli eventi stressanti che la vita ci pone, di affrontare le avversità senza distruggersi ma, anzi, uscendone rafforzati e con qualche abilità in più, la possibilità di poter far fronte positivamente anche ad eventi traumatici.

La molla arcobaleno, quindi, non era resiliente. Non era capace ad adattarsi alle scale che aveva di fronte e sistematicamente si spezzava. Non era in grado di rappresentare ciò che invece noi Millenials facciamo ormai da più di 30 anni: adattarsi.

Ma ci pensate che quando siamo nati noi esistevano a malapena i videoregistratori? Oggi non possiamo fare a meno degli smartphone. Sono banalità, certo, ma specchio dell’enorme balzo in avanti che la società occidentale ha compiuto sulla strada del progresso, economico, tecnologico e sociologico. Che questo progresso sia positivo o negativo, ai posteri l’ardua sentenza. Noi ci siamo dentro fino al collo, tanto vale provarci comunque (cit.). Il grandissimo sociologo Zygmunt Bauman, morto agli inizi del gennaio scorso, ci ha offerto una delle più azzeccate analisi della società post-moderna unita a una delle sue critiche più aspre. L’incertezza, la crisi dei valori tradizionali, l’economia basata sul precario, il costante cambiamento e la concezione di tempo ristretto nell’attimo presente sono le caratteristiche di una società liquida, in costante cambiamento e mai solida.

Noi Millenials siamo nati e cresciuti in questo mare liquido.

Le nostre stesse strutture di personalità, per quanto tutte diverse, hanno in comune la capacità di un’intera generazione di adattarsi ai cambiamenti più rapidi della storia dell’uomo. Come una molla (di quelle vere, di metallo duro) noi Millenials riusciamo ad adattarci, a reinventarci sempre, a resistere di fronte alle avversità e uscirne diversi, forse anche più forti. I nostri genitori hanno vissuto nella certezza di una società solida, basata su valori precisi e indiscutibili, su meccanismi sociali ed economici che potevano cambiare, certo, ma solo nel giro di diversi decenni. Credetemi, forse sono loro quelli più in crisi di tutti. Loro sono la molla arcobaleno, che di fronte ad una improvvisa scalinata in discesa, non ha la struttura giusta per adattarsi.

Non vi ho ancora convinti? Noi genovesi abbiamo un ottimo esempio di resilienza generazionale: la reazione alle alluvioni del 2014. Moltissimi giovani, armati di pala e stivali da pioggia, hanno preso in mano un evento catastrofico e hanno reagito, positivi e costruttivi, per il bene della propria città. Saremo capaci di mantenere questa elasticità strutturale negli anni a venire? Anche qui, ai posteri l’ardua sentenza.

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