Millennials al potere? Un ritratto di Diego Fusaro


Diego Fusaro, classe 1983, filosofo e saggista, rientra a pieno titolo nella categoria dei millennials. Per smontare una sua certa “accademica compostezza” e dato che siamo coetanei, ho deciso di chiamarlo per nome.Per quanto riguarda il potere, quello esercitato da Diego sembra finora soprattutto di natura mediatica: blog, siti, talk show, interviste, conferenze che lo vedono al fianco dei personaggi più disparati. Da Umberto Galimberti ad Antonio di Pietro, da Selvaggia Lucarelli a Vittorio Sgarbi, Diego dimostra davvero che con chiunque è possibile argomentare, anche se talvolta dovremmo dire “battibeccare”, con un arcaismo linguistico che sarebbe caro al nostro filosofo.

Nonostante la giovane età, Diego vanta un gran numero di pubblicazioni da parte di editori famosi. La sua capillare presenza sui social, assieme a una nutrita schiera di fan e detrattori, dimostra perlomeno la presenza di un fenomeno Diego Fusaro ormai indiscutibile.

In un certo senso, sento di doverlo ringraziare: in questo tempo in cui la figura del filosofo appare relegata a un’immagine antiquata e collegata soltanto a studiosi piuttosto attempati, con Diego sembra rinata la figura del giovane intellettuale, del letterato che può ancora trovare spazio e farsi strada nel mondo facendo il suo mestiere.

Diego è uno di noi, soffre e ci offre un racconto delle stesse strutture che accompagnano il nostro viaggio quotidiano nel mondo globalizzato e iper-informatizzato.

Prendendo ampi spunti dalla riflessione di Marx e Gramsci, quella che appare nei suoi libri e interventi è una critica radicale del sistema capitalista, ormai divenuto l’unico orizzonte di senso e che soprattutto sembra ormai indiscutibile, quasi fosse un prodotto della natura.

Traspare anche una (sana?) dose di sfiducia nella sua generazione, pardon, nella nostra: nelle sue parole, molti dei nostri coetanei soffrono di un’assuefazione preoccupante nei confronti delle dinamiche sociali e dei meccanismi del potere.

La nostra generazione, per Diego Fusaro, è divenuta incapace di costruire un dissenso organizzato intorno ai grandi temi per cui vale la pena lottare. Il dissenso rimane semmai confinato a una dimensione individuale, per così dire atomistica, spesso espressa soltanto sui social, che alle parole non riesce a far seguire i fatti.

E lui ci riesce? No, nella misura in cui è un teorico e tale forse deve restare. Ma nemmeno il suo pensiero sembra rivoluzionario, anzi un po’ troppo simile in forma e contenuti a quello dei “parrucconi universitari” da cui potrebbe, se volesse, prendere le distanze e con cui condivide (soprattutto per questo va preso sul serio) una notevole competenza accademica.

Diego Fusaro, da buon teorico, non ci offre nessuna soluzione concreta ma continua a descrivere il mondo auspicando, al più, il ritorno a un dissenso organizzato per cui però non offre ricette (e di come questo si innesti in un più ampio discorso sul ruolo della filosofia dovremo trattare altrove).

La lotta di classe sembra finita, i potenti hanno vinto, i millennials si chiudono nella propria soggettività, manipolati in maniera fine e astuta da un Sistema (in stile 1984 di Orwell) che li ha schiavizzati non tanto minacciandoli o controllandoli direttamente ma creando in loro dei bisogni fittizi, talvolta appagandoli, a volte non appagandoli mai, quasi fossero miraggi in un deserto. Con strategie di marketing, s’intende.

Di questo spaventoso Zeitgeist (il nostro spirito del tempo, direbbe Hegel) fa però inevitabilmente parte anche il nostro Diego, che critica il sistema ma si fa pubblicare da Bompiani e Feltrinelli, che critica la pervasività dei social network nella vita ma non manca mai di postare o commentare, che auspica una maggiore capillarità della cultura tra i più digiuni di essa… ma utilizza un linguaggio ostico e specialistico anche in contesti non accademici (e sul web non mancano esilaranti caricature, vedi il Fusarobot).

Insomma, di argomenti il nostro Diego ne ha tanti, la sua conoscenza della storia della filosofia è vasta e non è un improvvisato. Cosa c’è però di nuovo, di davvero dirompente? È vero che molti più uomini dovrebbero prendere coscienza della loro condizione, ma altrettanti che lo hanno già fatto non fanno nulla per cambiare.

Ne sono passati di anni dal Platone-Socrate della Repubblica che avrebbe voluto i filosofi al potere. Chi scrive è ancora convinto che quella di Platone sarebbe una buona idea anche ai nostri giorni. Non so se ti vorrei, caro Diego, accanto ai vari Cacciari e Buttiglione alla guida di qualche compagine politica. D’altronde, tu stesso hai detto che non vorresti farlo.

Come facciamo, Diego? Noi ci sentiamo come te. Ci accontentiamo, prendiamo stoicamente coscienza della nostra condizione. E poi, cosa cambia?

Spero solo che dopo aver ascoltato tutte le argomentazioni di questo mondo, dopo aver compiuto quel processo di presa di coscienza che tu stesso auspichi, a sempre più ragazzi venga voglia di cambiare davvero le cose. Insieme, scendere nell’agorà (una vera magari, non uno spazio da social network) e camminare dopo aver discusso.

Cosa ne dici, Diego, ci incontriamo là?

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