Make love to my mind! Quando il cervello ci istruisce alla monogamia
“Fare l’amore con la mente” potrebbe sembrarci a prima impatto un’antitesi. Nell’immaginario collettivo, infatti, l’attrazione e il desiderio rientrano nella sfera più fisica e istintiva dell’uomo, mentre la razionalità in quella più celebrale.
In realtà non ci potrebbe essere nulla di più falso: tutte le emozioni, amore e desiderio compresi, sono controllate dal cervello. E quando parlo di amore, ovviamente, mi riferisco all’amore in generale: l’amore per un/a compagno/a, per un figlio, per la fotografia e addirittura per dio. Gli aspetti più importanti delle nostre vite sono definiti dalla più forte di tutte le emozioni.
Come potete immaginare, la neurobiologia della amore è complessa e comprende tutta una serie di piccole molecole che hanno un enorme impatto sui nostri comportamenti. Queste molecole si chiamano neurotrasmettitori. Quando siamo innamorati, onde di una molecola chiamata dopamina vengono rilasciate dall’ipotalamo in direzione del nostro cervello, attivando le aree dell’euforia ed eccitazione. Nello stesso momento, un’altra molecola, la serotonina, viene rimossa dal circolo sanguigno, generando in noi conseguenti atteggiamenti ripetitivi, che ci inducono a pensare sempre e solo alla persona di cui ci siamo presi una “cotta”.
Ma come fanno queste piccole molecole a determinare questi stati d’animo?
La dopamina e la serotonina si comportano da interruttori molecolari: accendono e spengono, rispettivamente, specifiche regioni nel cervello. Le principali regioni del cervello coinvolte sono il sistema di ricompensa e la corteccia celebrale. Il sistema di ricompensa è un’area situata nelle regioni profonde del cervello, che regola il nostro senso di gratificazione verso cose che generano piacere (come per esempio mangiare, fare l’amore e, ahimè, anche assumere droghe). Nel caso del gioco d’azzardo patologico, per esempio, il funzionamento anomalo di questa regione si manifesta con un’alterata sensibilità alla ricompensa da vincita e alla perdita. In altre parole, i soggetti con gioco d’azzardo patologico ricercano gratificazioni immediate al contrario di soggetti sani. E questo dipende solo dal sistema di ricompensa.
La corteccia celebrale, invece, regola il nostro pensiero razionale, determinando la consapevolezza dei gesti che facciamo e i motivi per cui agiamo. Come possiamo immaginare, quando siamo innamorati la nostra corteccia si spegne e il sistema di ricompensa prende il comando. Insomma diventiamo irrazionali, dipendenti e felici.
Ma qual è alla fine il significato biologico di tutto ciò? Perché è così importante che il nostro cervello ci permetta di percepire l’amore? La risposta, anche in questo caso, la da la scienza, in particolare quella evolutiva. Secondo esperti evoluzionisti, la percezione dell’amore spinse l’uomo a vivere in gruppo. E questo ci garantì maggiori probabilità di sopravvivenza in un ambiente ostile. È difficile immaginare per la specie umana un qualunque processo che sia più importante dell’attaccamento per la sopravvivenza, dato che alla nascita la nostra immaturità è sconcertante, se confrontata con quella degli animali più vicini, per cui nessun neonato potrebbe sopravvivere se non fosse “sociale”.
Gli studi sui meccanismi molecolari che stanno alla base dell’instaurarsi del legame di coppia hanno origine lontana. Gli studi pionieristici di Thomas Insel dimostrarono il coinvolgimento in questo processo dei un’altra molecola, l’ossitocina. L’ossitocina, che viene rilasciata nella donna durante il parto, influenza lo sviluppo del comportamento materno e dei rapporti sociali. Gli studi di Insel sui topi dimostrarono una correlazione tra la distribuzione dei recettori per l’ossitocina in alcune aree cerebrali e l’instaurarsi di un comportamento monogamo o poligamo. Egli osservò che, nel topo di campagna, strettamente monogamo, i recettori per l’ossitocina sono molto più numerosi nel nucleus accumbens, una regione del corpo striato, rispetto a quelli del topo di montagna, che è invece poligamo. Nel maschio del topo di campagna è invece la vasopressina ad avere un ruolo cruciale nella sua monogamia. La vasopressina è una piccola molecola che controlla il riassorbimento dell’ acqua filtrata nei reni e regola quindi la pressione arteriosa. I recettori per la vasopressina nel globus pallidum del topo di campagna monogamo sono molto più numerosi che nel topo di montagna poligamo. Quindi, scegliere la monogamia è tutta una questione di numeri: più molecole legheranno i loro recettori, e più attaccamento si creerà in una coppia.
Anche per l’uomo vale questa regola. Ognuno di noi vive quindi una doppia dimensione: la monogamia e la poligamia, che coabitano nel nostro cervello in “format” diversi, ognuna preferibile all’altra a seconda delle situazioni e delle persone che incontriamo.
E anche in questo caso il significato è evolutivo: la poligamia assicura una maggiore varietà di incrocio ai nostri geni, scegliendo il miglior partner sessuale possibile, sia quanto a geni che a condizioni di vita, assicurandoci una migliore possibilità di far propagare i nostri geni di generazione in generazione.
Per questo motivo gli uomini e le donne cercheranno sempre il miglior partner possibile per costruire una famiglia, ma nel contempo non escluderanno la possibilità di una relazione alternativa, anche se non in modo esclusivo.
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