I funghi, oggetti misteriosi: leggende, falsi miti e credenze popolari


«Io li ho visti i cerchi delle streghe! Stanotte le streghe hanno danzato e celebrato i loro riti! L’ho visto con i miei occhi!». Forse non esattamente con queste parole, ma un uomo del Seicento ci avrebbe potuto raccontare qualcosa di simile dopo aver osservato, passeggiando nel bosco, i funghi spuntare in cerchio nel bel mezzo di una radura. E magari avrebbe pure aggiunto di aver visto il demonio, sotto le sembianze di un rospo, farli crescere per poi sedersi sopra di essi. Da sempre oggetto di attrazione e di paura, nei secoli i funghi hanno stimolato la fantasia popolare, per la loro natura ambigua e il loro comportamento rimasto a lungo del tutto misterioso: ne sono nate credenze e leggende che ancora oggi, in buona parte, vengono tramandate.

Quello dei “cerchi delle streghe” è forse il caso più emblematico. Dove i funghi sono disposti in cerchio, con una precisione che talvolta sfiora la perfezione, si riteneva infatti che le streghe avessero celebrato il loro rito, il sabba. Altre culture chiamano in causa elfi e fate, ma tutte convengono sul fatto che si tratti di posti da cui è bene tenersi lontani: il rischio è quello di essere catturati dalle creature del bosco oppure di incappare in una maledizione. Una credenza trasmessa di secolo in secolo fino a quando la moderna micologia non è intervenuta a sfatarla una volta per tutte, fornendo una spiegazione scientifica del fenomeno: i carpofori spuntano in cerchio a causa di una particolare disposizione del micelio le cui ife si irradiano in maniera più o meno regolare. Ciononostante, la denominazione di “cerchio delle streghe” è sopravvissuta ed è comunemente utilizzata anche dai micologi per indicare questo particolare fenomeno.

Responsabile della crescita dei funghi, narrano altre leggende, sarebbe il diavolo, che aggirandosi nei boschi sotto le spoglie di un rospo utilizzerebbe i funghi come sgabelli per riposarsi tra uno spostamento e l’altro. In Gran Bretagna, in particolare, il demonio è tradizionalmente raffigurato come un rospo che utilizza come trono un’Amanita muscaria. Sulla nascita di questa singolare credenza potrebbero aver influito due semplici fattori. In primo luogo, i funghi molto spesso hanno capacità mimetiche eccezionali, che li rendono quasi invisibili fino a quando non raggiungono dimensioni ragguardevoli, tanto da dare l’impressione di essere sbucati all’improvviso. Si aggiunga poi che, come ogni cercatore di funghi ben sa, non è infrequente imbattersi in qualche rospo in aree di bosco caratterizzate dalla presenza di numerosi carpofori: questo, banalmente, si spiega con il fatto che i funghi crescono abbondanti quando ci sono favorevoli condizioni di umidità, le stesse che concorrono a creare un ambiente ideale per la vita dei rospi.

Il mistero che per lunghi secoli ha avvolto la nascita dei funghi ha portato i popoli nordici a spiegarne l’origine all’interno di veri e propri cicli mitologici. Narra un’antica leggenda che il dio Odino fosse inseguito da demoni e che durante la fuga il suo destriero Sleipnir, affaticato dalla folle corsa, perdesse dalla bocca gocce di bava rossa, la quale a contatto col suolo avrebbe dato origine a funghi di quel colore. Presumibilmente si tratta ancora una volta dell’Amanita muscaria, la specie che forse più di ogni altra è circondata da un alone leggendario, anche in virtù del suo effetto allucinogeno: non di rado le sono stati attribuiti addirittura poteri magici. Storie che affondano le proprie radici nella notte dei tempi e che la tradizione ha contribuito a far giungere fino a noi, benché ne sia stata chiaramente dimostrata la totale infondatezza.

Duro a morire è invece un altro mito: quello per cui le fasi lunari avrebbero un’influenza determinante nella crescita dei funghi. Ancora oggi sono molti i cercatori che collegano l’avvicendarsi delle “buttate” ai cicli del nostro satellite naturale, con contraddizioni talvolta evidenti: in molti affermano che il momento buono per i funghi si abbia con la Luna crescente, altri invece si affidano alla Luna calante. A volte con argomentazioni fantasiose, ad esempio quella per cui la Luna, generando la maree, avrebbe la capacità di spostare le masse d’acqua: essendo i funghi fatti per il 90% di acqua – capita a volte di leggere o ascoltare nelle discussioni sull’argomento – la Luna non può che avere lo stesso effetto anche su di essi. Teorie che la scienza, a più riprese, si è incaricata di smentire.

Questa credenza genera, tra l’altro, un‘altra convinzione dura a morire: quella per cui i funghi nascano “fatti e formati” e che quindi non vadano incontro a un processo di crescita preciso, dalla formazione del primordio alla maturazione, con annessa dispersione delle spore. Sulla base di questa teoria, ampiamente smentita dall’esperienza di qualunque cercatore esperto, si giustificano spesso comportamenti predatori, con la raccolta di funghi troppi piccoli, immaturi e anche sottomisura rispetto a quanto prescritto dalla legge, che indica in 4 centimetri di diametro il limite minimo entro cui il cappello deve rientrare affinché un fungo possa essere asportato dal terreno.

Purtroppo non è questa l’unica credenza popolare che ancora gode di un certo credito da parte degli appassionati. Ben più pericolose sono le usanze cui ancora in molti fanno ricorso per verificare la velenosità o meno dei funghi raccolti, come la prova dell’aglio o quella dell’argento, o il far assaggiare un pezzo di fungo a un animale domestico. Le prime due sono totalmente prive di validità: il cambiamento di colore di tali materiali durante la cottura dei funghi non è infatti indicativo della tossicità dei miceti finiti in pentola. Altrettanto pericoloso, oltre che crudele in modo ingiustificabile, il dar in pasto i funghi a un gatto o un cane. Non solo l’apparato digerente di ciascun animale reagisce in modo diverso alle tossine presenti nei funghi, ma nel momento in cui si ha a che fare con tossine a lunga latenza, come quelle contenute nella temutissima Amanita phalloides – i cui effetti sono visibili spesso a molte ore di distanza dall’ingestione, quando ormai i danni provocati al fegato sono irreparabili – non si ha nemmeno alcuna garanzia immediata in merito alla velenosità del fungo.

Non tutte le credenze popolari relative alla tossicità dei funghi sono prive di fondamento, a dire il vero. Come sottolinea, ad esempio, il micologo Antonio Tripodi, l’antico adagio che invita a non consumare funghi cresciuti nei pressi di resti ferrosi o di cuoio, cui nel I secolo d.C. faceva riferimento già Plinio Il Vecchio nella sua Naturalis Historia, si basa su una constatazione interessante: i funghi hanno un legame strettissimo con l’ambiente nel quale crescono, e tendono ad assorbire tutte le sostanze che trovano disciolte nel terreno. Un eccessivo accumulo di ferro oppure il contatto con le sostanze chimiche – tra cui ad esempio l’arsenico – utilizzate nella concia del cuoio possono compromettere la commestibilità anche del più pregiato dei porcini.

Va da sé, al di là di ogni credenza o convinzione, c’è un solo modo per verificare se un fungo è commestibile: conoscerlo con sicurezza, oppure rivolgersi a un micologo professionista, la sola figura – come sottolineato nell’intervista a Nicolò Oppicelli pubblicata qualche mese fa sulle pagine di questo sito – ad avere le competenze necessarie a determinarne con certezza la commestibilità. Qualcuno potrebbe obiettare che mettere da parte quel che la fantasia popolare nei secoli ha concepito toglie un po’ di “poesia” al gesto del raccogliere un fungo: la sola certezza invece è che farlo può salvare vite umane.

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