Crisi eco-logica


Quando usciremo dalla crisi economica (quando?), potremmo correre il rischio di doverci occupare di una nuova crisi, forse peggiore dell’attuale: una crisi ecologica.
Questa potrebbe non essere l’ennesima ecoballa, se si analizzano la realtà e i nostri comportamenti seguendo un ragionamento eco-logico.

L’attuale organizzazione dell’economia non è sostenibile nel lungo termine: ci si basa principalmente su fonti di energia che si esauriranno; si utilizzano materie prime che andranno a terminare; si inquina il pianeta, seppur con attenzione sempre maggiore.
Le teorie che stanno reggendo il paradosso di una crescita che ci tenga in vita – quindi ecologica –  permettono di capire come si è arrivati a questo punto. Serge Latouche, economista e filosofo francese, evidenzia nei suoi numerosi testi che «i maggiori problemi ambientali e sociali del nostro tempo sono dovuti proprio alla crescita e ai suoi effetti collaterali; di qui l’urgenza di una strategia di decrescita, incentrata sulla sobrietà, sul senso del limite, sulle “8 R” (tra cui riciclare e riutilizzare) per tentare di rispondere alle gravi emergenze del presente». (da Wikipedia)

Latouche espone la sua interpretazione di come si sia giunti allo stato attuale delle cose nell’intervento del 30 settembre 1998 tenuto al Seminario internazionale di studio dell’ Università di Padova.
Cito di seguito i passaggi salienti:

  • La natura non è un bene economico. Diceva JeanBaptiste Say: «Le ricchezze naturali sono inesauribili perché, in caso contrario, non potremmo ottenerle gratis. Poiché non possono essere moltiplicate né esaurite, non sono oggetto della scienza economica. […] Infatti si insegna ancora nelle università che aria e acqua sono risorse illimitate, quindi non sono beni economici» .
  • La natura è nostra nemica. Appurato che la natura non è alleata ma ostacolo al raggiungimento dell’armonia naturale degli interessi si è pensato bene di allearcisi contro. «Smettiamola di combatterci tra di noi, per dividerci una magra torta, e uniamo invece le forze per strappare alla natura parti sempre più consistenti, affinché tutti e ciascuno ne abbiano a sufficienza. Questo è il grande mito dell’Occidente. […] L’universalismo dell’economia e della modernità poggia, dunque, sul postulato di una natura nemica radicale del genere umano».

L’uomo sta cercando di sovrapporsi alla regole naturali, basando le proprie azioni su parametri non realistici, quali sono il capitale e il guadagno, e apparentemente dimenticando che vive in una realtà concreta, fondata su ben altro. E questi due obiettivi non sono conciliabili.

Alla luce delle analisi e dell’attualità, l’economia deve essere trasformata in modo da diventare sostenibile a lungo termine, seguendo tre principi fondamentali ( da Le Scienze):
1) limitare l’uso di tutte le risorse a ritmi in grado di produrre livelli di rifiuti che possono essere assorbiti dall’ecosistema;
2) sfruttare risorse rinnovabili a ritmi che non superino la capacità dell’ecosistema di rigenerarle;
3) sfruttare risorse non rinnovabili a ritmi che, per quanto possibile, non superino il tasso di sviluppo di risorse rinnovabili alternative.

Ai nostri fini, è utile approfondire il primo punto.
Il problema della gestione dei rifiuti è attuale e di vecchia data allo stesso tempo: si è evoluto attraverso le varie epoche della storia dell’uomo.
Il giornalista Lorenzo Pinna tra gli autori di Quark, in Autoritratto dell’immondizia. Come la civiltà è stata influenzata dai rifiuti spiega come si evolvono l’uomo e i suoi rifiuti. Se vogliamo trovare un’epoca di svolta, questa è quella della rivoluzione industriale. Prima della rivoluzione industriale, dai romani fino al Settecento, passando per il medioevo, per rifiuti si intendevano i resti organici dell’uomo che venivano smaltiti nelle fogne. Nell’Ottocento, con la rivoluzione industriale, nasce il rifiuto solido urbano, gestito in questo modo: «Non veniva eliminato, ma riciclato. Erano veramente pochi gli oggetti che si buttavano senza poter essere riutilizzati. Dalle ossa si creavano i bottoni. Dagli stracci altri vestiti. Con l’aumento dell’alfabetizzazione e della carta, dalla carta buttata si ricavava altra carta». Ma qui qualcosa è venuto a mancare. Prosegue Pinna: «Col tempo, la produzione industriale è cresciuta a tal punto che la società ha chiesto il miracolo della sparizione dei rifiuti». Qui c’è qualcosa di diabolico.
Il chimico francese Antoine-Laurent de Lavoisier documentò che “nulla si crea, nulla si distrugge. Tutto si trasforma”, che non è altro che il principio di conservazione della massa. Perciò, uno tra il miracolo della sparizione e il principio di conservazione della massa è sbagliato, ovviamente.

La scelta globale è stata indirizzata verso la comodità, dimenticandosi, momentaneamente, degli scarti. Con la produzione in serie, rotto un manufatto, si è giunti ad avere convenienza nel comprarlo nuovo invece che nel farlo riparare: ciò da un lato aumenta la richiesta di materie prime ed energia per produrre il nuovo oggetto (entrambe limitate) e dall’altro crea uno scarto che non viene in alcun modo usato, un manufatto a perdere.

Giunti a questo punto, cosa pensare? Due idee.
La prima. La storia ci insegna che l’uomo ha già superato situazioni analoghe, quindi potrebbe ripetere il successo (Teorema della cacca di cavallo, per chi volesse approfondire). Ad esempio l’idea dell’economia circolare potrebbe essere percorribile.
La seconda. Sollevato un problema, e avendo imparato a riflettere in maniera logica, si è in grado poi di agire. Un proverbio cinese recita: “Il miglior momento per piantare un albero era vent’anni fa; il secondo miglior momento è ora”. Dato che non si può pretendere di essere in anticipo su tutto (o su qualcosa), è accettabile accontentarsi di raggiungere il risultato prima dell’inevitabile.

In definitiva, mi auguro che quella della crisi ecologica rimarrà solo l’ultima delle ecoballe.

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