La pioggia nera


Recensione del romanzo “La pioggia nera” di Masuji Ibuse

 

«La pioggia nera, la pioggia nera, l’equivoco, l’equivoco, la viltà, la viltà».1

Era il 6 agosto 1945 quando l’esercito americano rilasciò nel cielo di Hiroshima Little Boy, la bomba atomica che rase al suolo la città giapponese.
Subito dopo il rombo, si formò nel cielo un’enorme nuvola nera di fumo denso. Gli uomini levarono gli occhi al cielo, per capire che forma avesse la nube: ad alcuni ricordava un ombrello, ad altri un fungo.
fungo hiroshimaA un certo punto, la nuvola iniziò a sfrangiarsi lentamente e a stillare una minacciosa pioggia nera, le cui gocce si attaccavano alla pelle come vernice fresca.
Gli abitanti di Hiroshima consideravano la nube come una presenza nemica: la chiamavano Mukurikokuri, espressione che, generalmente, “evocava l’arrivo di entità minacciose” e la cui etimologia comprendeva le parole Mukuri, antico nome per designare la Mongolia, e Kokuri, cioè la Corea, proprio perché “in origine il termine indicava la minaccia di un’invasione dall’esterno”.2
Questa parola veniva anche usata dagli adulti per incutere timore ai bambini e il fatto che gli abitanti di Hiroshima avessero dovuto iniziare ad utilizzarla per una presenza oscura reale appare come una sorta di ritorsione: “i grandi” non hanno più niente da insegnare né alcun timore da inventare, poiché la paura, in un mondo come il loro, è del tutto giustificata.

A tal proposito, risulta significativo un aneddoto riportato dal narratore principale, Shizuma Shigematsu, sulla signora Miyagi, redarguita dalle autorità locali per aver protestato contro la correzione effettuata su una poesia presente nel libro di testo del figlio: “Disse che il verso di una poesia che c’era nel libro del bambino «settanta grammi di riso integrale al giorno», per concordarlo con la razione distribuita era diventato «cinquantacinque grammi di riso integrale al giorno». Come lei poi mi disse, quella era una famosa poesia di Miyazawa Kenji, un poema di segreta bellezza, di uno che aveva ben compreso la vita dura dei contadini. «Cambiare settanta grammi al giorno con cinquantacinque – disse la signora – «è prendere in giro il sapere. Che cosa accadrebbe se il bambino venisse a conoscenza di questo? Non crederebbe più alla storia giapponese»”.3

La narrazione corale di Masuji Ibuse (1898 – 1993) prende l’avvio dalle vicende personali di Shizuma Shigematsu che, in vista della proposta di matrimonio fatta a sua nipote Yasuko, decide di ricopiare il diario di quest’ultima, scritto nei giorni che seguirono il bombardamento. Il suo fine è quello di dimostrare alla famiglia del pretendente che Yasuko, trovandosi quel giorno in fabbrica a Furuichi, non poteva aver subito alcun danno per le radiazioni.
Durante il lavoro di copiatura, Shigematsu viene sopraffatto dai ricordi e decide di arricchire il racconto degli eventi con il proprio diario, alla cui stesura collabora la moglie Shigeko, che inserisce a sua volta un appunto dettagliato sul regime alimentare a Hiroshima in tempo di guerra.
Intanto, la famiglia del pretendente di Yasuko scopre che la ragazza non era presente al momento del boato, ma era stata comunque colpita dalla pioggia nera, quindi il pericolo che il suo corpo, prima o poi, reagisse alle sostanze tossiche era molto elevato e così la proposta di matrimonio viene tacitamente ritirata.

A questo punto la narrazione potrebbe interrompersi, visto che il motivo principale per cui i diari sono stati copiati è svanito. Tuttavia, non avendo più niente da perdere, Shigematsu continua a raccontare la sua versione dei fatti e si rende conto che ciò che scrive non equivale che a una minima parte di ciò che ha visto.
Lo scenario che si presenta ai suoi occhi il 6 agosto è desolante: vede una donna con la parte inferiore del corpo incastrata tra le macerie che spezza le tegole e le lancia attorno con rabbia; un’altra con “le guance tanto gonfie da ricadere come pesanti saccocce, [che] camminava con le mani avanti a mo’ di fantasma”; una vecchia che prega a terra e un uomo mezzo nudo che, correndo, la travolge e la insulta.4

"Hiroshima Mon Amour" (1959) – Alain Resnais

“Hiroshima Mon Amour” (1959) – Alain Resnais

Shigematsu, già vittima di una guerra di cui ormai lui e tanti altri connazionali erano stanchi, è costretto ad assistere a un orrore ancora maggiore, come se il peggio non potesse mai finire e, per raggiungere una tregua, fosse necessario passare attraverso la distruzione totale.

La bomba atomica non ha condotto alla morte solo quel giorno, ma anche nei decenni successivi, visto che la malattia dovuta alle radiazioni ha intaccato più di una generazione.
La parola narrata come testimonianza e come valvola di sfogo assume una potenza vivifica nel romanzo, che si conclude con la speranza che Yasuko, improvvisamente colpita dalla malattia atomica, possa trovare le forze per combattere il proprio male attraverso la lettura del diario di un dottore, anch’egli vittima del pikadon e miracolosamente guarito.

Tra i sintomi che si riscontravano maggiormente tra i sopravvissuti vi era una sorta di tintinnio, che non si arrestava mai: “come il rintocco della campana di un tempio lontano, [per me] come un segnale d’allarme che lancia il suo appello contro le atomiche“.5

Note:
1, 3, 4, 5: Ibuse Masuji, La pioggia nera, 1993, Marsilio Editori, Venezia (pp. 81, 118, 87/93, 359)
2: ivi, nota n. 5 pg. 398

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