Corea, ultimatum? Tra fame e politica interna


“È comune defetto degli uomini, non fare conto, nella bonaccia, della tempesta”
Niccolò Machiavelli

Gli eventi che di recente hanno attirato l’attenzione sulla penisola coreana hanno fatto sorgere dubbi sulla effettiva stabilità dell’area. Non è scontato riuscire a informare con completezza sui fatti: se e dove ci sia un pericolo difficilmente si comprende da eventi isolati e riportati dal telegiornale.
La situazione scatenata dalla linea inaugurata da Kim Jong-un contro i suoi avversari rappresenta un ultimatum, o è solo un falso allarme? Supponendo che sia già difficile per gli esperti di geopolitica dare un’interpretazione di ciò che accade e si prepara, non intendo certo qui tentare di fare altrettanto; mi limiterò a riportare informazioni che favoriscano la comprensione degli eventi.

NK posterCosa è accaduto a il mese scorso? L’eco giunta a noi è quella di minacce lanciate il 7 marzo dal giovane leader della Corea del Nord alla Corea del Sud, e agli USA – nello specifico, alle flotte americane del Pacifico: sostanzialmente, minacce di un attacco nucleare “preventivo”. Il 31 dello stesso mese Kim Jong-un ha inoltre dichiarato di voler seguire una nuova doppia linea, verso la ricostruzione economica e l’armamento nucleare.
Quali le radici di tale condotta?

Come spiega un ottimo approfondimento del New York Times, le cause delle nuove minacce potrebbero essere molteplici, ma le risposte più plausibili sono che la Corea comunista voglia farsi riconoscere come potenza nucleare, che stia utilizzando le minacce come deterrente, o infine che abbia bisogno di sembrare forte per ottenere maggiore coesione interna. Per capire meglio occorre tuttavia guardare al passato recente della penisola.

Limitandoci a qualche richiamo sommario, va accennato anzitutto che la crisi nucleare nata attorno alla Corea del Nord non è una novità: le tensioni si ripresentano periodicamente. Il pericolo nucleare iniziò a farsi presente negli anni Novanta, ma i primi test in grado di destare inquietudine a livello internazionale hanno avuto luogo nel 2006: il 4 luglio con il lancio di sette missili balistici; il 9 ottobre con con un test nucleare sotterraneo, al quale ne sono seguiti due, l’ultimo avvenuto lo scorso febbraio. Le intenzioni bellicose dei nordcoreani, per dire un’ovvietà, non sono mai state un segreto, e hanno portato sovente a svariate schermaglie con morti tanto coreani quanto americani, specie negli anni Sessanta; recentemente non sono mancati “incidenti”, come quello che ha visto quattro morti sull’isola Yeonpyeong (2010). La Corea del Nord si è dimostrata così irrispettosa dei limiti territoriali, e anche il Giappone è entrato in allerta.

Pertanto, i rapporti procedono, da sempre, ad altalena; vale la pena menzionare sia i tentativi verso una riunificazione del presidente sudcoreano Kim Dae-jung (premio Nobel per la pace 2000), sia il braccio di ferro tra USA e Corea del Nord per il disarmo nucleare che ha avuto luogo fra il 2008 e il 2009, portando a concessioni reciproche ma giunto infine a uno stallo. Sui programmi nucleari condotti fino ad allora non si è più fatta chiarezza.

Tornando alle motivazioni di questo recente rinnovo delle tensioni, quel che forse è più opportuno sottolineare è la difficile situazione interna del paese, fra l’affermazione di Kim Jong-un e le devastazioni della fame. Colpita fra il 1994 e il 1998 da una gravissima carestia, la Corea del Nord soffre da allora  di una cronica mancanza di cibo che continua a mietere centinaia di migliaia di vittime; le offerte di aiuto straniere si sono fermate nel 2006, quando la Corea del Nord ha rifiutato ogni genere di aiuto umanitario. Alla rottura di patti di cessazione di riarmo in cambio di beni da parte di Pyongyang sono state inoltre attivate numerose sanzioni, sia internazionali che ad opera esclusiva degli USA; l’economia nordcoreana si è così ritrovata seriamente sotto pressione. Le ripercussioni interne, ovviamente, non sono mancate: particolarmente violente le proteste tra il 14 e il 24 febbraio 2011. Proprio in questo duro contesto è successo al potere Kim Jong-un, che non solo si è trovato a portare avanti il programma di armamento inaugurato da suo padre Kim Jong-il, ma ha anche dovuto affermare la propria giovane personalità. Il capo, così, ha stretto su di sé le redini del potere, procedendo a epurazioni politiche di non poco conto, e usando allo stesso tempo una forte propaganda per mostrare continuità col padre e determinazione alla “vittoria finale”.

Rileggendo questi dati è possibile iniziare a comprendere il comportamento dello spregiudicato capo coreano: ad incidere sulla sua condotta sono, di fatti, sia il bisogno contingentemente geopolitico di proseguire il proprio programma di armamento – con le minacce ricorda ai suoi nemici di essere pronto a un confronto, se necessario – sia il bisogno di dimostrare al proprio paese in difficoltà di essere il capo giusto per esso, e forse di calmare le tensioni di un popolo affamato raccogliendo consensi attorno a sé.

Kim Jong-un, tuttavia, non trova nemmeno al sud della penisola un clima mite. Park Geun-hye, odierna presidentessa della Corea del Sud, ritenendo gravi le minacce ricevute, ha ordinato ai suoi generali di rispondere a qualsiasi provocazione con la forza. La controparte americana, dal canto suo, non si è mai innervosita troppo negli ultimi anni; la politica di Obama al riguardo è sempre stata di “pazienza strategica”, e certo nessuna delle grandi potenze in gioco – nemmeno la Cina – vuole la guerra. Perfino la Corea del Nord, in fondo, potrebbe star facendo solo prevenzione. La maggior parte degli analisti ritiene poi del tutto improbabile che una qualsiasi arma nordcoreana sia lanciata sul territorio americano; eppure non è impossibile che colpisca invece obiettivi in estremo oriente, comprese le flotte USA del Pacifico. E le esercitazioni congiunte Sud Corea – USA continuano.

Non è il caso di fare allarmismi dunque, ma nemmeno di minimizzare; ogni situazione instabile, infatti, è per definizione imprevedibile; noi europei lo sappiamo bene. Anche quanto accaduto nelle ultime ore (lo spostamento di altri missili in posizioni strategiche), assieme alle dichiarazioni di ostilità di Pyongyang, dà un chiaro segno della fragilità estrema della situazione. Vale quindi la pena di chiudere con un’altra frase di Machiavelli:
“Le guerre cominciano dove si decide, ma non finiscono dove si vorrebbe”.

Utile per un approfondimento uno sguardo al sito di Limes:
http://temi.repubblica.it/limes/guida-alla-crisi-della-corea-del-nord/45004

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