L’irruzione di Grillo sulla scena politica: una primavera italiana?


A due anni di distanza dal suo inizio, la Primavera Araba sembra ancora non essere giunta alla sua conclusione. In nessuno degli Stati coinvolti, infatti, la situazione è stabile. I sogni democratici dei protestanti in molti casi sono rimasti tali, ma si intravede comunque qualche segnale positivo. Del resto, la Storia insegna che spesso le rivoluzioni scoppiano, si espandono e poi si fermano, rimanendo perlopiù incompiute rispetto a quelli che erano i presupposti con le quali erano iniziate.

L’onda lunga della protesta, in ogni caso, sembra essere arrivata anche in Italia, come dimostrano i risultati delle ultime elezioni politiche, che pure hanno fatto registrare un calo dell’affluenza. Mentre nel mondo Arabo si protesta per raggiungere la democrazia, gli Italiani sembrano reclamare una democrazia che, in particolare negli ultimi vent’anni, sembra essersi allontanata dal suo significato etimologico di “governo del popolo”.

John Dewey, da più parti considerato il “filosofo della democrazia”, era convinto che in tale sistema politico sia necessaria la collaborazione di tutti per il bene collettivo, in quanto il sistema democratico è per sua natura in perenne stato di crisi e necessita pertanto di una continua disponibilità al cambiamento. Se questa è la condizione per il funzionamento del sistema, risulta chiaro come mai in Italia le cose non vadano bene: è da almeno vent’anni, infatti, che nulla cambia, soprattutto i personaggi politici chiamati a rappresentare la popolazione.

Questo è certamente uno dei fattori che hanno contribuito ad allontanare progressivamente i politici dalla realtà quotidiana della gente comune, come si evince da molti i discorsi ascoltati in campagna elettorale, che parlano di tutto e di niente usando toni da tifosi da stadio.

Il successo di Grillo e del suo Movimento 5 Stelle alle recenti elezioni è frutto del malcontento degli Italiani per questo stato di cose, in particolare soprattutto per la fascia d’età compresa tra i 18 e i 50 anni, che ha visto nel Movimento qualcosa di nuovo e diverso, l’unica alternativa alla routine politica degli ultimi decenni.

Al di là del fatto che si possa apprezzare o meno la sua linea politica, che a tutt’oggi non è ben chiara, e che comunque sia come tutti passibile di critiche, bisogna dar merito al M5S che il suo successo deriva principalmente dal fatto che i temi che affronta (ambiente, mobilità, sviluppo, lavoro ecc.) e il linguaggio con cui si esprimono i suoi esponenti sono più vicini alla gente comune. D’altra parte, il Movimento ha saputo cogliere ciò che tutti gli altri partiti non hanno saputo o voluto vedere: le potenzialità della rete come strumento di comunicazione e coordinamento delle proprie attività. In un periodo storico in cui per le persone le tecnologie sono di uso quotidiano ed ormai indispensabili per mantenere i rapporti sociali, sopratutto tra i più giovani, il Movimento è stato l’unico a capirne le potenzialità. Come mai? Forse perché i suoi competitor ancora ragionano con una mentalità ferma a vent’anni fa e si preoccupano troppo di mantenere lo status quo.

Va aggiunto poi che i tempi della forte crisi economica, delle scarse risorse e dei continui tagli al Welfare State fanno sì che i cittadini si interessino di più alla cosa pubblica e al suo funzionamento nel contesto locale in cui vivono. Anche per questo, la mossa vincente è stata proporre una nuova forma di partecipazione attraverso forme di democrazia diretta e digitale, un’evoluzione rispetto ai vecchi e costosi partiti politici, nei quali oramai il singolo individuo non conta più nulla.

Tanto che su internet è molto più difficile censurare e filtrare le informazioni rispetto ai tradizionali mezzi di comunicazione: nella classifica della libertà di stampa, ad esempio, l’Italia è al 61esimo posto dietro a Paesi come il Guyana.

Quello che c’è da augurarsi è che il successo del Movimento 5 Stelle (paragonabile ad una vera e propria rivoluzione, se si pensa che è nato ufficialmente solo nell’ottobre 2009) sia l’inizio di un cambiamento, di un modo nuovo di vivere ed interpretare la politica da parte di tutti. Che esso rappresenti, cioè, il tempo in cui si semina (la Primavera) attendendo con ansia il momento in cui si raccoglieranno i frutti.

Per questo il voto al M5S non ha rappresentato necessariamente un voto di protesta, ma è anche espressione di chi ha avuto il coraggio di provare a cambiare, perché sa che un’ alternativa è possibile: ormai anche la gente comune è consapevole degli sprechi e dei costi della politica e delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie. E forse anche per un popolo storicamente poco avvezzo ai grandi cambiamenti come quello italiano è giunto il momento di cambiare, magari chiudendo il sipario sulla Seconda Repubblica.

Nei prossimi mesi scopriremo se, dopo queste elezioni, cambieranno anche i toni e le modalità della comunicazione tra la popolazione e i suoi rappresentanti. Perché in fondo la politica non è solamente quella svolta in Parlamento, ma anche quella che ogni giorno sperimentiamo e viviamo compiendo delle scelte e relazionandoci con gli eventi che ci vengono descritti dai telegiornali e non solo.

Di certo in Parlamento un grosso cambiamento è già in atto: quelle appena uscito dal voto, infatti, saranno le Camere più giovani e “rosa” della storia Repubblicana. L’età media di deputati e senatori, secondo l’indagine Coldiretti sarà 48 anni: 45 quella dei deputati e 53 per i senatori. Un deciso balzo in avanti verso il tanto auspicato ricambio della classe politica, soprattutto se si considerano i dati rispetto alla legislatura appena trascorsa, che ha visto deputati mediamente di 54 anni e senatori di 57. Per ciò che riguarda le donne, occuperanno circa il 32% dei seggi alla Camera e il 30% al Senato, con un notevole passo in avanti rispetto al 21% e al 19% registrati nella precedente legislatura.

Anche i giovani, dopo anni di silenzio, avranno finalmente la possibilità di portare il loro pensiero, di destra o di sinistra che sia, nei luoghi dove si prendono le decisioni che influiscono su tutta la popolazione. Forse si è aperta una stagione in cui viene presa in seria considerazione la possibilità che i giovani abbiano qualcosa da insegnare agli anziani, anche in virtù del fatto che è oramai impossibile non prendere atto della rivoluzione tecnologica-digitale a cui stiamo assistendo.

Un politico italiano d’altri tempi, il settimo Presidente della Repubblica Sandro Pertini, nel messaggio di fine anno agli italiani del 1978 disse: «I giovani non hanno bisogno di prediche, i giovani hanno bisogno, da parte degli anziani, di esempi di onesta, di coerenza e di altruismo». E se oggi, anche in questo, i giovani avessero qualcosa da insegnare ai più anziani? Di certo sarebbe un grosso cambiamento, ma potrebbe anche essere solo l’inizio. Non è decisamente il caso di accontentarsi.

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