Arte “viva”: arte contemporanea e rivitalizzazione di aree abbandonate


Passeggiare tra il verde sulla Promenade Plantée di Parigi, assistere a una singolare sfilata-esposizione di tele di Emilio Vedova all’interno degli ex magazzini del Sale di Venezia, fermarsi a contemplare la vetrina di un ex negozio di cappelli dell’East London trasformato in provvisoria sede operativa di artisti, trascorrere una giornata tra natura e arte nel parco dell’Emscher, il fiume del Bacino della Rhur prima noto come vera e propria “fogna a cielo aperto”. Questi sono solo alcuni casuali esempi di come luoghi abbandonati o in stato di forte degrado possano ritrovare una propria dignità grazie a operazioni di riqualificazione architettonica e urbanistica.

L’azione di valorizzazione si lega spesso alla creazione di una nuova identità sociale per questi luoghi: edifici considerati “mostri architettonici” per l’impatto ambientale o per le vicende storiche e umane a cui sono inscindibilmente associati, si riscattano divenendo – ad esempio – centri di aggregazione giovanile o di esposizioni artistiche. Di fronte ad aree ormai fatiscenti, simbolo di degrado urbano ed emarginazione umana, la tentazione della tabula rasa è lecita: ma già a partire dagli Anni Sessanta si intuisce che queste zone sono nel bene e nel male una testimonianza storica da preservare.

Così tali spazi dismessi, definiti dalla sociologa Sharon Zukin “terre di nessuno”, catalizzano l’attenzione progettuale di istituzioni e privati che collaborano in sinergia seguendo il binomio creatività-funzione sociale, cioè promuovendo una serie di attività culturali e ricreative connesse all’arte contemporanea, alla didattica, al loisir, ma anche a azioni di coinvolgimento di fasce di popolazione emarginate o povere (si veda il progetto avviato dal Bronx Council on the Arts oppure i diversi progetti di housing e imprese sociali).

Un’interessante e approfondita ricerca condotta dal Politecnico di Milano e intitolata Reuse fornisce la mappatura di molti progetti di riqualificazione sociale e creativa in atto in Europa e nel mondo. Al di là delle specificità dei singoli progetti, dalla ricerca emerge che la cooperazione di istituzioni e parti sociali si è dimostrata quasi sempre propulsiva e addirittura indispensabile per il successo delle iniziative. Spesso lo Stato tende a dare risposte troppo codificate o a cedere gli spazi ad uso privato, mentre i cittadini attraverso l’associazionismo o l’occupazione spontanea generano una scintilla creativa non trascurabile che dà origine a centri di cultura indipendenti (Artsfactories, City Mine(d)) e a movimenti di riappropriazione dello spazio urbano pubblico.

Un esempio su tutti è il Matadero di Madrid, antico mattatoio situato nel quartiere di Argenzuela. Questo colossale complesso architettonico costruito nei primi decenni del XX secolo da Luis Bellido, occupa circa 150 mila metri quadrati e nacque come mattatoio comunale, includendo edifici di funzioni diverse (mattatoio, stoccaggio, mercato di bestiame, ufficio amministrativo…). Negli Anni Settanta attraversò una crisi e nei decenni seguenti alcune costruzioni vennero salvate dall’abbandono con una nuova destinazione, come le vecchie stalle che in quegli anni si trasformarono nella sede del Ballet Nacional. Il mattatoio cessò definitivamente la sua attività solo nel 1996, anno in cui il Comune decise di affidare la riqualificazione dell’area a un privato, libero utilizzare il suolo pubblico a fini personali e lucrativi. L’audace opposizione dei cittadini e l’ascesa del nuovo Governo permisero un’inversione di rotta.

Nel 2003 l’area del Matadero è stata inclusa in un programma di rigenerazione della parte meridionale della città, trasformandosi in un centro culturale metropolitano, magnete per giovani artisti desiderosi di esporre, ma anche per privati cittadini alla ricerca di svago. Infatti nell’enorme spazio si susseguono sedi espositive, biblioteche, librerie, locali con musica dal vivo, caffè, giardini, sale per performance artistiche e tanto altro ancora. Vengono inoltre promosse numerose iniziative, sia di intrattenimento (spettacoli, festival, mostre), sia di ricerca e formazione (workshop, laboratori didattici). Insomma un luogo aperto, accessibile, adatto alle esperienze artistiche più eterogenee, capace di attrarre un pubblico variegato per età, classe sociale, istruzione. Un luogo che anticamente era un macello, simbolo di morte per antonomasia, è diventato oggi il cuore pulsante del sud di Madrid grazie alla vivacità dell’arte contemporanea e delle iniziative culturali.

In più la nascita del Matadero riconferma quanto accennato prima riguardo l’importanza della partecipazione: la cittadinanza è intervenuta attivamente per bloccare il programma iniziale, dimostrando di avere a cuore lo spazio pubblico. L’amministrazione locale ha investito più di 110 milioni nel nuovo progetto, ma la sua attuazione è stata resa possibile anche dai contributi aggiuntivi di privati, nel comune intento di creare un ambiente al servizio della cultura contemporanea. Accanto al Matadero si potrebbero citare numerosi esperimenti simili, si pensi alla Pelanda di Roma o allo Spazio 104 di Parigi.

In queste poche righe non si vuole certo esaurire un argomento tanto articolato, ma piuttosto evidenziare il ruolo fondamentale che cultura e arte contemporanea assumono all’interno di progetti di reuse. In un’epoca di allarme ambientale e di profonda crisi sociale e culturale, un miglioramento considerevole e duraturo della qualità della vita nelle nostre città non si può limitare ad una politica progettuale ecosostenibile, ma deve garantire la fruibilità sociale degli spazi e soprattutto trasmettere ai cittadini l’idea della centralità del “nutrimento culturale” di cui oggi si sente spesso la mancanza.

2 Commenti

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  1. roberto

    aggiorno al 2019 buon esempio Associazione Setilatina riurbanizza ex fabbrica dismessa a Latina Scalo per creare un museo astronomico, percorso didattico per comprensori scolastici… “bellissimo esempio”.

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