La pace dopo la tragedia: l’importanza del Nobel per la pace alla Ue


«[…] The Nobel Peace Prize for 2012 is to be awarded to the European Union (Eu). The union and its forerunners have for over six decades contributed to the advancement of peace and reconciliation, democracy and human rights in Europe. In the inter-war years, the Norwegian Nobel Committee made several awards to persons who were seeking reconciliation between Germany and France. Since 1945, that reconciliation has become a reality. The dreadful suffering in World War II demonstrated the need for a new Europe».[1]

La recente assegnazione dell’annuale premio Nobel per la pace all’Unione Europea ha probabilmente colto molti di sorpresa, considerando l’atipicità dell’assegnare ad un’entità sovranazionale un riconoscimento tipicamente destinato a persone fisiche, per di più in un momento nel quale la coesione della stessa sembra messa a repentaglio. Eppure, una più approfondita riflessione può aiutarci a comprendere la validità delle motivazioni che hanno condotto alla senza dubbio non facile scelta di assegnazione del prestigioso fregio.

L’idea di un organismo sovranazionale investito del ruolo di garante della pace fra i popoli risale in realtà a diversi lustri or sono: Immanuel Kant, nella sua opera Per la Pace Perpetua (1795) afferma che «il diritto internazionale deve fondarsi sopra una federazione di stati»[2]. Evidente è la necessità, espressa dal filosofo tedesco, di una federazione internazionale in grado di sanzionare gli stati i cui rapporti dovessero degenerare nell’uso della forza.

Fu solo  dopo un paio di secoli e di conflitti mondiali che la nascita di simili realtà, sia in Europa che in ambito intercontinentale (Onu), ha spinto l’umanità a conseguire decisi progressi sulla via della riappacificazione. Ritengo che, per poter comprendere la grandezza del servizio reso all’umanità da tali organismi, sia opportuno ricordare quali sentimenti potessero agitarsi nell’animo dei cittadini europei durante i terribili eventi dello scorso secolo.

In particolare, ispirandosi all’opera di un altro grande autore, JRR Tolkien, possiamo accostarci alla spaventosa esperienza della guerra di trincea vissuta da milioni di soldati. A seguito della pubblicazione del celeberrimo romanzo The Lord of The Rings, nel 1950, lo scrittore inglese ha più volte ribadito come la suddetta opera non debba intendersi come allegoria di una particolare evento storico, ma possa essere liberamente interpretata. Tuttavia, come emerge anche da diversi passi della prefazione al romanzo[3], l’esperienza di servizio militare nella Grande Guerra lasciò un segno indelebile nella memoria dello scrittore.

Osservando più da vicino lo scritto, è possibile di fatti rinvenire numerosi parallelismi fra la terrificante vita di trincea e le peripezie affrontate dagli ormai celebri “hobbits” nel loro lungo viaggio. Per citare un esempio, l’agghiacciante descrizione della terra di Mordor, pressoché priva di forme di vita, caratterizzata da un terreno sconnesso e accidentato oltre che da pestilenziali odori, rimanda con evidenza alla “terra di nessuno”[4], ossia lo spazio compreso fra le trincee degli opposti schieramenti. Qui, come nella terra del “Nemico”, il degrado del paesaggio è interamente dovuto alla malvagia azione dell’uomo.

Ad ogni modo, al di là delle analogie paesaggistiche, gli spunti più interessanti vanno ricercati nella caratterizzazione dei protagonisti dell’opera, per i quali Tolkien prende ispirazione dai commilitoni conosciuti durante i mesi di servizio al fronte. Le figure degli hobbit rispecchiano sotto diversi punti di vista quelle dei soldati semplici inglesi, ai quali una visione del mondo “parrocchiale” e ristretta non impedisce di mettere in campo un ottimismo ed un coraggio straordinari. Ad accomunare i diversi personaggi descritti è la speranza del diradarsi delle tenebre sulla “terra di Mezzo”, il sogno di poter tornare alle proprie case dove costruire un futuro di pace.

Tale fantastica opera riesce dunque a far trasparire magistralmente le emozioni, le speranze e le motivazioni propri dei cittadini europei in un’epoca di immense privazioni e  difficoltà. Fu il sogno di una pace duratura, da poter condividere con i propri cari, a spingere larga parte dei combattenti a dare fondo a tutte le proprie energie senza arrendersi ad uno scenario da incubo.

Gli eventi susseguitisi nei decenni successivi alla Grande Guerra hanno purtroppo distrutto molti di questi sogni; la “Società delle Nazioni” promossa e sostenuta dal presidente statunitense  W. Wilson, fallì miseramente il suo scopo, e i trattati di pace si rivelarono del tutto inefficaci. Fu solo a seguito di un altro, spaventoso conflitto che, grazie all’opera di grandi pensatori e uomini politici, si arrivò all’effettiva nascita di una comunità sovranazionale in grado di porre le basi per uno sviluppo condiviso di un continente per troppo tempo teatro di mostruosità e barbarie. Proprio per questo, il riconoscimento del premio Nobel è un’importantissima occasione per ravvivare la memoria dei progressi fatti fino a questo momento, e di quale sia lo scopo comune dal quale si è partiti.


[1] The Nobel Peace Prize 2012 – Press Release, Norwegian Nobel Commitee

[2] Secondo articolo definitivo per la pace perpetua fra stati,  Immanuel Kant, Per la pace perpetua (1795)

[3] «[…]to be caught in youth by 1914 was no less hideous an experience than to be involved in 1939 and the following years. By 1918, all but one of my close friends were dead» JRR Tolkien, forward to The Lord of the Rings (1950)

[4]Più precisamente, i paesaggi tratteggiati nel romanzo ricordano sotto diversi aspetti quelli della Francia nord-occidentale all’epoca della battaglia della Somme, cui Tolkien prese parte.

7 Commenti

Aggiungi
  1. Lorenzo

    L’interpretazione che dai di Tolkien e della sua bella storia è piuttosto superficiale. Per quanto riguarda Mordor, gli orchi, Sauron e così via, se proprio gli si deve attribuire un richiamo al mondo odierno, sono anticipatori dell’industria distruttrice propria degli uomini (e guarda un po’, anche oggi, proprio in Europa, ci sono numerosissime fabbriche) e quindi solo in ultima battuta di cannoni e macchinari bellici che pure Tolkien aveva visto da vicino. Per quanto riguarda gli Hobbit, semmai somigliano a quegli uomini di tradizione contadina che conservano la purezza del proprio animo nonostante entrino in contatto con le armi del Nemico di cui parlavo appena sopra. C’è da ricordarsi che Sauron prima che con la guerra campale prevaleva con prodigi e con la corruzione dei suoi nemici.

    Tuttavia la stessa pratica un po’ frivola attribuire riferimenti diretti senza neanche citare Tolkien stesso (o al limite le sue lettere) mi pare un po’ tendenziosa, anche perché pare che lui in prima persona malsopportasse chi gli domandava che cosa voleva dire questo o quell’altro passo. La sua storia è una creazione e pure nelle inevitabili somiglianze e corrispondenze, è ambientata altrove, e in un altro tempo (se non ricordo male noi stiamo vivendo nella sesta era, gli hobbit distrussero l’anello in conclusione alla terza!).

    • Luca Rasponi

      Sono parzialmente d’accordo con te Lorenzo, ma credo anche che l’interpretazione di Leonardo non sia da buttare. Conosco molto bene le opere di Tolkien ambientate nella Terra di Mezzo, e so – come dici tu – che l’autore per primo non ha mai voluto attribuire significati storico-politici alla sua opera, come invece molti gli attribuiscono (soprattutto, in Italia, una certa destra).

      Resta il fatto che sono presenti influenze di fondo: centrale quella che dici tu, che potremmo semplificare nel conflitto tradizione-modernità, o natura-industrializzazione. Altrettanto importante l’influenza del Cristianesimo, soprattutto sul Silmarillion (Tolkien era molto credente). Ma anche l’ombra della guerra è sempre presente, ed è impossibile non cogliere riferimenti all’esperienza personale di Tolkien nella Grande Guerra, al punto tale che alcuni hanno addirittura paragonato la mappa della Terra di Mezzo a quella dell’Europa dell’epoca, individuando una sorprendente sovrapposizione tra Mordor e l’Impero Austro-Ungarico.

      Ora, si tratta di suggestioni, è chiaro, ma nel gioco delle interpretazioni mi sembra che dall’opera di Tolkien traspaia un’incitazione alla pace e alla collaborazione tra i popoli (i buoni falliscono quando sono divisi), un elogio dell’amicizia e un racconto complesso e affascinante di cosa significhi prendersi le proprie responsabilità di fronte alle difficoltà.

      Concetti non direttamente politici, ma che stanno alla base dell’idea da cui è nata l’Unione; e se magari l’interpretazione di Tolkien in questo senso può apparire forzata, di certo lo è molto meno di quella che vede nei libri del Professore un incitamento al cameratismo, alla guerra e all’odio razziale.

      Resto dell’idea, comunque, che l’arte non debba MAI essere politicizzata, a meno che non sia stata concepita con motivazioni e obiettivi politici.

      • Lorenzo

        Bè, io non nego certo quell’aspetto che è presente effettivamente in Tolkien, dell’aspirazione alla pace e alla concordia,cosa evidentemente presente nella conclusione del signore degli anelli (e non solo). Ma d’altronde bisogna stare attenti a distinguere chi abbiamo di fronte (pur essendo lo scrittore morto abbiamo modo di intuire qualcosa del suo carattere e della sua persona) dai nostri desideri. Ovvero, pace e concordia per Tolkien non sono certo il pacifismo professato oggi. Dopotutto le vicende della terra di mezzo sono costituite anche di guerre e gli uomini fieri come gli stessi elfi muovono guerre legittimamente in certe circostanze, e la figura del guerriero è innegabilmente esaltata nelle sue pagine, se non è vile e maligno. Perciò starei attento ad accostare troppo le due cose come se fosse una trasposizione ovvia – sinceramente a me non sembra tale, o almeno non in un senso così totale. Allo stesso modo la pace e la concordia non sono quella pace tra potenti nazioni che noi immaginiamo oggi ma qualcosa di più simile alla vita tranquilla e armoniosa degli Hobbit, quindi ad una pace campestre, che infatti gli uomini difficilmente mantengono proprio per il loro modo di vivere più corrotto e, se vogliamo, civilizzato. Come dici tu, quelle opposizioni tra natura e industrializzazione e tradizione e modernità sono ben presenti e si legano profondamente alla ricerca della pace duratura. D’altronde sono esaltate anche la devozione alla propria terra e al proprio signore e così via…Sono d’accordo che le letture di certi ambienti un po’ mefitici in cerca di idoletti da ostentare finiscano nel ridicolo, ma anche quelle pseudo-pacifiste o con messaggi “da canto scout” non rendono per niente giustizia all’imponente evocazione tolkeniana e anche al carattere dell’autore e alle sue credenze(al limite anche alla sua fede).

  2. Francesco Minotti

    Ciao Leo,
    è da un po’ che non ci sentiamo tramite commenti… colpa mia, ho avuto un’estate molto densa di cose da fare.

    Ad ogni modo, mi trovo totalmente in disaccordo su questo articolo. Totalmente.
    Proverò a spiegare brevemente le mie ragioni.

    Vengono citate due istituzioni sovranazionali che, si dice, abbiano contribuito in passato, e contribuiscono tuttora, a garantire la pace: l’ONU e l’UE.
    L’articolo si concentra esclusivamente sui rapporti fra Stati. Questo è un punto fondamentale, ci tornerò fra poco.

    Ad ogni modo penso che solo un cittadino occidentale e benestante possa credere così ingenuamente che l’operato dell’ONU sia stato efficace nel promuovere la pace nel mondo. Le guerre c’erano prima dell’ONU e ci sono anche adesso e, finanche in tempi recenti, l’ONU è stato incapace di impedire lo scoppio di nuovi conflitti. Diciamo che solo a noi può sembrare tutto bello e funzionante, visto che ormai da tanto tempo non ci ritroviamo con una guerra in casa nostra.
    Per fare qualche esempio: guerra del Vietnam, guerra delle isole Falkland e, più recentemente, guerra nel Kosovo, guerra in Iraq, guerra in Afghanistan, per non parlare dell’infinito conflitto israelo-palestinese.
    Tutti esempi della totale inefficacia degli organismi sovranazionali. Per non parlare del fatto che chi in realtà comanda il mondo dal punto di vista militare, i paesi della Nato, è sostanzialmente libero di fare quel che vuole nei confronti dei paesi che non fanno parte del club: l’unica difficoltà è convincere le masse della bontà del conflitto che si vuole intraprendere, magari chiamandolo “missione di pace”… E non mi sembra che l’ONU possa fare granché al riguardo. L’importante, ripeto, è che non ci ritroviamo i morti sotto casa: a quel punto è facile distrarsi, non preoccuparsi di cosa succede in altre parti del mondo e dire che tutto va bene.

    Finora mi rendo conto di aver detto delle banalità (o almeno lo sono per me, capisco che le banalità siano intrinsecamente soggettive), ora cercherò di fare un ragionamento più originale.

    Se ci limitiamo a considerare come guerre solamente i conflitti fra Stati diversi, le riflessioni di Kant possono sicuramente essere condivisibili: si tratta di un problema di definizione. Per esempio, con una tale definizione le guerre civili non sarebbero guerre. Paradossalmente, se e quando si arriverà ad istituire un governo mondiale (cosa che fra pochi secoli potrebbe essere plausibile), per definizione non ci saranno più guerre.
    E’ chiaro che una siffatta definizione non è ben posta. Anche perchè è molto pericolosa: se le insurrezioni e le rivolte civili interne ad uno Stato non fossero considerate guerre, potrebbe farsi strada la convinzione che lo Stato sia legittimato ad usare la forza per sopprimerle (tanto non è una guerra e quindi non si pone il problema di giudicare i metodi usati per gestirla, diventando, anzi, “ordinaria amministrazione”). Diciamo che è un modo come un altro per mascherare l’esistenza di un regime autoritario (Orwell ne sapeva qualcosa, secondo me).
    Chiaramente, invece, ciò che da mesi sta succedendo in Siria è una guerra: una guerra, ampiamente commentata dai media, in cui siamo portati a vedere come “buoni” (giudizio moralistico da prendere sempre con le dovute attenzioni) i rivoltosi, che vengono dipinti come i fieri oppositori di un regime totalitario.
    Ma, e qui veniamo al sodo, secondo questa definizione di “guerra” anche gli scontri che si stanno protraendo in Grecia da quasi un anno sono ascrivibili a tale categoria: è una guerra.
    Già qui potrei quindi contestare il premio Nobel assegnato all’UE. Prima però, qualche riflessione.
    Per prima cosa, l’informazione. Sulla Siria siamo costantemente informati (l’ultimo aggiornamento l’ho sentito poco fa al telegiornale) mentre sulla Grecia non più. Si dirà: evidentemente hanno smesso di fare a botte. No.
    Gli ultimi scontri degni di nota ci sono stati il 07-11, mercoledì scorso, http://www.youtube.com/watch?v=ObCaIOnZW08 http://www.youtube.com/watch?v=DFupaLgIaV4
    a testimoniare il fatto che la tensione non è mai calata. Ora, bisognerebbe cominciare a chiedersi seriamente cosa sta succedendo in Europa, seriamente! Nessuno che parla di queste cose: quello che ci mostrano sono le facce sorridenti dei leader europei alle loro amichevoli riunioni, i messaggi rassicuranti di qualche tecnocrate (mai eletto da alcuno) che si trova al governo dell’UE e che dice che la crisi non è dovuta all’Euro…

    La questione è complessa e non pretendo di avere la verità in tasca. Inoltre è facile venir preso per pazzo visto che in pochissimi ancora guardano in modo critico a queste cose. Come si dice “il sonno della ragione…” e purtroppo in Italia di sonniferi ne siamo pieni, i media tutti in prima linea: come ho già detto, finchè la guerra non ce l’hai sotto casa…

    Comunque, a parte questa digressione, cosa sta succedendo in Grecia? La gente è stremata, letteralmente affamata (il 6 aprile l’Unicef parlava di 439 mila bambini denutriti), il governo continua ad imporre tagli fuori da ogni logica economica (se non quella dei creditori esteri, tedeschi in primis) e la situazione continua a peggiorare (alla faccia di chi afferma “l’UE ha salvato la Grecia”). Inoltre è difficile parlare di democrazia in Grecia: ricordiamo che poco dopo lo scoppio della crisi l’UE ha instaurato un governo di tecnici (quindi non eletto), quando il popolo ha cominciato a pretendere un legittimo referendum sull’Europa, l’UE l’ha impedito minacciando di tagliare gli aiuti, le elezioni di giugno sono state guidate da una propaganda terroristica che dipingeva scenari da quarto mondo nel caso di uscita dall’Euro. [Per altri aneddoti storici di questo tipo si veda http://byoblu.com/post/2012/11/10/Tutte-le-volte-che-in-Europa-abbiamo-detto-no-ma-e-diventato-si.aspx%5D Quindi, anche in questo caso, si pone un problema di definizione: è sensato affermare che in Grecia la democrazia c’è, semplicemente perchè l’attuale governo è stato legittimamente eletto?
    Per non parlare del fatto che la gente che scende per le strade chiaramente lo fa manifestando la propria contrarietà politica verso le ulteriori misure economiche che invece il governo attua per compiacere non il popolo bensì i consessi internazionali (eurocrati, banchieri, investitori stranieri). Difficile quindi pensare che il governo greco stia facendo l’interesse dei greci (a meno che non si creda ancora che fuori dall’Euro la Grecia cadrebbe in un baratro ancor più profondo…).
    Paragonando quindi le situazioni greca e siriana, perchè i rivoltosi siriani dovrebbero essere “buoni” mentre quelli greci no?
    A voi l’ardua risposta.

    Un docente universitario genovese di filosofia recentemente ha descritto l’Euro come il nuovo dio imposto alle popolazioni europee. Il senso polemico di questa sua affermazione risiede nel fatto che, a partire dalle decisioni degli organi politici dell’UE, fino ad arrivare ai comuni cittadini grazie alla selvaggia propagando a cui siamo sottoposti, la nuova fede è diventata il credere che l’Euro sia imprescindibile, irreversibile, inevitabile, nonchè perfettissimo; di conseguenza non c’è da stupirsi se, esattamente come accade in molteplici culti religiosi (si pensi alla cultura azteca precoloniale) il culto del dio richiede ingenti sacrifici umani, finalizzati al compiacimento della divinità. Si pensi alla Grecia: la metafora è, questa sì, perfetta.

    Siccome noi, invece, siamo persone intelligenti e piuttosto acculturate, dovremmo essere in grado di distinguere fra tre concetti ben diversi fra loro che oggi invece si tende ad identificare l’uno con l’altro indiscriminatamente: Europa, Unione Europea, Euro. L’Europa in senso geografico è il continente europeo, che è esistito ben prima dell’UE e dell’Euro e, si spera, continuerà ad esistere anche in seguito. L’UE è un’istituzione sovranazionale costituita dagli Stati aderenti, che certamente è nata, fra le altre cose, anche per garantire sicurezza e pace all’interno dell’Europa-continente. L’Euro è una cosa ancora diversa: è la moneta unica adottata da una parte dei paesi dell’UE, e sottolineo “da una parte”, non tutti.
    Ora, è ovviamente sbagliato far coincidere l’UE con l’Euro. Questa banalità, però, non è così evidente ai più. Buona parte della propaganda pro-Euro si basa infatti sull’assunto (minaccia?) che se saltasse l’Euro salterebbe l’UE, e con essa tutti i trattati che garantiscono la pace nel continente.
    Questa colossale balla è smentita dalla stessa costruzione dell’UE: l’UE è nata prima dell’Euro, è esistita per un certo periodo senza l’Euro e ancor oggi ci sono Stati fuori dall’Eurozona (che guarda caso stanno molto meglio economicamente) che però sono dentro l’Unione Europea e che quindi non rischiano dei essere improvvisamente invasi dai panzer.
    Paradossalmente quindi, osservando meglio la situazione, si potrebbe dedurre che l’elemento più esplosivo che veramente sta diffondendo malessere e tensione fra le popolazioni, è proprio l’Euro.
    Basti pensare alla situazione greca. Basti pensare che in Germania, a causa della propaganda politica, la gente crede che la crisi (che ora comincia a toccare da vicino anche i tedeschi) sia tutta colpa delle popolazioni del sud Europa (e ricordiamoci cosa succede storicamente quando i tedeschi individuano un capro espiatorio)… La miscela comincia veramente a diventare esplosiva, e tutto per colpa dell’Euro.
    Chiaramente qui da noi tutto tace perchè, ancora una volta, “finchè non hai la guerra sotto casa…” ma stai pur certo che fra un po’, quando la situazione economica peggiorerà (ah, se peggiorerà!!), anche gli spagnoli cominceranno a scendere in piazza (cosa che timidamente hanno già fatto, non so se la notizia è pervenuta…) in stile greco e a quel punto sarà difficile non vedere la realtà delle cose… Beh, sempre che in Italia la censura non si rinforzi ulteriormente mantenendo la popolazione nel mondo di Alice… staremo a vedere.

    Mmh… ah, sì, il tema era il nobel per la pace all’UE…
    C’è ben poco da dire, il nobel per la pace è chiaramente un premio politico e non “al merito”. Non per niente qualche anno fa lo avevano assegnato ad Obama appena insediatosi per il suo primo mandato. Quindi, nulla di nuovo, non c’è affatto da stupirsi. Il “sogno” europeo che i politicanti ci hanno venduto vent’anni fa ha cominciato a palesarsi per quello che realmente è, e il nobel è solo un tentativo di rattoppare quel velo (in senso Schopenaueriano) che si sta a poco a poco lacerando davanti agli occhi della gente. Da notare che anche questo tentativo gioca sull’ambiguità UE-Euro… bisogna starci attenti!
    E’ l’Euro che scricchiola, non è l’Unione Europea. Ci possono essere (e ci sono tuttora) trattati di pace senza la moneta unica… facciamo un po’ di attenzione, per piacere!

    “…la coesione della stessa [UE, per l’appunto] sembra messa a repentaglio.”
    Mi sa che hai abboccato anche tu all’ambiguità. 😀

    Saluti,
    Francesco

  3. Leonardo Nini

    Vi ringrazio per il vostro intervento a proposito del pensiero di Tolkien. Come ho sottolineato anche nell’articolo, Lorenzo ha perfettamente ragione nell’affermare che l’autore non vedesse con benevolenza interpretazioni “allegoriche” e semplicistiche della sua opera. La stessa interpretazione concernente l’industrializzazione a confronto con la pace della vita campestre non mi appare molto convincente.

    Ciò su cui ho cercato di concentrarmi (probabilmente oon non troppa chiarezza) è l’influenza che l’esperienza della Grande Guerra ha indubbiamente avuto sul pensiero di Tolkien stesso. Può essere vero che la pace “intesa” da Tolkien non fosse fatta da accordi fra grandi nazioni, ma dobbiamo ricordarci come nel mondo di oggi essa sia necessaria (anche se non sufficiente) alla pacifica convivenza di chi vive in semplicità ed umiltà.

    Il senso di fondo dell’articolo, pertanto, non voleva essere un’interpretazione esaustiva (e nemmeno abbozzata) del Signore degli Anelli, nè un trattato di geopolitica, quanto piuttosto uno spunto di riflessione sull’importanza degli sforzi fatti in questi decenni da diverse figure della politica europea per realizzare un progetto di pace e sviluppo condivisi. Il progetto può scricchiolare, questo lo sappiamo, e fa parte di ciò che riscontriamo ogni giorno nelle nostre piccole realtà, nei nostri piccoli gruppi, associazioni o simili. Ma ogni passo avanti fatto nella direzione della cooperazione (e non imposto unilateralmente) è di per sè importante, e va quantomeno riconosciuto come tale.

  4. Leonardo Nini

    Per quanto riguarda l’argomentazione di Francesco, invece, pare si torni su un vecchio terreno di “incontro-scontro”.

    Innanzitutto mi permetto di sottolineare alcuni punti del tuo commento sui quali non posso fare a meno di trovarmi in disaccordo:
    -il paragone fra la situazione siriana e quella greca mi sembra del tutto inadeguato: una guerra civile vera e propria non può essere confrontata a cuor leggero con delle manifestazioni, seppur violente, tenute sotto controllo dalla polizia con scudi di plexiglass. Vorremmo definire anche quanto accaduto a Roma nell’ottobre 2011 “guerra civile”? (http://www.youtube.com/watch?v=JnZnA7Ajo9s)
    -il concetto di “coesione” è molto più ampio di come l’hai inteso, e non sono caduto in alcuna ambiguità affermando che è quella dell’UE ad essere minacciata. Nei mesi scorsi, diversi opinionisti hanno dato come scontata l’uscita della Grecia dalla UE a seguito di un suo abbandono dell’euro, benchè non esistano norme che possano esplicitamente regolare un simile caso. Come possiamo dirci certi che l’unione sopravviverebbe alla dissoluzione della moneta unica (soluzione prospettata dal professor Bagnai nell’intervista da te pubblicata)?
    Certamente la cosa è possibile, anzi auspicabile, ma in un “gioco di potere” come quello da te più volte descritto, dove ogni paese si preoccupa unicamente del proprio interesse cercando di creare le migliori condizioni per trarre vantaggio dai propri vicini, le prospettive sono necessariamente cupe.

    Affinchè vi possa essere vera “coesione” forse è necessario guardare al di là dei tecnicismi. Forse è necessario aprirsi alla possibilità di una cooperazione e solidarietà internazionale che esulino dagli interessi dei singoli paesi.
    La realtà della UE mi pare troppo complessa e variegata (si pensi solo alle disposizione normative emanate ormai su tantissime materie, alle politiche comunitarie, ai fondi da destinare alle regioni meno sviluppate, alla corte di giustizia..) per poter essere bollata come “velo” Shopenaueriano posto sopra un groviglio di interessi economici.

    L’imperfezione di questa realtà può chiamarci a pensare a come migliorarla o a preferirne la dissoluzione. A noi la scelta.

+ Lascia un commento