Il turismo culturale: tra i nuovi motori d’Europa
Un articolo molto intelligente comparso tempo fa sul Il Sole 24 Ore affermava che il turismo culturale è nato in Italia. C’è stato un tempo in cui visitare il nostro Paese conferiva prestigio alla persona che compieva tale viaggio e alla famiglia, ovviamente nobile, cui apparteneva. Il grand tour poteva protrarsi per molti anni (nella Vita Alfieri scrisse che i suoi viaggi durarono dal 1766 al 1775!) e consisteva essenzialmente in una lunga serie di viaggi nell’Europa Continentale, a cui presero parte a partire dal XVII secolo tanti giovani rampolli delle casate più importanti. Il viaggio serviva a rendere questi giovani “uomini di mondo” e permetteva loro di acculturarsi a proposito di tutti i luoghi visitati e specialmente nel campo della politica, dell’arte e della cultura in genere. L’Italia era la meta più celebre e almeno una volta nella vita era d’obbligo per questi fortunati giovani visitare Roma, le rovine di Pompei e di Ercolano, specialmente dopo l’avvento del Neoclassicismo.
Tuttavia, proprio quando l’ideale neoclassico si era posto a paradigma per molti artisti, stava nascendo anche la democrazia moderna. Progressivamente, dalle guerre napoleoniche in avanti, la nobiltà perse sempre di più il suo prestigio, fino ad arrivare alla situazione odierna in cui essa è largamente scomparsa e i titoli nobiliari, intesi come funzionali ad esercitare potere politico nella società per “diritto di nascita”, non hanno praticamente più valore. Il viaggio dopo la seconda guerra mondiale diventa alla portata di tutti, scompare la rigida distinzione tra le classi sociali e si arriva al punto che in virtù della generale situazione di benessere tutti possiedono la facoltà di improvvisarsi turisti e spostarsi, accrescendo così la loro cultura.
L’avvento della “democrazia” nel turismo ha però comportato l’arrivo di nuovi problemi: come utilizzare l’enorme massa di risorse che occorre per accogliere, ad esempio in Italia, milioni di turisti? Come rendere appetibile una certa meta grazie a determinate strategie di marketing e comunicazione? Come essere competitivi? Come dotare il territorio di infrastrutture adeguate e moderne?
Non molti decenni fa l’Italia ha vissuto il suo boom in fatto di turismo: economia in espansione, grande patrimonio naturale e culturale da offrire, masse di turisti stranieri – specialmente del Nord Europa – che affollavano le nostre spiagge. Ora i gusti dei turisti sono cambiati, e si cerca sempre più di coniugare le esigenze culturali con quelle legate al divertimento: un caso esemplare in questo senso è sicuramente Barcellona. Certamente però una nazione europea per conquistarsi una grossa fetta di mercato turistico deve dotarsi di ciò che le serve ai fini del conseguimento dell’obiettivo: questo significa investire in cultura. In questi mesi si leggono sempre più considerazioni che si potrebbero sintetizzare in poche parole: “niente cultura, niente sviluppo”.
Nel contesto dell’odierna situazione economica, un’Europa unita lo deve essere anche sul piano delle politiche culturali: il turismo culturale rappresenta il 40% circa del turismo europeo ed è necessario sfruttare il potenziale dell’offerta che solo l’Europa può offrire con un’organizzazione efficiente e un personale adeguatamente preparato. Dal 1987 ad oggi il Consiglio Europeo ha creato 29 itinerari transnazionali il cui scopo è «dimostrare, attraverso un viaggio nello spazio e nel tempo, come il patrimonio culturale dei diversi Paesi e culture europee contribuisce alla condivisione di questo stesso patrimonio».
Da dicembre 2010 è stato ideato l’Enlarged Partial Agreement on Cultural Routes (Epa), «per permettere una collaborazione più stretta fra Stati particolarmente interessati allo sviluppo degli itinerari culturali», per i quali esiste anche un Istituto apposito, l’Institut Europeen des Itineraires Culturels. Oltre ai Progetti di Turismo culturale che finanzia ogni anno, la Commissione Europea promuove importanti iniziative come Crocevia d’Europa, un evento fieristico che si è svolto a Pavia in cui le potenzialità economiche degli itinerari sono state presentate a operatori e imprese.
L’Italia, dal canto suo, ha firmato insieme alla Francia un accordo che prevede l’impegno «a sviluppare una strategia comune a lungo termine per la tutela e la promozione degli itinerari culturali, partendo dalla Via Francigena, antica via di pellegrinaggio che collegava Canterbury a Roma». Inoltre «Spagna, Italia e Francia hanno anche raggiunto un accordo su un logo, denominato “European passion”, per la commercializzazione congiunta della loro offerta turistica sui mercati dei paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina)».
Un Paese europeo però non può lasciare il compito della promozione turistica alle sole strutture sovranazionali: deve anche battersi per essere competitivo all’interno dell’Europa e nel mondo. È risaputo da tutti che il nostro Paese non investe quasi nulla nella ricerca scientifica e nelle attività culturali, tanto che i fondi che il Mibac destina ai veri enti culturali sono sempre più esigui. Oltre al reiterato problema dei fondi, ce n’è un altro non di minor conto: «l’inadeguatezza di un sistema di formazione che non riesce a produrre figure e professionalità necessarie a sostenere la competizione e quindi lo sviluppo», il che si risolve in buona parte nella bassa crescita del Pil italiano.
L’Italia ha meno laureati rispetto ai Paesi più avanzati e gli operatori turistici con una formazione universitaria sono solo il 17% rispetto alla media europea dei Paesi competitor (35%). Si potrebbe obiettare affermando che l’Italia ha una grande offerta nel campo delle facoltà economiche e umanistiche, le quali ogni anno sfornano ragazzi preparati e competenti. Purtroppo però – come hanno dimostrato gli spiacevoli fatti accaduti nel sito di Pompei – non solo mancano figure competenti, ma queste stesse figure non sono impiegate dove e come dovrebbero.
La mancanza di fondi e la mala gestione sono le piaghe del turismo culturale italiano: se ci sono fondi si amministrano male, mentre se i fondi non ci sono non si possono garantire servizi ai turisti. Quello che scoraggia è che purtroppo il nostro Paese rivela carenze che sarà arduo colmare nei prossimi anni. Se da un lato la nostra relativamente arretrata cultura aziendale-manageriale compie un passo avanti e la gestione delle aree culturali migliorerà sensibilmente, bisogna fronteggiare la morsa della scarsità di fondi e della disoccupazione: dove impiegare dunque risorse umane “ben addestrate” se non c’è impiego? Come realizzare relazioni e progetti culturali (restauri, fund raising, valorizzazione…) se lo Stato non è interessato al progredire della progettualità e alla nascita di nuove imprese, le quali saranno dissanguate dalla pressione fiscale? Come colmare l’assenza di imprenditorialità se nessuno è disposto a finanziare e ad aiutare le nuove imprese? Forse se l’investimento nella cultura e nei giovani aumenterà e la crisi economica prenderà una piega più favorevole, l’Italia potrà migliorare e dunque crescere.
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