Il Grand Tour settecentesco


Nel ‘700 non esisteva il Progetto Erasmus. Nel ‘700 non era ancora stato girato L’appartamento spagnolo. Ma la voglia di formarsi attraverso il viaggio già animava le giovani menti europee. Nacque dunque il Grand Tour, un lungo viaggio di mesi o addirittura anni durante il quale i giovani aristocratici approfondivano le loro conoscenze in ambito politico, artistico e culturale.

L’espressione “Grand Tour” venne utilizzata per la prima volta da Richard Lassels nel 1698 nella sua opera An Italian Voyage. I pionieri furono gli inglesi, ispirati dalle pagine di Of Travel di Francis Bacon, tra i primi a ritenere il viaggio d’istruzione una tappa fondamentale nella formazione dei giovani che ambivano a un ruolo dominante nella propria società. Ugualmente importante fu il contributo di Thomas Hoby, William Thomas, Fynes Morison e Thomas Coryat.

Le tappe “obbligatorie”? Italia, Francia e Grecia. Le categorie dei viaggiatori? Tra le più svariate: artisti, letterati, filosofi, mercanti e scienziati. Ai tempi di Luigi XIII e del Re Sole, ai numerosi viaggiatori britannici si affiancarono quelli francesi, seguiti successivamente da fiamminghi, olandesi, tedeschi, svedesi e russi. La pratica del Grand Tour conoscerà periodi d’oro (dopo la conclusione della Guerra dei Sette anni nel 1763) e periodi bui come la Rivoluzione Francese e la campagna d’Italia del giovane Bonaparte (1796), che porrà la parola fine a questo tipo di esperienza formativa.

I mezzi utilizzati per i numerosi spostamenti andavano dai calessi ai postali e dalle carrozze… ai propri piedi. I viaggiatori si fermavano in locande, pensioni e osterie e si facevano accompagnare da Bear-leader, camerieri o viaggiavano soli. Le insidie erano sempre dietro l’angolo: non erano certo raro, ad esempio, rimanere vittime di assalti di briganti. A partire dal XIX secolo il Grand Tour divenne alla moda anche per le giovani donne, che spesso intraprendevano un viaggio in Italia accompagnate dalla zia nubile in qualità di chaperon.

I gusti dei touristes di tutta Europa sembravano variare a seconda della nazionalità. I tedeschi, e in genere tutti i nordici, andavano spesso alla ricerca del sole del Sud Italia e della sua natura incontaminata, mentre gli inglesi mostravano una vera predilezione per Venezia. Nel corso del Settecento il baricentro del viaggio si spinse sempre più nella zona meridionale dello stivale, culla delle radici della civiltà. Destò stupore la scoperta di Ercolano e Pompei, mentre la Sicilia – ricolma delle fonti della civiltà magno-greca – catturò numerosi i viaggiatori.

Ma è in una sola città che confluivano i giovani aristocratici di tutta Europa: Roma. La città si mostrava come vero e proprio museo a cielo aperto, con la sua area archeologica che si estende fino a Tivoli, Frascati, Albano e Nemi. A questa si affiancarono i Musei Capitolini, inaugurati nel 1734, e il Museo Pio-Clementino (1771). Nella Città Eterna gli studiosi conducevano campagne di scavo, i mercanti facevano affari d’oro e la febbre del collezionismo di statue, dipinti e reperti saliva sempre più.

Ma i luoghi non erano tutto. Obiettivo dei viaggiatori era anche quello di trovarsi nel luogo giusto al momento giusto. Tanti infatti gli appuntamenti imprendibili: dalla festa del Redentore a Venezia a quella di Santa Rosalia a Palermo, passando per quella dei SS. Pietro e Paolo a Roma e di San Gennaro a Napoli. Natale e Pasqua ovviamente assumevano un significato particolare nella cornice di San Pietro. Spazio anche alle feste popolari, tra cui il Palio a Siena e la corsa dei tori in Campo San Polo a Venezia.

2 Commenti

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  1. Anonimo

    Leggendario,affascinante, favoloso, da imitare, da vivere, se posdibile, anche ai nostri giorni, con i nostri mezzi di trasporto ovviamente. Penso che potrebbe essere molto formativo per i giovani!

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