In viaggio con Sarah e Alice: imparare dall’assurdo


La voglia di viaggiare, allontanandosi per un po’ dal posto in cui si vive, si presenta spesso con un’urgenza che ha a che fare più con la fuga che con il desiderio di una vacanza.

L’abitudine e le condizioni ormai arcinote della quotidianità costruiscono una trama nella quale ci si può muovere solo seguendo canoni di comportamento prestabiliti.

Ci si sente sempre più costretti e annoiati, così si pensa ad una fuga.

La fuga non è un concetto così riprovevole come si è abituati a pensare: aldilà del fatto che ognuno, ovunque vada, finisca col portarsi appresso problemi e difetti, la fuga registra anche la volontà di cambiare, di sperimentarsi, di non fossilizzarsi nei propri schemi d’interpretazione del mondo.

Due personaggi d’invenzione, la protagonista di Alice nel paese delle meraviglie e Sarah, l’eroina del film del 1986 di Jim Henson Labyrinth, mostrano chiaramente quali sono le motivazioni e i comportamenti che si adottano durante il caso più estremo ed emblematico della fuga: il viaggio nell’assurdo.

Entrambe le protagoniste sono annoiate e si sentono frustrate dagli obblighi e dalle consuetudini delle loro rispettive vite e reagiscono, riuscendo a far sì che il viaggio utopico per definizione, quello in un mondo di fantasia, diventi reale.

Le due ragazze intraprendono il viaggio inizialmente con poca consapevolezza: Alice rincorrendo un insolito coniglio e Sarah pronunciando una frase magica, tratta da un libro, che non ritiene possa davvero funzionare.

All’interno dei rispettivi mondi fantastici, tanto Alice quanto Sarah si trovano presto a fare i conti con un insieme di circostanze surreali e poco gestibili con la ragione e la logica tradizionali.

Entrambe cercano infatti di rifarsi alle conoscenze imparate nel mondo reale per risolvere gli enigmi che si presentano loro, ma il ricorso alla razionalità non è quasi mai d’aiuto.

Alice, memore delle ammonizioni impartitele da parenti e istitutrice, sa che non deve bere da una boccetta finché non scopre cosa essa contiene realmente, ma, in questo nuovo paese, nessuna indicazione le viene in soccorso, così non può far altro che provare, fidarsi dell’unica scritta presente sull’etichetta, «Bevimi», e bere.

Alice e Sarah mostrano di sapersi pian piano adattare alle paradossali situazioni che incontrano, hanno il coraggio di fare un salto verso l’ignoto, di abbandonarsi all’assurdo e di apprendere da esso come interagire col nuovo mondo, quali parole usare, a cosa fare attenzione.

Tradotta dal linguaggio della finzione, la pratica di imparare dal viaggio, dal luogo che si sta visitando e dai suoi abitanti diventa una modalità di comportamento virtuosa per qualsiasi viaggio si intenda affrontare.

Ogni volta che ci si mette alla prova con una nuova esperienza si fa riferimento alle proprie conoscenze e consuetudini, ma queste rischiano di diventare un ostacolo alla comprensione di ciò che ancora non si conosce.

Uno dei comportamenti più frequenti di chi affronta un viaggio è quello di presumere di conoscere cosa troverà nel posto che sta andando a visitare.

Anche Sarah, appena entrata nel labirinto che deve attraversare per andare a riprendere il fratello minore, si aspetta di trovarsi di fronte ad un reticolo di bivi, scorciatoie, curve e deviazioni, invece ciò che percorre non è altro che una strada che si srotola diritta fra due mura.

È un piccolo bruco a soccorrere la ragazza, facendole capire che il muro è in realtà pieno di aperture: il fatto è che lei semplicemente non le vede. E mentre Sarah constata stupita la presenza di un’uscita, il bruco le offre un ottimo consiglio, un nuovo punto di vista per districarsi in quel mondo: «Tutto non è sempre come sembra in questo posto, perciò lei non può dare nulla per scontato».

Alice e Sarah si lasciano stupire dalle circostanze straordinarie dei nuovi mondi, iniziano a mettere in discussione ciò che consideravano assodato e, a contatto con realtà e persone tanto diverse da loro, si sentono cambiate.

A causa dei continui mutamenti di statura e di identità – ora è chiamata fiore, ora serpente, ora mostro – Alice non sa più bene chi o cosa è.

Tuttavia la ragazza capisce che, in fondo, resta sempre la vecchia Alice, solo più coraggiosa e più aperta all’imprevisto, capace di un continuo stupore: «Perché, vedete, le erano accadute ultimamente tante cose fuori dal comune, che Alice aveva incominciato a pensare che soltanto pochissime dovessero essere realmente impossibili».

Forse non sempre capiteranno avventure al limite del possibile durante le vacanze e non per forza si deve partire come esploratori alla ricerca dell’insolito, ad ogni modo ciò che si può imparare dal comportamento di Alice e Sarah è valido per ogni viaggio: se si ha il coraggio di allontanarsi un po’ dalle proprie convinzioni, si riesce ad apprezzare il fatto di essere sorpresi da situazioni non previste e si può anche definire meglio se stessi, proprio sul confine con ciò che è totalmente altro da sé.

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