Sport, disabilità e inclusione: migliorare sfidando sé stessi


«Sono orgoglioso di me stesso». «Ho un’idea migliore di me». Sono due delle tante frasi di persone disabili entrate a far parte di progetti di inclusione sportiva. Persone alle quali non interessa vincere ad ogni costo o sfidare gli altri, ma che vogliono mettere alla prova sé stessi raggiungendo traguardi inattesi.

Oggi è molto diffusa la convinzione che il soggetto disabile sia privo di idee, gusti ed emozioni, quando invece standogli vicino spesso si nota una forza interiore e un interesse per la vita che in tanti normodotati manca: chi conosce individui così tenaci non può che rimanere sbalordito e sentirsi quasi in imbarazzo confrontandosi con loro.

Il mondo dello sport è pieno di esempi di persone disabili che non hanno perso la voglia di vivere e lottare anche dovendo far fronte a gravi menomazioni. Uno di questi è sicuramente Oscar Pistorius, nato a Johannesburg il 22 novembre 1986 con una grave malformazione che lo ha costretto all’amputazione delle gambe all’età di undici mesi.

Grazie a particolari protesi in fibra di carbonio, negli anni del liceo Pistorius pratica il rugby e la pallanuoto. Poi un infortunio lo proietta verso l’atletica leggera (corre i 100, 200 e 400 metri piani), dove riesce a raggiungere livelli altissimi, partecipando alle Paralimpiadi dove vince sei medaglie (quattro ori, un argento e un bronzo). Pistorius decide quindi di fare richiesta di partecipazione alle Olimpiadi per normodotati, ma il 13 gennaio 2008 la Iaaf respinge la sua domanda sostenendo che le sue protesi lo avrebbero avvantaggiato rispetto agli altri atleti.

Dopo mesi di ricorsi giudiziari, il 16 maggio dello stesso anno Pistorius è autorizzato dal Tas di Losanna a partecipare alle Olimpiadi di Pechino 2008. Alla base di tale abilitazione c’è la mancanza di elementi che dimostrino un vantaggio concreto garantito dalle protesi. Tuttavia l’atleta non riesce ad effettuare il tempo necessario alla qualificazione. L’obiettivo è raggiunto quattro anni dopo nelle qualificazioni per Londra 2012: è notizia recentissima la convocazione di Pistorius per i Giochi.

Esistono tante altre storie straordinarie di persone disabili che nello sport hanno ritrovato la voglia di vivere e la speranza in un futuro migliore: questo sta a testimoniare quanto l’attività fisica – soprattutto di gruppo – possa rappresentare un mezzo di empowerment e inclusione sociale.

Dal punto di vista educativo, infatti, i principali obiettivi perseguibili attraverso l’attività sportiva riguardano l’accrescimento delle potenzialità individuali, come lo sviluppo delle capacità innate e l’acquisizione di nuove abilità, oltre all’integrazione in un contesto di vita ricco di relazioni significative.

Quest’ultimo principio è in contrasto con la concezione di sport dominante nella società contemporanea: interessi economici e rivalità esasperate infatti rendono spesso la pratica sportiva motivo di conflitto e separazione sociale portando in alcuni casi a comportamenti violenti o illegali.

Riuscire a cambiare la cultura dello sport, rieducando a valori sociali di condivisione e rispetto, servirebbe non solo a favorire l’inclusione sociale di persone disabili, ma anche a trasformare potenziali elementi di conflitto in incentivi alla solidarietà.

3 Commenti

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    • Stefano Rasponi

      La morale è decisamente facile ma è anche poco presa in considerazione a livello pratico (vedi calcio scommesse o i recenti screzi fra tifosi del Genoa e giocatori) e quindi secondo me era necessario sottolinearla una volta di più.
      Per quanto riguarda l’intervista che mi hai linkato, anch’io mi ero informato su questi presunti vantaggi perchè ero molto scettico riguardo alle prestazioni di Pistorius: tuttavia a livello giuridico non c’è niente di dimostrato e quindi non si può parlare di vantaggi effettivi sugli avversari. Comunque ho portato l’esempio di Pistorius perchè secondo me al pari di tanti altri atleti disabili ha dovuto lottare e soffrire molto per riuscire a fare sport con le sue menomazioni fisiche, il fatto che abbia vinto medaglie o sia diventato famoso è secondario rispetto agli obiettivi dell’articolo nel quale intendo far capire come lo sport possa essere mezzo di empowerment e integrazione sociale (vedi titolo).

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