Bologna Pride 2012: combattiamo i pregiudizi


Premessa: dopo la stesura dell’intervista e la redazione dell’articolo, gli organizzatori del Pride hanno deciso di modificare il loro programma per dedicare spazio e risorse ai terremotati emiliani; trovate il programma modificato cliccando QUI

In occasione del Bologna Pride, che si svolgerà il 9 giugno 2012 partendo da Porta Saragozza alle ore 15.00 , abbiamo intervistato un ragazzo volontario dell’organizzazione del  Pride.

Daniele, che cos’è esattamente il Pride?

Il Pride è una manifestazione volta a rivendicare i diritti delle persone LGBT, ossia lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. È una maratona di eventi: conferenze, convegni, spettacoli, anche attività sportive. Tutto questo allo scopo di sensibilizzare e far conoscere tematiche e realtà spesso poco conosciute come omoaffettività, omogenitorialità e transessualità. Far conoscere, generare cultura è l’unico modo per combattere le discriminazioni e le barriere. Gli eventi ufficiali sono incominciati ad aprile e culmineranno il 9 giugno con la parata che attraverserà le strade di Bologna.

Pensi che i media stiano dando sufficiente rilevanza al Pride bolognese?

Posso dire che negli ultimi anni il Pride è sempre più seguito dai media italiani. Vengono dedicati a questa manifestazione numerosi servizi televisivi, articoli di giornale e, anche se l’eccentricità della parata resta sempre al centro dell’attenzione degli obiettivi, i media più autorevoli offrono sempre più una visione abbastanza fedele del Pride. Il problema, secondo me, è un altro: gli omosessuali non esistono soltanto il giorno della parata. E questo è un problema non tanto dei media, quanto della politica. Una politica che trova il tempo per i propri interessi e non per il benessere dei propri cittadini. Una politica che continua a far finta che l’omofobia non sia un problema. Sono passati più di tre anni da quando l’onorevole Concia ha fatto una proposta di legge contro l’omofobia; dopo modifiche e continui rinvii non si è ancora giunti a niente.

A cosa servirebbe una legge contro l’omofobia?

Una legge contro l’omofobia e, aggiungerei, contro la transfobia, è una legge che andrebbe ad aggiungere delle aggravanti ad alcuni reati. Provo a spiegarla con un esempio: se io picchiassi una persona a causa del suo orientamento sessuale (sia esso eterosessuale o, presumibilmente, omosessuale), con questa legge sarei punito con delle aggravanti. Leggi simili esistono in Italia da anni: ad esempio per motivi religiosi o razziali. Questi naturalmente sarebbero solo gli effetti legislativi, ma questo genere di leggi hanno un compito ben più elevato e, per certi versi, molto più importante: approvare questa legge, infatti, avrebbe un ruolo fondamentale a livello sociale. Approvare questa legge vorrebbe dire: “Io, Stato, mi impegno a combattere l’omofobia e la transfobia e dichiaro queste discriminazioni inaccettabili”. Sarebbe una presa di posizione chiara e netta che ci si aspetta da uno Stato che si dichiara civile.

Manifestare per richiedere maggiori diritti è una tradizione antica, ma ai Pride partecipano anche tanti eterosessuali che, questi diritti, ce li hanno già. Da cosa pensi che siano spinti?

Innanzitutto, nonostante ci vogliano far credere il contrario, la società e le persone sono molto più “avanti” rispetto alla politica. Le persone si rendono conto che la ragazza lesbica potrebbe essere una vicina di casa, la propria migliore amica, potrebbe essere la propria figlia. Le persone iniziano a comprendere che si sta parlando di diritti umani e i diritti umani riguardano tutti. Le persecuzioni nei confronti dei cristiani non sono solo un problema dei cristiani, il razzismo non è solo un problema della gente di colore e, ovviamente, l’omofobia non può essere solo un problema degli omosessuali, ma un problema di tutti.

La partenza del Pride da porta Saragozza, luogo simbolo per i cattolici bolognesi e dove Il Cassero ha la sua sede dal 1982, è stata aspramente criticata da parte della Chiesa. Dall’altro lato, c’è chi, come Vendola, non ha problemi a definirsi cattolico e omosessuale. Pensi che le due sfere siano inconciliabili?

Porta Saragozza è un luogo importante tanto per i cattolici, quanto per la comunità LGBT. Credo fermamente nel rispetto reciproco, quindi mi lascia perplesso l’idea che esistano luoghi “esclusivi di qualcuno”. A mio giudizio, cambiare posto sarebbe stato come dire “avete ragione, il mondo LGBT deve stare lontano da quello cattolico”. Sarebbe stato un messaggio sbagliatissimo. Il dialogo, anche tra mondi che sembrano lontani, è fondamentale. Mi dispiace solo che la scelta sia stata interpretata da qualcuno come una provocazione. Per quanto riguarda la conciliabilità delle due sfere, è un tema molto delicato. Io sono cresciuto in ambienti cattolici e la religione cristiana ha avuto un ruolo fondamentale nella mia crescita e nella mia formazione. Oggi invece non mi considero né cristiano, nè religioso. Personalmente mi sono fatto questa idea: secondo me, se Dio esiste, è molto più impegnato a osservare coloro che usano violenza, chi incita l’odio, chi perseguita, chi discrimina, chi ritiene di essere migliore di altri, piuttosto che controllare con chi si vada a letto o se si usa un profilattico. “Ama il prossimo tuo come te stesso”.

Ancora oggi per tanti giovani (o meno) è difficile riuscire a fare “coming out”, per via dei pregiudizi sul mondo omosessuale. Pensi che in Italia ci sia scarsità di informazione a riguardo?

Negli ultimi anni le cose iniziano a muoversi ma…si! Non è sempre facile venire allo scoperto. La paura di essere giudicati, la paura di ripercussioni in famiglia. Ogni caso è diverso. A volte è più facile trovarsi in una grande città piuttosto che in provincia. E non è sempre vero che in una famiglia cattolica sia più difficile fare coming out, come non è sempre vero che in famiglie di sinistra, ex figli dei fiori etc., il coming out sia indolore. Per le nuove generazioni che si scoprono omosessuali è importantissimo avere dei punti di riferimento, dei modelli. È importante che giunga loro un chiaro messaggio: non sei sbagliato, e non c’è nulla di sbagliato nell’amare una persona del tuo stesso sesso. In Italia è ancora molto forte il tabù; in altri paesi, i personaggi dello spettacolo hanno compreso di avere un ruolo fondamentale e, sicuramente con molto coraggio, hanno incominciato a fare coming out. Si sono assunti la “responsabilità” di mandare un messaggio chiaro a tutti e, in particolar modo, ai giovani omosessuali: “Tranquillo! Io sono come te. Non sei solo”.

C’è chi sostiene che il Pride sia solo una “carnevalata”. Tu cosa ne pensi?

La parata è l’evento conclusivo del Pride, una giornata festosa e, certamente, molto colorata. Ci sono i carri, ci sono persone che si travestono e, soprattutto, c’è tanta gente comune. Per quanto possa sembrare strano, in verità solo una piccola minoranza si traveste. Tutti gli altri sono vestiti come qualsiasi caldo pomeriggio estivo. Che poi vengano mandate in onda solo le persone ricoperte di piume, questo è un altro discorso.

Tu ti travestirai?

Non ci vedrei nulla di male ma… No, preferisco vestirmi come qualsiasi altro giorno.

Ultima domanda: perché venire al Pride?

Perché il Pride non è la festa degli omosessuali, ma una festa di tutti. E poi, diciamolo, è una giornata fichissima, piena di musica, colori…Vedere per credere!

Ringraziamo Daniele Bigucci per il tempo e la gentilezza concessoci.

Appuntamento il 9 giugno a Bologna, ore 15.00 Porta Saragozza!

 

Link utili per la manifestazione:
www.bolognapride.it
Facebook: Bologna Pride
Twitter: Bologna Pride seguite le news con #bopride
Volontari Bologna Pride: Bologna Pride

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